Pasquale Fiorentino - Confessioni a Solitudine

libro animato

-Io sola son rimasta a confortarti,
a piangere con te delle tue pene.
Con me sola riuscisti a confidarti,

a sbollire la rabbia nelle vene.
Fui sempre per te madre premurosa,
ultimo appiglio che in vita ti tiene.

Curai le spine di quella rea rosa,
castigo amaro lasciato nel cuore.
Cantami indi come meravigliosa!-

In quelle sue parole v'era ardore
pari solo alla volgare ironia.
E io alzai il volto provato dal pallore,

mirai lo castigo dell'anima mia.
E come fece il Messia nel deserto
col Maligno, tentai di cacciarla via:

-Io della crudeltà tua sono esperto:
con te non so più amar, neppur odiare;
io non piango, né rido più per certo.

Te volli, te presi a desiderare.
Ma orsù, lascia stare la mente stanca,
il cuore che ora ha smesso di sperare!

E come un vecchio per la chioma bianca
piange e si lamenta dello suo peso,
sì io soffro per la libertà che manca:

la caten', che del suo dir ho già speso,
più fredda e dura con te ancor mi preme.
E or chiudendo li occhi mi sono arreso.-

Questa, che alcun tipo di dolor teme,
vide per un sol attimo il mio guardo:
provò meraviglia e tristezza insieme.

Come se fossi un suo ultimo baluardo,
s'inginocchiò e mi strinse in un abbraccio.
Il pensiero arrivò alla mente tardo

e sol grazie a una lacrima di ghiaccio
che cadde sullo collo mio, m'accorsi
di ciò. -Non sai quanto me ne dispiaccio!-

Singhiozzò. E lo corpo mio senza opporsi
s'abbandonò a quella materna presa.
-Quanto dolore ne li occhi tuoi scorsi!

Quale alta e pia mente fu tanto offesa?
Quale nobil cuor fu sì calpestato?
Quanto essi guerreggiaron senza resa?

Tu per ciò rimanesti incatenato:
fosti premio per un dei contendenti
che, qui dentro di te sì esasperato,

consuman combattimenti assai cruenti.-
Io tacqui e chiesi chi mai mi stringeva.
-Orsù, ora riposa i tuoi occhi sì spenti

e perdona costei che non sapeva.
Ora maledico la mia ignoranza
che crudele nell'error mi spingeva.-

Non avvertii più quella tracotanza
dapprima viva nella sua richiesta.
-Onore all'augelin che in ciel non danza,

che solo vede li altri che fan festa,
io sono tua compagna per natura,-
diceva carezzandomi la testa

-ma or guarda questa a te simil creatura:
ricorda quel piccol, grande poeta
che ti cantò ammettendo pur le paure

nate nell'anima resa più cheta
proprio da quel tuo canto cristallino
il qual tanti e grandi dolor allieta.

Perciò io ti prego: a costui stai vicino!
Rasserena il suo cuore e l'alta mente!
E sii dolce sveglia per lui al mattino

rendendoglielo sempre più lucente!
Concilia il sonno durante la sera
che passerà lontano da altra gente!-

Dopo aver detto ciò, essa, non più fiera,
s'alzò e, guardandomi or con più rimpianto,
prese a rivolgermi questa preghiera:

-Con questo perdona il passato vanto,
segno amaro della mia aspra presenza.
Che sia più dolce con l'amabil canto!-