Fiabe della Toscana: Il mondo di sotto - parte I

(fiaba in due pagine)

principe Giovanni gif animata

C'era una volta il re dell'Europa, che aveva tre figli. Il palazzo del re, grande e lussuoso, era circondato da un bellissimo giardino, e nel giardino c'era una pianta che faceva i pomi d'oro. Però né il re né i suoi figli erano mai riusciti a raccogliere uno di quei bellissimi pomi, perché ogni anno, appena erano sviluppati e pronti da cogliere, i pomi sparivano; certamente qualcuno veniva di notte nel giardino e li rubava, ma nessuno fu mai capace di scoprire il ladro. Un giorno però il re volle presso di sé tutti e tre i figli per discutere insieme del problema e vedere se fossero riusciti a scoprire il ladro. "Come possiamo fare?", diceva il re. E Giovanni, il figlio minore, disse: "Secondo me dovremmo fabbricare un capannello in fondo al giardino, vicino all'albero dei pomi d'oro, e subito da stanotte io prenderò un fucile e resterò nel capannello a far la guardia. Se verrà il ladro sparerò". L'idea di Giovanni piacque anche ai fratelli che subito dissero: "Sì sì papà, facciamo quel che ha detto Giovanni. Però non è giusto che soltanto lui si sacrifichi a far la guardia: faremo una notte per uno". Anche il re fu d'accordo. I tre principi si misero subito all'opera e in breve tempo costruirono il capannello. Poi tirarono a sorte per vedere a chi sarebbe toccato di far la guardia la prima notte. Toccò al figlio maggiore. Si armò di fucile e fece la guardia tutta la notte, ma non venne nessuno.

La notte seguente toccò al figlio mezzano. Anche lui rimase sveglio tutta la notte, ma non si vide nessuno. Eravamo alla terza notte e toccava a Giovanni far la guardia. Anche lui andò nel capannello e stette sempre attento: nulla. Ecco però verso la mezzanotte cominciò a sentire un muguglio che si faceva sempre più forte: "Perdinci! O chi sarà mai a quest'ora?". Rimase in ascolto, col fucile imbracciato, rivolto verso la pianta dei pomi d'oro. Il muglio si avvicinava... s'avvicinava lentamente. Ecco che d'improvviso vide un grosso corpo nero scavalcare il muro di cinta, precipitare nel giardino e dirigersi subito verso l'albero dei pomi d'oro. Giovanni, nonostante avesse il fucile pronto, decise di non sparare subito. Voleva vedere come si sarebbe comportato il ladro. Inoltre, poiché avevano fatto mettere lungo il fusto dell'albero dei lunghi ganci appuntiti, preferiva sparare quando il ladro fosse già salito sull'albero, così, cadendo, sarebbe rimasto impigliato nei ganci e non avrebbe potuto scappare. Aspettò quindi che il ladro salisse; quando fu in alto, pronto per cogliere i meravigliosi frutti, Giovanni sparò un colpo e il ladro, ferito, cadde a terra, con il corpo martoriato anche dai ganci appuntiti del tronco. Quando Giovanni vide il ladro ai piedi dell'albero, non si preoccupò di altro: pensò che fosse morto, colpito dalla fucilata e sbranato dai ganci. Non andò nemmeno a vedere chi fosse: ' Tanto è morto ' pensò, ' e io me ne posso andare a letto. Domattina vedremo di chi si tratta '.

Il padre e i fratelli furono svegliati dalla fucilata, e in cuor loro si rallegrarono, pensando che Giovanni aveva finalmente scoperto e ucciso il misterioso ladro. Però nessuno di loro ritenne opportuno alzarsi per vedere direttamente quanto era successo. Si rigirarono nel letto e si rimisero a dormire. Giovanni, dal canto suo, attraversò il giardino, entrò nel palazzo e se ne andò a letto soddisfatto. La mattina il padre e i fratelli si alzarono e, per prima cosa, vollero vedere il ladro ucciso. Quale fu la loro meraviglia quando videro che non c'era più! C'era rimasta soltanto una pozza di sangue: segno evidente che il ladro era stato ferito. Giovanni era molto contrariato e rammaricato per non essere andato subito a vedere, ma ormai era tardi. Videro però che il ladro aveva lasciato una traccia di goccioline di sangue; seguirono quella traccia. Varcato il muro di cinta, la traccia proseguiva per la campagna coltivata; finiti i terreni coltivati, prendeva giù per la prateria e proseguiva nella macchia. Camminarono un pezzo, sempre seguendo le goccioline di sangue. Ma la macchia diventava sempre più folta e non potevano proseguire senza un pennato con cui farsi strada. Così decisero che il re e i fratelli maggiori sarebbero tornati al palazzo. Il re, vecchio, non ce la faceva più a continuare: sarebbe rimasto a casa; i fratelli invece sarebbero ritornati da Giovanni con scuri e pennati per aprire un varco nella macchia. Così fecero. Appena i fratelli furono tornati nel luogo dove avevano lasciato Giovanni, insieme si misero a tagliare arbusti e cespugli per poter proseguire il cammino. Continuarono tutto il giorno seguendo la traccia del sangue. Verso sera arrivarono a una caverna: lì il sangue si arrestava. Segno evidente che il misterioso ladro era entrato nella caverna. "E ora come facciamo?" "Io," disse il fratello maggiore, "quaggiù dentro non ci vado di certo!" "Io tanto meno!" disse il fratello mezzano. "Io invece vorrei proprio sapere chi è il ladro dei pomi d'oro. E se mi aiutate," disse Giovanni, "scenderò dentro la caverna. Ecco come faremo: voi due tornate a casa e stasera dormite là, io resterò qui. Domattina mi portate una carrucola, una fune lunga lunga e un corbello grande tanto che io possa entrarvi". I due fratelli tornarono a casa e riferirono al padre le intenzioni di Giovanni.

La mattina seguente, procuratesi le cose che Giovanni aveva richiesto, tornarono alla caverna. Arrivati, subito si misero all'opera: piazzarono la carrucola su un albero vicino, sistemarono la fune e legarono strettamente il corbello alla fune. Giovanni entrò dentro il corbello e disse ai fratelli di calarlo lentamente dentro la caverna. "Qui dentro," disse, "io resterò un anno e tre giorni; voi mi dovete promettere che, fra un anno e tre giorni, tornerete qui e mi tirerete su." "Non dubitare!" risposero i fratelli. Si salutarono e Giovanni fu lentamente calato nella caverna. Cala cala cala... dopo un bel po' il corbello toccò il fondo. I fratelli sentirono che la corda non scorreva più e se ne tornarono a casa. Giovanni invece era arrivato nel mondo di sotto. Uscì dal corbello e si mise a girare: c'era tutto intorno una grande prateria di cui non si vedeva la fine: era una prateria magra, l'unica erba che vi cresceva era il paleo. Non sapeva da quale parte dirigersi e si mise a camminare a caso. Dopo un po' che camminava, vide uno steccato che circondava una piccola capanna di legno. Si avvicinò alla capanna sperando di trovarvi qualcuno a cui chiedere informazioni e soprattutto qualcosa da mangiare. Girò intorno allo steccato e non riuscì a trovare una porta o un cancello per cui entrare; allora si allontanò di alcuni passi, prese la rincorsa esaltò di là. La capanna invece la porta ce l'aveva: una porta piccina piccina alla quale subito bussò. Si sentì una vocetta che disse: "Chi è?". "È un povero giovane che si è perso nel mondo di sotto." Presto la porticina si aprì e comparve una vecchia piccola e magra: "O bel giovane, perché mai vi trovate quaggiù? Non lo sapete che è pericoloso venire qui? Qui abitano tre maghi potentissimi, se per disgrazia vi trovano siete spacciato". "E io sono venuto proprio per incontrare questi tre maghi." "No, bel giovane, è meglio che torniate via subito. Ascoltatemi!"

La vecchietta si raccomandava e scongiurava il giovane, ma senza potergli far mutare proposito. Giovanni però, prima di riprendere il suo cammino per la prateria, chiese alla vecchietta se avesse avuto qualcosa da mangiare. "Se vi accontentate di quello che ho. Io campo mangiando soltanto delle focaccine che faccio con le radici di quest'erba. La metto a cuocere sotto la cenere del focolare; se ne volete, posso darvene." Giovanni prese alcune focaccine e se le mangiò: in tempo di carestia anche il diavolo mangiava le mosche. Dopo che ebbe mangiato, ringraziò la vecchietta e s'incamminò per la prateria. Cammina cammina cammina... continuò a camminare per un paio di mesi. In tutto quel tempo non mangiò che radici di paleo e bevve acqua alle sorgenti che via via trovava.

Finalmente un giorno vide, lontano lontano, un grande palazzo che luccicava; pareva un palazzo di cristallo. Vi si diresse sperando che fosse il palazzo di un mago. Man mano che si avvicinava risplendeva sempre di più: era veramente di cristallo. Girò intorno al palazzo per vedere se incontrava qualcuno, se c'erano segni di vita. Si accorse che quella grande costruzione non aveva nemmeno una porta, c'erano soltanto alcune finestre, ma molto in alto. Pareva che non ci fossero segni di vita, ma ecco che improvvisamente si aprì una finestra e si affacciò una ragazza bellissima: Giovanni non ne aveva mai viste di così belle. La ragazza, appena vide Giovanni, gli disse: "Cosa fate qui? Siete fortunato che il mago non è in casa, ma sappiate che tornerà presto. Se vi troverà qui, povero voi! E anche povera me! Ci mangerà tutti e due in un boccone. Andatevene subito!". "No no, non m'importa di niente; venga pure il mago, venga chi vuol venire, io non me ne andrò di qui se non mi darete da mangiare. Ho una fame che mi pare di morire. Meglio esser mangiati dal mago che morire di fame. Solo quando avrò mangiato qualcosa me ne andrò."

Quando la ragazza sentì che l'unico modo per farlo andar via era quello di dargli qualcosa da mangiare, sciolse i suoi lunghissimi capelli e disse a Giovanni di aggrapparvi si. Lei cominciò a tirare su su su... in quel modo riuscì a farlo arrivare al davanzale della finestra. Con un salto Giovanni fu in casa. C'era la tavola apparecchiata e un buon odore in tutta la stanza: la ragazza stava preparando da mangiare al mago che presto sarebbe rientrato. "Darò a voi quello che avevo preparato per il mago e mi metterò subito a cuocere altra roba, perché se quando arriva non è tutto pronto, guai! Mangiate e fate presto!" Il giovane si mise a mangiare e intanto faceva un sacco di domande alla ragazza. Si dissero come si chiamavano. "Io sono Giovanni." "E io mi chiamo Bell'Aurora." La ragazza era tanto bella che Giovanni non si stancava di guardarla e, per poterla ammirare più a lungo, mangiava molto lentamente. "Sbrigatevi" diceva lei, "e cercate di andarvene subito. Se arriva il mago sente odore di cristiano e siamo rovinati". Ma sì! Giovanni non le dava retta. Quando ebbe finito di mangiare, caricò la pipa e si mise a fumare. Bell' Aurora sembrava sugli spilli. Ecco che d'improvviso si sentì tremare il palazzo. "Sta arrivando il mago", disse lei spaventata, "ora come faremo? Presto venite con me che cercherò di nascondervi."

Lo accompagnò in una soffitta tutta ingombra di attrezzi. "Qui il mago non viene mai" disse, "speriamo che non gli salti in mente di venirci stasera. Speriamo che non senta l'odore." Lo rinchiuse nella soffitta e scese in cucina. Stava scodellando la minestra quando si sentì un gran rumore: era il mago che era arrivato sul davanzale iella finestra e stava entrando in casa. Era grande e grosso e con tanta barba nera. Appena fu in casa cominciò ad annusare: "Dimmi chi è stato qui" "Nessuno!" "Come nessuno! Io sento odore di cristianin, o ce n'è o ce ne vuol venir." "Eh allora" disse lei, "forse qualcuno vorrà venire, perché io non ho visto nessuno fino ad ora. Su su! Mettiti a mangiare e non la far tanto lunga; se arriverà qualche cristiano lo vedrai. Secondo me è la troppa fame che ti fa sentire tutti gli odori; quando avrai mangiato non sentirai più nulla." Il mago si lasciò convincere e non si mise a cercare nelle altre stanze. Sette a tavola: mangiò e bevve, quindi si addormentò sulla tavola. Quando il mago fu ben addormentato e russava, la Bell'Aurora, in punta piedi, uscì dalla stanza e andò nella soffitta dove aveva rinchiuso Giovanni. "Presto! Ora il mago si è addormentato, puoi andartene senza farti vedere." "No no, io non me ne vado." "Per carità!" supplicava la ragazza. "Ma tu lo sai cosa si deve fare per ammazzare il mago?" "Lo so sì, ma è una cosa troppo difficile... è proprio impossibile." "Dimmelo! Dimmelo!" "Il mago dorme sempre vestito e porta sempre un cinturone al quale tiene pesa la spada; si porta a letto anche la spada. Per ammazzare il mago bisogna prendere la sua spada e tagliarli la testa con quella. Ma non basta, perché in camera, da capo al letto, tiene una vescica: basta che il mago tocchi con una mano quella vescica che la testa tagliata ritorna al suo posto; e ora sì che sono guai!" "Ora ci penso io" disse Giovanni, "tu vai a vedere se dorme ancora."

Bell'Aurora scese in cucina e vide che il mago era ancora addormentato con la testa sul tavolo. Giovanni le era venuto dietro. Quando anche lui vide che il mago dormiva, disse alla ragazza: "In questa posizione non mi riesce prendergli la spada. Bisogna che tu lo gli e tu lo accompagni a letto; quando si sarà riaddormentato nel suo letto mi vieni a chiamare. Io torno nella soffitta". Bell'Aurora si avvicinò al mago e cominciò a lisciargli i capelli, ad accarezzargli la barba...poi gli accostò la bocca all'orecchio egli sussurrò: "Su padroncino! È bene andare a dormire a letto. Qui sei scomodo, non ti riposi..." "Hai ragione" disse il mago, "ora vado a letto. Ma che puzzaccio di cristiano che sento stasera!" "Deve essere il vento che porta quell'odore lì."

Il mago se ne andò a letto. Lei gli corse subito dietro, gli rimboccò le coperte, gli fece qualche carezzina sui capelli e poi tornò in cucina. Ogni tanto però andava alla porta di camera per sentire se russava. Appena lo sentì russare, entrò in camera e controllò che dormisse veramente, poi salì in soffitta per avvisare Giovanni; Giovanni scese e disse alla ragazza: "Tu vai vicino a lui e accarezzalo fino a quando non sarò riuscito a prendergli la spada, così, nel caso che si svegliasse, vede te e non si insospetti. Quando avrò preso la spada, te ne potrai anche andare" Bell'Aurora andò al capezzale del mago. Intanto Giovanni si era levato le scarpe per non far rumore. Piano piano arrivò al letto e afferrò la spada. Il mago non si accorse di nulla e continuava a russare. Giovanni fece cenno ragazza che ora poteva andarsene; poi con la spada staccò la vescica e gettò giù dalla finestra che era ancora aperta. La vescica però tornò subito indietro e si riattaccò al suo posto. Allora Giovanni la staccò di nuovo e la gettò via, chiudendo subito la finestra. La vescica fu subito ai vetri, ma la finestra era chiusa e non poté rientrare. A questo punto si avvicinò di nuovo al mago e, con un colpo secco di spada, gli staccò la testa. Il mago cominciò a cercare con le mani la vescica, ma la vescica non c'era. Dalla rabbia stritolò le sponde del letto... ma la vescica non poté trovarla. Si dibatté un bel pezzo e poi si accasciò sul letto. Era morto. Bell'Aurora, quando vide che il mago era morto, saltò al collo di Giovanni e cominciò a baciarlo: "Tu sia benedetto! Tu, sei il mio liberatore! Mi hai liberata dal mago che mi teneva prigioniera da tanto tempo. Ora però bisogna che tu mi aiuti a toglierlo di qui". Lo presero e riuscirono a trascinarlo vicino alla finestra. Era pesantissimo. Con un po' di fatica furono capaci di tirarlo giù dalla finestra. La mattina seguente Giovanni si fece calare fuori dalle trecce di Bell'Aurora e scavò una fossa dove seppellì il mago.

Giovanni rimase alcuni giorni con la Bell'Aurora che si era innamorata di lui e che lo ricopriva di gentilezze. Gli raccontò tutta la sua vita, gli disse che era una principessa reale e che sarebbe stata contenta di sposarlo. "Come sei stato capace a scendere qui nel mondo di sotto" gli diceva, "sarai capace anche di tornare nel mondo di sopra. Io verrò con te e ci sposeremo. Mio padre quando saprà che tu mi hai liberata, ti lascerà il regno" "Ma non posso tornare su ora" rispondeva Giovanni, "è presto per me. Io devo restare quaggiù un anno e tre giorni. E poi il mio compito non è ancora finito quaggiù. Devo cercare gli altri maghi." "Sciagurato! Non lo fare! Io so che il mago che hai ammazzato ha un fratello quaggiù che è ferocissimo. Se ti trova quello, ti mangia subito. Tu morirai e io non potrò più tornare nel mondo di sopra." Bell'Aurora pianse e si disperò, ma Giovanni non tornò sopra le proprie decisioni. Le diceva: "Lasciami partire; ti prometto che ripasserò di qui e ti porterò con me nel mondo di sopra. Non dubitare che tornerò, parola di principe!" E una mattina, fra i pianti e la disperazione della ragazza, Giovanni si fece calare a terra e partì. E riprese il suo viaggio.

Cammina cammina cammina, camminò ancora un paio di mesi in quella sterminata prateria. Riprese a cibarsi di radici di paleo e a bere acqua, quando ne trovava. Finalmente una mattina scorse, ma lontano lontano, un altro castello che luccicava più di quello di Bell'Aurora. Vi si diresse e, quando arrivò vicino, si accorse che era tutto d'argento: una vera meraviglia! Il castello aveva un muro di cinta e un grande giardino; Giovanni entrò nel giardino attraverso un cancello: non c'era anima viva, ma il giardino era ben tenuto, quindi prima o poi qualcuno avrebbe dovuto presentarsi. La porta del castello era chiusa, ma Giovanni si fece coraggio e bussò. Pochi istanti più tardi si affacciò alla finestra una ragazza: se Bell'Aurora era bella, questa, al paragone, lo era cento volte di più. Giovanni, appena la vide, ne restò colpito e se ne innamorò. Le chiese di aprirgli, ma la ragazza gli rispose: "No bel giovane, non posso aprire. Questo è il palazzo del mago e non posso aprire a nessuno; se arrivasse il mago e vi trovasse dentro, ci mangerebbe tutti e due. E questa è proprio l'ora in cui arriva: è quasi l'ora di cena. Andatevene via subito e alla svelta, e pregate di non incontrarlo per la strada". "Ma io" insiste Giovanni, "non voglio restare nel castello, mi basta che mi facciate salire e che mi diate qualche cosa da mangiare. Son giorni e giorni che non mangio niente e non ce la faccio più. Vi prego, apritemi e fatemi la carità di un po' di cibo!" La ragazza si lasciò intenerire e andò ad aprire la porta. "Presto", gli disse, "venite su in cucina che vi darò qualcosa." Gli portò qualcosa da mangiare ed anche un bel fiasco di vino e lo incitava a mangiare alla svelta: "Fate presto! Bisogna che andiate via, aspetto il mago!" "No, non vado via; aspetterò il mago anch'io."

La ragazza cominciò a disperarsi e fece di tutto per convincere Giovanni ad andarsene. Stavano discutendo quando, d'improvviso, sentirono un gran boato e il palazzo cominciò a scuotere come per il terremoto: era il mago che stava arrivando. Lei allora, tutta preoccupata, disse al giovanotto di seguirla. Lo condusse in un locale al pian terreno, una specie di stanza di sgombero dove il mago teneva gli attrezzi più strani ed inutili. "Resterete qui fino a quando non tornerò a riprendervi. In questa stanza il mago non viene quasi mai, dovreste essere al sicuro." "Non dubitate" disse Giovanni, "che io di qui non mi muovo."

La ragazza lo rinchiuse laggiù e tornò in cucina. Mentre stava apparecchiando la tavola, ecco che entrò il mago e cominciò subito ad arricciare il naso e adire: "Sento puzza di cristianin, o ce n'è o ce ne vuol venir." "Io" disse la ragazza, "non ho visto nessuno." Ma il mago non era convinto e cominciò a frugare in tutte le stanze: andò nelle camere, nella soffitta e poi voleva scendere anche nei ripostigli del pian terreno: sentiva puzza di cristiano e voleva controllare ogni buco. La ragazza quando lo vide scendere le scale, cominciò ad aver paura: se avesse scoperto il giovanotto, sarebbero stati guai seri. Cominciò a sorridergli, ad accarezzarlo, e intanto gli diceva: "Ma no padroncino bello, qui non è venuto nessuno! Qui dei cristiani non ce n'è e non ce n'è venuti. Forse è perché avete fame che sentite tutti gli odori. O forse è il vento che è passato dalle parti dei cristiani e ora porta il loro puzzo". Insomma con un pò di moine ed un po' di carezze, le riuscì calmare il mago. Lo fece tornare in cucina egli dette da mangiare. Quando ebbe mangiato e bevuto, era anche stanco... aveva girato tutto il giorno... si addormentò con la testa sul tavolo di cucina. La ragazza, quando lo vide bene addormentato, corse subito alla stanza dove aveva rinchiuso Giovanni: "Giovane! Presto! Bisogna che partiate subito. Ora si è addormentato e non vi può vedere. Ma fate presto! Non lo sapete che fra poco vi trovava? Ha voluto vedere tutte le stanze del palazzo; tra poco morivo dalla paura! Fate presto!" "Ma non abbiate paura" fece lui, "io non ne ho. Piuttosto ditemi se sapete che ci sia un mezzo per far morire il mago." "Il mezzo ci sarebbe; ma chi ci riesce? E troppo difficile. Sapete, il mago va sempre a letto vestito e porta sempre un cinturone alla vita; in questo cinturone, che non si toglie mai di dosso, tiene nascosta una chiave. Questa chiave apre una porticina piccola piccola che è in camera sua, da capo al letto. La porticina racchiude una piccola nicchia dove si trova un cestella con della bambagia e, nascosto nella bambagia, un grosso uovo. Ecco, per far morire il mago, bisogna prendere questo uovo e spaccarglielo in fronte. Ma chi è capace di prendere la chiave che tiene nel cinturone? Ve l'ho detto: il mezzo ci sarebbe, ma è troppo difficile." "Non vi preoccupate" disse Giovanni, "voi accompagnate il mago a letto, copritelo per bene, rincalzategli le coperte e fate di tutto perché si addormenti di nuovo. Al resto ci penso io."

La ragazza tornò in cucina e cominciò ad accarezzare il mago per svegliarlo dolcemente: "Su padrone! Andatevene a letto. Qui siete scomodo e non vi riposate." Riuscì a convincerlo. Lo accompagnò in camera, gli rincalzò per bene le coperte e aspettò che si addormentasse di nuovo. Poi andò a chiamare Giovanni, che si tolse le scarpe per non far rumore e andò in camera del mago. Il mago russava; Giovanni con una mano teneva l'impugnatura della spada e con l'altra cercava di tirar giù le coperte per prendere la chiave nascosta nel cinturone. Ci riuscì. Aprì lo sportellino che era da capo al letto, frugò nel cestello e trovò l'uovo che gli aveva descritto la ragazza. Lo prese e andò ai piedi del letto; prese bene la mira e, con quanta forza aveva, lanciò l'uovo nella fronte del mago. Il mago tirò un grido e saltò via dal letto: cadde a terra morto stecchito. La ragazza saltò al collo di Giovanni e cominciò a baciarlo: "Tu sei il mio liberatore» diceva, «se tu non fossi arrivato io sarei rimasta qui prigioniera per tutta la vita." Poi aprirono la finestra e tirarono il corpo del mago nel giardino; Giovanni scavò una fossa e lo seppellì.

I due giovani rimasero insieme per alcuni giorni e si raccontarono le loro storie. La ragazza era una principessa che il mago aveva rapito alcuni ami addietro. Giovanni le promise che l'avrebbe riportata nel mondo di sopra. Lei avrebbe voluto andarsene subito, ma lui le disse che non poteva partire subito: la sua missione non era ancora compiuta e doveva restare ancora qualche mese laggiù, doveva cercare un altro mago. Lei cominciò a piangere e a sgomentarsi: "No, non te ne andare! Il mago che tu vuoi cercare è fratello di questo qui, ma è tanto più feroce e con lui non vincerai. Quello come ti vede ti mangia! Se tu parti io non ti rivedrò più!" La ragazza pianse e si disperò, ma Giovanni non si lasciò convincere: "Io non ho paura di nessuno" disse,"come ho ammazzato i primi due, ammazzerò anche il terzo. Sono venuto quaggiù per cercare il ladro che rubava : pomi d'oro dal giardino di mio padre, e non tornerò nel mondo di sopra fino a quando non lo avrò trovato. Potrebbe essere proprio il mago di cui tu hai tanta paura." Ma lei piangeva e continuava a dire: "Se tu mi lasci qui, ti dimenticherai di me e io non ti vedrò mai più. Dovrò morire nel mondo di sotto, senza poter rivedere i miei genitori" "Non ti disperare: questo palazzo è pieno di roba da mangiare, tu mangia e bevi e stai tranquilla. Ti prometto e ti giuro che, quando avrò ammazzato anche il terzo mago, passerò di qui e ti porterò con me nel mondo di sopra. Non posso promettere di sposarti, ma ho altri due fratelli, principi come me, vedrai che uno di loro ti prenderà per moglie." La salutò e, nonostante lei continuasse a piangere, partì per la prateria.