Fiabe Classiche - H.C.Andersen: Il paradiso terrestre (parte I)

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C'era una volta... un figlio di re; nessuno aveva tanti bei libri come lui: poteva leggere e guardare raffigurato in magnifiche illustrazioni tutto quello che era successo nel mondo. Poteva avere notizie di ogni popolo e di ogni paese, ma dove si trovasse il paradiso terrestre non era scritto da nessuna parte; lui pensava soprattutto a questo. La nonna gli aveva raccontato, quando era ancora piccolo e doveva andare a scuola, che ogni fiore del paradiso terrestre era in realtà un dolce buonissimo, che ogni stame era pieno del vino migliore, che su un fiore c'era la storia, su un altro la geografia o le tabelline, e che bastava mangiarli per imparare le lezioni; quanto più se ne mangiavano, tanto più si imparava di storia, geografia e tabelline. A quei tempi lui ci credeva, ma ora che era cresciuto, l'aveva imparato di più e era diventato più sveglio, aveva capito che doveva esserci un altro genere di bellezza nel paradiso terrestre. "Oh! Perché Eva violò la legge dell'albero della conoscenza? Perché Adamo mangiò il frutto proibito? Se fossi stato io, non sarebbe successo! Non sarebbe mai arrivato il peccato sulla Terra!" Così diceva allora e così diceva ancora adesso, che aveva diciassette anni. Il paradiso terrestre occupava tutti i suoi pensieri!

Un giorno andò nel bosco, se ne andò da solo, perché questo era il suo divertimento preferito. Venne sera e le nuvole si ingrossarono, si mise a piovere forte come se il cielo fosse un'unica cataratta da cui cadeva tutta l'acqua; era così buio che sembrava di essere di notte nel pozzo più profondo. Il principe cominciò ora a scivolare sull'erba bagnata, ora a cadere sulle pietre nude che sporgevano dal terreno. Tutto gocciolava d'acqua, e il principe stesso si ritrovò bagnato fradicio. Si dovette arrampicare su grossi blocchi di pietra coperti di alto muschio che gocciolava tutto. Stava per svenire, quando sentì uno strano sibilo e vide davanti a sé una grande grotta illuminata. Nel mezzo ardeva un fuoco così grande che ci si poteva arrostire un cervo, e era infatti quel che stava accadendo. Un bellissimo cervo dalle lunghe corna era stato messo sullo spiedo e girava lentamente, appoggiato a due tronchi d'abete abbattuti. Una vecchia grossa e robusta, che sembrava un uomo travestito, era seduta vicino al fuoco e vi gettava senza sosta pezzi di legna. "Vieni più vicino!" disse "siediti vicino al fuoco così i tuoi abiti asciugheranno." "C'è un'aria terribile, qui" esclamò il principe sedendosi sul pavimento. "Sarà ancora peggio quando torneranno a casa i miei figli!" rispose la donna. "Ti trovi nella grotta dei venti, i miei figli sono i quattro venti del mondo. Lo capisci?" "Dove sono i tuoi figli?" chiese il principe. "Non è facile rispondere a una domanda sciocca! I miei figli sono in libertà, giocano a palla con le nuvole su nel grande salone" e indicò verso l'alto. "Ah sì?" esclamò il principe. "Però voi parlate duramente e non siete dolce come le altre donne che di solito mi stanno intorno!" "Certo! Quelle non avranno altro da fare! Io devo essere dura se voglio che i miei figli siano disciplinati. E ci riesco, anche se hanno la testa dura! Vedi quei quattro sacchi appesi alla parete? Di quelli hanno paura proprio come tu avevi paura della bacchetta dietro lo specchio. Io sono ancora capace di piegare i miei ragazzi, te lo assicuro, e di metterli nel sacco. Qui non facciamo complimenti! Restano lì dentro e non tornano a bighellonare, finché non credo che sia giunto il momento giusto. Ma ecco che ne arriva uno."

Era il vento del Nord, che entrò con un freddo incredibile; grossi chicchi di grandine rimbalzarono sul pavimento e fiocchi di neve volarono dappertutto. Indossava calzoni e una giacca di pelle d'orso, un cappello di pelle di foca gli copriva anche le orecchie; lunghi ghiaccioli gli pendevano dalla barba, e dal bavero della giacca caddero per terra chicchi di grandine. "Non andare subito vicino al fuoco!" lo avvertì il principe. "Possono venirti i geloni alle mani e al viso!" "Geloni!" disse il vento del Nord ridendo forte. "Geloni! è proprio il mio divertimento preferito! E tu chi sei? Come mai sei qui nella grotta dei venti?" "Geloni!" disse il vento del Nord ridendo forte. "Geloni! è proprio il mio divertimento preferito! E tu chi sei? Come mai sei qui nella grotta dei venti?" La frase ebbe il suo effetto, e il vento del Nord raccontò da dove proveniva e dove era stato per quasi un mese intero. "Vengo dal Polo!" disse. "Sono andato verso l'Isola degli Orsi con alcuni russi cacciatori di trichechi. Ho dormito sul timone mentre navigavano da Capo Nord. Quando ogni tanto mi svegliavo, le procellarie mi volavano tutt'intorno. È proprio uno strano uccello, si solleva con un rapido colpo delle ali, poi le mantiene completamente immobili e pure vola velocissimo." "Non essere troppo prolisso!" esclamò la madre dei venti. "Sei poi arrivato all'Isola degli Orsi?" Che bellezza! C'è un pavimento fantastico per ballare, è tutto liscio come un piatto. Laggiù c'era neve mezza gelata e muschio, pietre appuntite e ossa di tricheco e di orso polare, sembravano proprio braccia e gambe di antichi guerrieri ricoperti di muffa verde, come se il sole non li avesse mai raggiunti. Disperdendo la nebbia con il mio soffio scoprii un rifugio, una capanna di rottami ricoperta di pelle di tricheco, con la parte della carne tutta rossa e verde rivolta verso l'esterno. Sul tetto era seduto un orso bianco vivo che brontolava. Poi andai alla spiaggia a vedere i nidi di uccello; trovai dei piccoli ancora implumi, che gridavano con il becco spalancato; io soffiai nelle loro mille gole e così impararono a tenere la bocca chiusa. Più oltre c'erano trichechi che si rotolavano come budella vive o come enormi lombrichi con la testa di maiale e denti lunghissimi!" "Sai raccontare benissimo, figlio mio!" disse la madre. "Mi viene l'acquolina in bocca a ascoltarti." "Poi ci fu la caccia. L'arpione venne infilato nel petto del tricheco, e uno spruzzo di sangue fumante si sparse sul ghiaccio come fosse una fontana. Allora pensai di intervenire. Soffiai e intrappolai le imbarcazioni con i miei velieri, gli altissimi iceberg. Accidenti come fischiarono i cacciatori! come gridarono! Ma io fischiai ancora più forte. Dovettero trascinare sul ghiaccio i corpi dei trichechi morti, le casse e le sartie! Io gli scrollai intorno neve e li costrinsi a dirigersi trascinando le loro prede verso sud, sempre con le navi intrappolate tra il ghiaccio, così assaggeranno l'acqua salata del Sud! E non torneranno mai più all'Isola degli Orsi!" "Allora hai fatto del male!" esclamò la madre dei venti. "Il bene che ho fatto lo racconteranno gli altri!" rispose il vento. "Ma ecco che arriva mio fratello di Ponente, è quello con cui mi trovo meglio, sa di mare e porta con sé una bella frescura." "È il piccolo Zefiro?" chiese il principe. "Sì, è Zefiro" rispose la vecchia "ma non è più così piccolo. Tanto tempo fa era proprio un bel ragazzino, ma ora quei tempi sono passati!" Aveva un aspetto selvaggio, si proteggeva le testa con un cercine e in mano teneva un bastone di mogano preso nelle foreste americane. Non ci si poteva aspettare di meno! "Da dove vieni?" gli chiese sua madre. "Dalle foreste vergini!" rispose. "Dove le liane piene di spine si avvolgono tra gli alberi, dove il serpente d'acqua è nascosto tra l'erba e dove gli uomini sono di troppo!" "Che cos'hai fatto lì?" "Ho visto un fiume profondo che si gettava da una roccia e si trasformava in pulviscolo risalendo verso le nuvole, per reggere l'arcobaleno. Ho visto nuotare il bufalo selvaggio in quel fiume e ho visto che la corrente lo travolgeva: inseguiva uno stormo di anatre selvatiche, ma queste si alzarono in volo quando l'acqua precipitò, il bufalo invece cadde giù: è stato proprio bello! Poi mi misi a soffiare una tale tempesta che gli alberi secolari si sradicarono e si spezzarono." "Non hai fatto altro?" chiese la vecchia. "Ho fatto le capriole nelle savane, ho accarezzato i cavalli selvaggi e ho scrollato le palme da cocco! Certo: ne ho di storie da raccontare! Ma non si deve dire tutto ciò che si sa. Lo sai anche tu, vecchia mia" e intanto baciò sua madre e quasi la fece cadere a terra; era proprio un ragazzo selvaggio. Poi arrivò il vento del Sud, col turbante e un mantello da beduino che svolazzava.

"Fa proprio freddo qua dentro!" disse, e aggiunse legna al fuoco. "Si sente subito che il vento del Nord è già arrivato." "Adesso fa così caldo che si potrebbe arrostire un orso bianco!" rispose il vento del Nord. "Tu sei un orso bianco!" replicò il vento del Sud. "Volete finire nel sacco?" chiese la vecchia. "Siediti su quella pietra e racconta dove sei stato." "In Africa, mamma" rispose. "Sono stato con gli ottentotti a caccia del leone, nel paese dei cafri. Che erba cresce su quelle pianure! verde come le olive. L'antilope ha danzato e lo struzzo ha fatto una gara con me, ma io sono stato più veloce. Sono arrivato fino al deserto giallo di sabbia: sembra il fondo del mare. Ho incontrato una carovana: stavano uccidendo il loro ultimo cammello per avere un po' d'acqua da bere, ma ce n'era molto poca. Il sole ardeva in alto e la sabbia bruciava in basso. Il deserto non aveva confini. Allora mi sono rotolato tra quella sabbia sottile e leggera, sollevandola. Avresti dovuto vedere come si piegava il dromedario e come il commerciante si tirava il caffettano sulla testa! Si è gettato a terra davanti a me come se fossi stato Allah, il suo Dio. Adesso sono là seppelliti, c'è una piramide di sabbia su di loro; quando un giorno la soffierò via, il sole imbiancherà le loro ossa bianche e i viandanti vedranno che lì c'erano già stati altri uomini prima. Altrimenti non lo si potrebbe credere, nel deserto!" "Allora hai fatto solo del male!" disse la madre. "Vai nel sacco!" e prima che lui se ne accorgesse, era già stato afferrato alla vita e messo nel sacco. Questo rotolò sul pavimento, ma la vecchia vi si sedette sopra e così dovette calmarsi. "Avete proprio dei bravi ragazzi!" disse il principe. "Insomma!" rispose la vecchia "ma io so farli rigare dritto! Ecco che arriva il quarto!" Era il vento dell'Est, vestito come un cinese.

"Ah, vieni da quella parte!" disse la madre. "Credevo che fossi stato nel paradiso terrestre." "No, ci vado domani!" rispose il vento dell'Est. "Domani scadono cento anni dall'ultima volta. Adesso vengo dalla Cina, dove ho ballato intorno alla torre di porcellana, perché tutte le campane suonassero. Per la strada i funzionari venivano colpiti sulla schiena con canne di bambù; erano tutti funzionari dal primo al nono grado e gridavano: "Molte grazie, mio paterno benefattore!", ma non pensavano certo niente di simile, io intanto facevo suonare le campane e cantavo tsing, tsang, tsu!" "Sei troppo vivace!" disse la vecchia. "Per fortuna domani andrai al paradiso terrestre, e ti gioverà all'educazione! Bevi tanto dalla fonte della saggezza e portane una bottiglietta anche a me." "Lo farò!" rispose il vento dell'Est. "Ma perché hai chiuso mio fratello del Sud nel sacco? Liberalo! Mi deve raccontare dell'araba fenice. La principessa del paradiso terrestre vuole sempre sentir parlare di quell'uccello, quando le faccio visita ogni cento anni. Apri il sacco! Sei la mia cara mamma e ti regalerò due tasche piene di tè, verde e fresco, colto proprio sul posto!" "Aprirò il sacco solo per il tè e perché sei il mio preferito!" Così fece e il vento del Sud tornò fuori, ma era molto afflitto, perché quel principe straniero aveva assistito a tutto. "Eccoti qui una foglia di palma per la principessa!" disse. "Me l'ha data la vecchia araba fenice, l'unica che c'era al mondo; col becco vi ha inciso tutta la storia della sua vita, dei cento anni che è vissuta. Così lei potrà leggerla da sola. Io stesso ho visto l'araba fenice appiccare il fuoco al suo nido, posarvisi sopra e ardere, come una donna indiana. Come scricchiolavano i rami secchi, che fumo e che profumo! Alla fine ci fu una grande fiammata e la vecchia araba fenice diventò cenere, ma il suo uovo brillò incandescente sul fuoco, poi si aprì con un gran fragore e ne uscì il figlio, che ora è re di tutti gli uccelli: è l'unica araba fenice che c'è al mondo. Egli stesso ha fatto un buco nella foglia che ti ho dato, è un piccolo saluto per la principessa." "Adesso però dobbiamo mangiare qualcosa!" intervenne la madre dei venti, e così tutti sedettero a mangiare il cervo arrostito; il principe si mise vicino al vento dell'Est e subito divennero buoni amici.