Lombardia: Maschere tradizionali di Carnevale

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Meneghino

immagine Meneghino

Meneghino è una maschera lombarda che nasce nel Seicento dalla fantasia del commediografo Carlo Maria Maggi. Impersona un servitore rozzo ma di buon senso che, desideroso di mantenere la sua libertà, non fugge quando deve schierarsi al fianco del suo popolo. È abile nel deridere i difetti degli aristocratici. «Domenighin» era il soprannome del servo, che la domenica accompagnava le nobildonne milanesi a messa o a passeggio. Durante l'insurrezione delle Cinque Giornate di Milano nel 1848 fu scelto dai milanesi per le sue virtù come simbolo di eroismo. Meneghino é la tipica maschera dei milanesi e come loro è generoso, sbrigativo e non sa mai stare senza far nulla. Non é a caso che i milanesi vengano spesso chiamati i «meneghini». Ama la buona tavola e davanti ad una fetta di panettone possono anche salirgli le lacrime agli occhi, non solo perché ne é molto goloso, ma perché gli ricorda la sua Milano e il «so Domm» di cui non smette mai di vantarsi. Vestito di una lunga giacca marrone, calzoni corti e calze a righe rosse e bianche, cappello a forma di tricorno sopra una parrucca con un codino stretto da un nastro, ancora oggi, assieme alla moglie Checca, trionfa nei carnevali milanesi.


Arlecchino

immagine Arlecchino

L'Arlecchino, maschera della commedia dell'arte appartenente alla famiglia degli Zanni (Giovanni in Bergamasco) ormai usata come costume di carnevale, rappresenta la parte povera della città di Bergamo (mentre il Brighella rappresenta la borghesia bergamasca). Il nome «arlecchino» deriva da «hellequin»: nome di un diavolo buffone delle leggende medievali francesi (da qui, la somiglianza nel nome e nel comportamento da buffone). Le radici di questa maschera si trovano sul palcoscenico dei teatri e sui canovacci di autori come il nostro Carlo Goldoni; il suo ruolo è quello del servo, povero, sempre attivo a cercare cibo e una donna da amare. L'Arlecchino salì sul palcoscenico nel XVII secolo vestito con larga casacca e pantaloni bianchi, che dopo poco tempo sostituì con il suo costume attuale: pantaloni aderenti fino alle caviglie e casacca larga, tappezzati da losanghe verdi, gialli, blu e rossi; una maschera di cuoio nero copre metà viso lasciando scoperta la bocca e permettendo una buffa mimica, caratteristica del personaggio, con sopracciglia voluminose che esprimono aria interrogativa. Porta un cappuccio bianco come copricapo, ornato con coda di coniglio o di lepre, e una cintura in vita a cui è appeso il batocio. È il tipico servo ignorante, goffo, ma di astuzia sorniona, capace di abbindolare i suoi padroni per scappare dai guai e per sfuggire alle busse dei forti e dei prepotenti. Avido e scaltro, sempre innamorato di una servetta e perennemente alla ricerca di cibo e danaro.

Maschera dal linguaggio sboccato, rudemente espressivo, dalle origini bergamache, che nel corso della storia curò il suo linguaggio senza dimenticare gli idiotismi bergamaschi mescolati al veneziano ed a un francese ad arte storpiato. La capacità scenica dell'arlecchino richiedeva un'allenamento formidabile ed espressioni mimiche che resero famoso il servo. La parola arlecchino entrò presto nell'uso quotidiano indicando comportamenti poco seri e indumenti di grande fantasia.


Brighella

immagine Brighella

La maschera di Brighella ha origini bergamasche, come il compare Arlecchino; anch'egli come zanni è servo astuto e opportunista, campione nell'ordire intrighi, malizioso e furfante, lascivo e crudele, ladro e insolente, e all'occasione ubriacone e assassino. La sua lealtà e di facile acquisto da chiunque, suo padrone e non; abile consigliere degli innamorati. Nel corso degli anni il vestito cambiò molte volte, fino a raggiungere quello che fu l'attuale divisa di Brighella. La larga gonna bianca orlata di verde della maschera originaria lasciò il posto a una casacca indossata sopra ampi pantaloni decorati con nastri verdi. A completare l'abbigliamento era poi un mantello con passamanerie dello stesso colore. Accessori vari arricchivano l'insieme: un bastone (il «batocio», vale a dire lo strumento utilizzato per rimestare la polenta) che in seguito si trasformò in uno spadino, un'ampia borsa di pelle, entrambi attaccati a una cintura, e un berrettone bianco i cui profili richiamavano, nella foggia e nel colore, quelli del vestito. Le scarpe e la cintura sono variamente raffigurate o color giallo o color cuoio. La mezza maschera di tinta verde-oliva, che lasciava intravedere uno sguardo licenzioso, comprendeva un naso aquilino ed era indossata sopra una folta barba, nera e irsuta, e su un bel paio di baffi da cavaliere pettinati e rastrelliera. Il modo di parlare e di gesticolare erano sicuramente più sobri del più atletico Arlecchino, il Brighella nel corso degli anni migliorò nel carattere e mitigò le proprie scelleratezze. Brighella deriva dal appellativo «brigare» che è proprio una delle caratteristiche del personaggio, infatti ancora oggi si usa dire «fare il brighella» cioè comportarsi in modo poco serio, fare il burattino.


Gioppino

immagine Gioppino

Gioppino è forse la più antica maschera bergamasca anche se qualcuno lo fa risalire all'ottocento. Il suo aspetto fisico è indimenticabile: sfoggia, infatti, tre Gozzi prominenti che sono solito definire le sue granate o splendidi coralli, lì esibisce cioè non come fossero difetti fisici ma veri e propri gioielli che al figlio Bortolì de Sanga spetta di perpetuare. Più abile a trattare con le mucche che con le donne, Gioppino era sposato con Margì di cui si dichiarava innamoratissimo sebbene ricercasse, quando poteva, la compagnia d'altre donne. Era il tipo del contadino amante del vino e della buona tavola, dal pensiero elementare ma efficace a trarlo d'impiccio e talora aiutato dal corto bastone che gli serviva a girare la polenta ma anche a convincere chiunque ostacolasse i suoi piani. Vestiva una rozza giubba rossa orlata di verde, una camicia aperta fino a scoprire il ventre, pantaloni scuri alla zuava e un cappellaccio nero e informe.