Fiabe Classiche - H.C.Andersen: Il paradiso terrestre (parte II)

libro animato

"Raccontami un pò gli disse "che principessa è quella di cui parlate tanto, e dove si trova il paradiso terrestre?" "Oh!" disse il vento dell'Est "se ci vuoi andare puoi venire con me domani. Ma ti devo avvertire che non c'è più stato nessun altro uomo dopo Adamo e Eva. E quelli li conosci di certo dalla Bibbia!" "Certo!" rispose il principe. "Quando furono cacciati, il paradiso terrestre precipitò sulla terra, ma mantenne il caldo sole, l'aria mite e tutte le sue meraviglie. Vi abita la regina delle fate, nell'isola della beatitudine dove la morte non arriva mai; è proprio bello starci! Domani siediti sulla mia schiena e io ti porterò con me: credo che si possa fare. Ma adesso smetti di parlare, perché voglio dormire." E così tutti dormirono. Nelle prime ore del mattino il principe si svegliò e restò non poco stupito vedendo che era già in alto sopra le nuvole. Era seduto sulla schiena del vento, che lo teneva ben stretto, erano così in alto che i boschi, i fiumi e i laghi apparivano come su una carta geografica illuminata. "Buon giorno!" disse il vento dell'Est. "Potevi anche dormire un pò di più, non c'è molto da vedere nel paese che c'è sotto di noi. A meno che tu abbia voglia di contare le chiese: sembrano macchie di gesso sulla tavola verde." Quello che lui chiamava tavola verde erano in realtà prati e campi. "È stato scortese che io non abbia salutato tua madre e i tuoi fratelli!" esclamò il principe. "Quando si dorme non si ha colpa" rispose il vento dell'Est e volò più in fretta di prima. Lo si poteva sentire dalle cime dei boschi: quando si sfioravano, i rami e le foglie frusciavano, e lo si poteva capire dal mare e dai laghi: dove passavano loro, le onde si ingrossavano e le grosse navi si piegavano verso l'acqua, come cigni che nuotino.

Verso sera, quando si fece buio, fu divertente guardare le grandi città; le luci brillavano un pò qua e un pò là, come quando si brucia un pezzo di carta e si vedono molte piccole scintille di fuoco scomparire, simili ai bambini che escono da scuola. Il principe batté le mani, ma il vento dell'Est gli chiese di non farlo, e di tenersi ben saldo, perché altrimenti sarebbe potuto cadere e rimanere appeso alle guglie di qualche chiesa. L'aquila vola leggera nel bosco scuro, ma il vento dell'Est volava ancora più leggero. Il cosacco cavalca veloce le pianure sul suo cavallino, ma il principe cavalcava in modo ben diverso. "Ora puoi vedere l'Himalaja!" esclamò il vento dell'Est. "È la montagna più alta dell'Asia; tra poco saremo al paradiso terrestre." Si diressero verso sud e subito sentirono un profumo di aromi e di fiori. I fichi e i melograni crescevano liberamente e l'uva aveva grappoli rossi e blu. I due scesero e si sdraiarono sulla tenera erba, dove i fiori si inchinavano al vento come avessero voluto dire: «Bentornato!». "Siamo nel paradiso terrestre?" chiese il principe. "Certo che no!" rispose il vento dell'Est "ma ci saremo presto. Vedi quella parete di roccia e quella grossa grotta, dove i tralci di vite pendono come grandi tende verdi? Dobbiamo passare là in mezzo. Avvolgiti bene nel mantello, qui il sole è caldo, ma tra un passo ci sarà un freddo polare. L'uccello che passa davanti alla grotta ha un'ala nella calda estate e l'altra nel freddo inverno." "È quella la strada per il paradiso terrestre?" chiese il principe.

Entrarono nella grotta, uh, che freddo faceva! Ma non durò a lungo. Il vento dell'Est allargò le ali e queste brillarono come il fuoco più lucente; che grotta! Grossi massi di pietra, da cui gocciolava l'acqua, pendevano sopra di loro nelle forme più strane, ogni tanto era così stretto che dovevano camminare a quattro zampe, altre volte così alto e ampio che sembrava d'essere all'aria aperta. Pareva di essere in una cappella funebre, con canne d'organo mute e stendardi pietrificati! Entrarono nella grotta, uh, che freddo faceva! Ma non durò a lungo. Il vento dell'Est allargò le ali e queste brillarono come il fuoco più lucente; che grotta! Grossi massi di pietra, da cui gocciolava l'acqua, pendevano sopra di loro nelle forme più strane, ogni tanto era così stretto che dovevano camminare a quattro zampe, altre volte così alto e ampio che sembrava d'essere all'aria aperta. Pareva di essere in una cappella funebre, con canne d'organo mute e stendardi pietrificati! "Passiamo per la strada della morte per arrivare al paradiso terrestre?" chiese il principe, ma il vento non rispose, e indicò davanti a loro: una meravigliosa luce azzurra veniva loro incontro. I massi di pietra si trasformavano sempre più in nebbia, e alla fine divennero trasparenti come una nuvola bianca nella luce lunare. Ora si trovavano immersi in un'aria mite e trasparente, fresca come sulle montagne e profumata come vicino alle rose della valle.

Scorreva un fiume, trasparente come l'aria stessa, e i pesci erano d'oro e d'argento; anguille color porpora, che a ogni movimento sprizzavano scintille azzurre, giocavano sott'acqua, le larghe foglie della ninfea avevano i colori dell'arcobaleno, il fiore era una fiamma rosso-gialla ardente che l'acqua nutriva, così come l'olio nutre la lampada! un ponte di marmo ben saldo, ma intagliato così finemente e con tale arte da sembrare fatto di pizzi e perle, portava all'isola della beatitudine, dove fioriva il paradiso terrestre. Il vento prese in braccio il principe e lo portò dall'altra parte. Lì i fiori e le foglie cantavano le più deliziose canzoni della sua infanzia, ma con una tale dolcezza, che nessuna voce umana può possedere. Erano palme e gigantesche piante acquatiche quelle che crescevano? Alberi così grandi e rigogliosi il principe non ne aveva mai visti! Stranissime piante rampicanti pendevano in lunghe corone, come quelle che si trovano raffigurate a vari colori e in oro sul margine di vecchi libri di santi, o intrecciate con le lettere iniziali. Era una strana unione di uccelli, fiori e ghirigori. Nell'erba folta si trovava un gruppo di pavoni con le code tese che luccicavano. Davvero! Quando il principe li toccò, capì che non erano animali, ma piante, enormi piante di farfaraccio che brillavano come fossero state bellissime code di pavoni. Il leone e la tigre balzarono, come agili gatti, tra i verdi cespugli che profumavano come i fiori dell'olivo; sia il leone che la tigre erano mansueti; la colomba selvatica brillava come la perla più bella e frullava le ali sulla criniera del leone; l'antilope, che di solito è molto timida, faceva cenno col capo come avesse voluto giocare anche lei.

Poi giunse la fata del paradiso terrestre, i suoi abiti splendevano come il sole e il suo viso era dolce, come quello di una madre che è felice per il suo bambino. Era così giovane e bella, e era accompagnata da fanciulle bellissime, ognuna con una stella che brillava tra i capelli. Il vento dell'Est le diede la foglia scritta dall'araba fenice, e i suoi occhi brillarono di gioia. Prese per mano il principe e lo condusse nel suo castello, dove le pareti avevano i colori dei più bei petali di tulipani messi contro sole, e il soffitto stesso era un enorme fiore luminoso, e più lo si guardava, più il calice sembrava profondo. Il principe andò alla finestra e guardò fuori; vide così l'albero della conoscenza, con il serpente, e lì vicino Adamo e Eva. "Non sono stati cacciati?" chiese, e la fata sorrise e gli spiegò che il tempo aveva impresso a fuoco, su ogni finestra, un'immagine, ma non come siamo abituati a vedere noi, in quelle c'era vita, le foglie degli alberi si muovevano e gli uomini andavano e venivano, come in uno specchio. Egli guardò allora in un'altra finestra, e vide il sogno di Giacobbe, con la scala che portava fino al cielo e gli angeli che volavano su e giù con le loro grandi ali. Sì, tutto quanto era avvenuto nel mondo viveva là e si muoveva nei vetri delle finestre, solo il tempo aveva potuto imprimervi immagini così splendide! La fata sorrise e lo condusse in un salone, ampio e molto alto, le cui pareti sembravano vetrate trasparenti, istoriate con volti uno più bello dell'altro. Lì si trovavano milioni di beati, che sorridevano e cantavano, e tutto andava a formare un'unica melodia, quelli più in alto erano così lontani che apparivano più piccoli del più piccolo bocciuolo di rosa che si può disegnare come un punto sulla carta. In mezzo al salone c'era un grande albero con rami pieni di foglie; mele dorate, grandi e piccole, comparivano come arance tra le foglie verdi. Questo era l'albero della conoscenza, di cui Adamo e Eva avevano mangiato il frutto. Da ogni foglia pendeva una lucente goccia rossa di rugiada: era come se l'albero versasse lacrime di sangue.

"Saliamo sulla barca!" disse la fata "ci rinfrescheremo, abbandonati alle onde! La barca dondola, ma non si muove, eppure tutti i paesi del mondo passeranno davanti ai nostri occhi." Era proprio strano vedere come tutta la costa si muoveva. Giunsero le alte Alpi coperte di neve, con grosse nuvole e neri abeti, il corno risuonava malinconico e il pastore cantava con allegria lo jodel verso la valle. Poi vide i banani piegare i loro lunghi e carichi rami verso la barca; cigni neri come il carbone nuotavano e gli animali e i fiori più strani si trovavano sulla riva. Era la Nuova Zelanda, la quinta parte del mondo, che passava davanti a loro, mostrando le sue montagne azzurre. Si sentiva il canto della principessa e si vedevano le danze dei selvaggi al suono del tamburo e delle trombe di osso. Le piramidi dell'Egitto, che arrivavano fino alle nuvole, passarono di lì, e con loro colonne e sfingi crollate, semicoperte dalla sabbia. L'aurora boreale brillava sui vulcani del Nord, era un fuoco d'artificio impossibile da imitare. Il principe era così felice, e vide cento volte più cose di quelle che vi abbiamo raccontato. "Posso restare qui per sempre?" chiese. "Dipende da te! Se non ti lasci tentare, come Adamo, a fare ciò che è vietato, potrai restare qui." "Non toccherò le mele dell'albero della conoscenza" disse il principe. "Qui ci sono migliaia di altri frutti belli come quelle!" "Esamina te stesso: se non sei abbastanza deciso, riparti con il vento dell'Est che ti ha portato fin qui; lui ora riparte e tornerà solo tra cento anni; cento anni che trascorreranno per te in questo luogo come fossero solo cento ore, ma è comunque un periodo lungo per la tentazione e il peccato. Ogni sera, quando me ne andrò, ti dirò: «Seguimi!», e ti farò cenno con la mano, ma tu non dovrai seguirmi. Non venire con me, altrimenti a ogni passo il tuo desiderio diventerà sempre più grande; arriverai nella sala dove cresce l'albero della conoscenza; io dormo sotto i suoi rami pendenti pieni di profumo. Tu ti piegherai su di me e io ti sorriderò, ma se tu mi darai un bacio sulla bocca, il paradiso terrestre sprofonderà nella terra e tu lo perderai. Il vento tagliente del deserto ti avvolgerà, la fredda pioggia ti bagnerà i capelli. Dolore e tribolazione saranno tutto il tuo avere!" "Resto qui!" esclamò il principe, e il vento dell'Est lo baciò in fronte dicendo: "Sii forte, e ci rivedremo tra cento anni! Addio, addio!" e allargò le grandi ali, e queste luccicarono come il grano durante il raccolto, o come l'aurora boreale nel freddo inverno. «Addio, addio!» risuonò tra i fiori e gli alberi. Le cicogne e i pellicani volarono in fila, come nastri svolazzanti, e lo accompagnarono fino al confine del paradiso terrestre. "Ora cominceranno le danze!" disse la fata "alla fine, quando ballerò con te, vedrai che al calar del sole ti farò cenno e ti dirò: «Seguimi!», ma tu non farlo. Per cento anni ogni sera dovrò ripetere questo invito, e ogni volta che supererai la prova diventerai più forte, e alla fine non ti costerà nulla. Stasera sarà la prima volta, ti ho avvertito!"

La fata lo portò in un salone pieno di bianchi gigli trasparenti, i cui gialli pistilli erano arpe dorate che emettevano i suoni degli strumenti a corda e dei flauti. Bellissime fanciulle, agili e leggere vestite di veli ondeggianti che lasciavano vedere quei deliziosi corpi, si libravano nella danza e cantavano che la vita era bella, e che non volevano morire, e che il paradiso terrestre sarebbe sempre rimasto in fiore.

Il sole tramontò e il cielo divenne tutto d'oro, i gigli brillarono come le rose più belle e il principe bevve il vino spumeggiante, che le fanciulle gli offrivano: sentì un senso di beatitudine, che non aveva mai provato prima. Vide che il fondo della sala si apriva e l'albero della conoscenza appariva in tutto il suo splendore, abbagliando la vista del principe; dall'albero giungeva un canto dolce e meraviglioso, che aveva la voce di sua madre, e gli sembrò che cantasse: «Bambino mio! mio amato figlio!». In quel momento la fata gli fece cenno e gli gridò amabilmente: "Seguimi! Seguimi!". Egli si precipitò da lei, dimenticando la sua promessa; la dimenticò già la prima sera, quando la fata gli sorrise e gli fece cenno. Il profumo, quell'intenso profumo che lo circondava, si fece ancora più forte, le arpe suonavano in modo ancor più delizioso e sembrò che milioni di volti sorridessero nel salone dove l'albero cresceva, si dondolava e cantava: "Bisogna conoscere tutto! L'uomo è il signore della Terra!". E non erano più lacrime di sangue, quelle che cadevano dalle foglie dell'albero, erano per lui rosse stelle luminose. "Seguimi! Seguimi!" risuonava la tremula melodia, e a ogni passo le guance del principe si infuocavano sempre più e il sangue circolava più in fretta. "Devo andare!" disse "non è peccato, non può esserlo! Perché non seguire la bellezza e la gioia? Voglio vederla dormire. Nulla è perduto, se non la bacio, e io non la bacerò, sono forte, ho una volontà risoluta." La fata gettò il suo abito splendente, e piegò verso di sé i rami che subito la nascosero. "Non ho ancora peccato!" esclamò il principe "e neppure lo farò!" e intanto spostò i rami: lei dormiva già, bellissima, come solo una fata del paradiso terrestre può esserlo, e sorrideva nel sogno; lui si chinò verso di lei e vide che le lacrime le tremavano sulle ciglia. "Piangi per me?" sussurrò "non piangere, bella creatura! Solo ora comprendo la felicità del paradiso terrestre, mi scorre nel sangue, nei pensieri, sento nel mio corpo terreno la forza dei cherubini e la vita eterna. Che la notte eterna mi prenda! Voglio vivere ancora un attimo di questa ricchezza!" e baciò le lacrime che erano su quegli occhi, e la sua bocca toccò quella di lei... Risuonò un fragore di tuono, profondo e terribile, come mai nessuno aveva sentito, e tutto precipitò: la bella fata, il paradiso fiorito sprofondarono, sprofondarono tanto che il principe li vide sparire nella nera notte; poi brillarono lontanissimo, come una piccolissima stella. Il freddo della morte gli trapassò il corpo, egli chiuse gli occhi e giacque a lungo, come morto. La fredda pioggia gli cadde sul viso, il vento tagliente soffiò su di lui, allora riprese conoscenza. "Che cosa ho fatto!" sospirò "ho peccato, come Adamo! Ho peccato, così il paradiso terrestre è sprofondato!" Aprì gli occhi, vedeva ancora quella stella lontanissima, che brillava come il paradiso perduto; era la stella del mattino nel cielo. Si alzò e si trovò nel grande bosco, vicino alla grotta dei venti, e la madre dei venti era seduta al suo fianco: adirata agitava le braccia in aria. "Già la prima sera!" disse "lo sapevo! Se tu fossi mio figlio ti chiuderei nel sacco!" "Finirà proprio lì!" disse la morte, che era un vecchio robusto con una falce in mano e grandi ali nere. "Lo metterò in una bara, ma non subito; gli farò un segno e lo lascerò vagare per il mondo un pò di tempo, per espiare il suo peccato e per diventare migliore. Quando meno se lo aspetterà, lo metterò nella bara nera, lo poserò sulla mia testa e volerò verso la stella; anche lassù fiorisce il paradiso terrestre, e se lui sarà buono e pio, potrà entrarvi, se invece i suoi pensieri saranno cattivi e il suo cuore ancora pieno di peccato, sprofonderà con la bara ancora più in basso del paradiso terrestre, e solo ogni cento anni andrò a prenderlo per vedere se dovrà sprofondare di più o se potrà andare sulla stella, su quella stella che luccica lassù!"