Novelle e Racconti da Autori Emergenti - Gelsomina Vecchiato - La maestra

libro animato

È un giorno cupo, oggi, di quelli che, da un momento all'altro, sembra debba cadere il cielo assieme alla gran pioggia, dove sei costretto a tenere la luce accesa come a sera per il gran buio: pare sia sempre ora di andare a dormire! Proprio in giorni come questi, dove uscire è impresa ardua, se non mettendo in preventivo una bella inzuppata, che mi assale con maggior forza la voglia di scrivere. È una cosa, lo scrivere, che faccio sempre volentieri, perché, facendo questo, sono costretta a pensare e, nel farlo, arrivo ogni volta a nuove considerazioni, specialmente ripercorrendo il mio mondo infantile. Già, la mia infanzia! Mi accorgo che dirotto spesso la memoria nei giochi di allora: sì, ammetto che è stato un bel periodo, almeno per quanto riguarda l'aspetto ludico. Ritornando a quel tempo, avverto palese, una specie di godimento, di soddisfazione nel pensare alle ore del gioco,quasi una rivalsa su altri episodi duri e pesanti, che non dovrebbero far parte del percorso di crescita di un bambino, ma, a volte,purtroppo, entrano talmente frustranti nello spirito, da condizionare pesantemente la vita futura. Forse è proprio il desidèrio di dimenticare, o quantomeno "sminuire" la portata di questi aspetti che tanto mi hanno segnato, a condurre la memoria nelle cavità della mente dove sono riposti i ricordi del gioco. Il gioco, quindi, come rivalsa sulle sopraffazioni, sui soprusi, sul non sentirsi compresa, sensazione frequente nei bambini, se pur limitata a brevi periodi, dove sembra che tutti ce l'abbiano con te, non ti capiscano, maestre comprese! Non a caso ho aggiunto «maestre», perché è proprio partendo da questo ruolo, che vi racconterò il gioco che facevo da sola, per mezzo del quale mettevo in atto la mia vendetta, contro tutte le frustrazioni del periodo.

Il gioco della maestra, lo facevo quando, per il cattivo tempo, la mamma che non mi concedeva il permesso di andare dalle mie amichette, dovevo forzatamente rimanere a casa, cercando comunque un modo per passare le ore, una volta finiti i compiti. Con questo passatempo davo libero sfogo a parte della rabbia repressa, alla sensazione di solitudine perché, in quella veste, nessuno aveva il potere di contraddirmi, qualunque decisione prendessi. Qui non ce n'era per nessuno! Io ero la maestra, io comandavo, io decidevo di tutto e per tutti! Evidentemente, all'epoca, vedevo in questa professione, un alto quoziente di potere su noi bambini, verosimilmente per il fatto di decidere sui voti, su eventuali segnalazioni negative, da dover poi giustificare in famiglia, con tutto quello che ne conseguiva: niente tv, niente paghetta.. qualche schiaffone.. Per questo gioco speciale, usavo dei grossi libri che c'erano in casa. Sinceramente non ricordo di cosa trattassero, quello che contava era fossero grossi e pesanti, proprio da maestra, da una che sa e che dirige: insomma, una volta tanto volevo comandare io! E lo facevo con tutta la forza vendicativa disponibile! In questo gioco facevo largo uso della fantasia. La cattedra, per esempio (un vecchio e piccolo tavolino, posto sotto la finestra della cucina) la immaginavo sopra una pedana di legno, sufficientemente alta da far capire che avrebbe sovrastato sempre e comunque tutta la classe. D'altra parte, era in questo modo che, all'epoca, la maestra si poneva verso noi scolari, e io ne traevo spunto. Il materiale didattico, ben disposto sopra la cattedra, oltre ai grossi libri, comprendeva alcuni miei vecchi quaderni, giornali dai quali ricavare argomenti per la lezione, cancelleria a sufficienza, ma, soprattutto, non doveva mancare la penna rossa, con quella avrei dato i voti! Immaginavo di avere una classe numerosa e molto indisciplinata, che mi facesse gridare tutto il giorno, fino a perdere la voce: preparavo così il terreno per la vendetta vera e propria, la correzione dei compiti! Qui non usavo mezze misure, non avevo pietà per nessuno! Segnavo errori anche nelle parole giuste, sottolineature, punti di domanda come a dire: "Ma che cavolo hai scritto?" e guai a chi parlava, sarebbe filato dritto dietro la lavagna, in ginocchio! Mente facevo questo, dialogavo con la fantomatica classe, (a tono sommesso, per non disturbare troppo i miei.) Sgridavo tutti, richiamavo uno ad uno gli scolari: "Ma non ti vergogni di tutti questi errori?" dicevo "Che cosa diranno i tuoi genitori di un quaderno così? Anzi, ti metto subito una nota da portare a casa e domani mattina vieni a scuola accompagnato, così parlo io con la tua mamma!" e giù zeri meno meno a non finire: i quaderni erano tutto un segno rosso! A turno, mandavo i bambini per un pò, fuori della porta, in castigo,tanto perché non dimenticassero nemmeno per un istante chi comandava!

La mia giornata di maestra proseguiva sempre con questo ritmo, fino a quando io stessa non ne potevo più per le energie spese: questo era il momento in cui arrivava la fase acuta! "Non ne posso più!" gridavo all'immaginario telefono, dell'altrettanto immaginario preside di sezione "Sono tutti bambini cattivissimi, sono costretta a punirli in continuazione, io non vorrei farlo, ma devo!" E invece volevo, come se volevo, quanto mi divertiva fare la maestra prepotente... La vendetta continuava anche con l'assegnazione dei compiti a casa, ne davo a più non posso, tanto per continuare la tortura anche dopo la scuola: dovevano sentire la mia presenza anche quando non c'ero! Continuavo con questo ritmo per tutto il tempo che avevo a disposizione, fino a quando decidevo che mi ero vendicata abbastanza, almeno per quel giorno. Finiva così, la mia giornata da maestra, rimettendo al loro posto libri, quaderni e tornando alla vita reale dove, invece, la costrizione era tutta mia. Mi rendo conto che, visto ora, può sembrare un gioco sadico, cattivo, però, alla fine, erano solo fantasie... Mai, nella realtà, sarei stata capace di atteggiamenti simili. Ho anche la convinzione che, per qualche strano motivo, mi sia stato utile questo gioco... Mi fa pensare ad una valvola di scarico per le rabbie accumulate nella vita reale, come se mettessi inconsciamente in atto un meccanismo di difesa, per compensare i miei disagi educativi. Quello di cui sono certa, è che mi divertiva, mi appagava e tanto bastava per passare le giornate da sola, in casa, giocando con la fantasia. È anche fuori discussione, che non è certo bastato questo a compensare tutti i soprusi fisici e mentali, subiti nella mia infanzia. Per questo è stato necessario un lavoro serio che è andato ben oltre l'utilizzo della fantasia, talmente serio da aver occupato gran parte della mia vita adulta. Ed è proprio grazie a questo importante lavoro, che ora guardo con serenità alla mia storia. Ora gioisco della vita in sé, di quello che offre, senza bisogno di fantasie crudeli come compensazione: ora nessuno è il mio carnefice! Ma questa è un'altra storia, un giorno, forse, la scriverò..chissà..