Novelle e Racconti da Autori Emergenti - Vanni Poli, «Vipi» - Incantesimo nella foresta

libro animato

'È strano, veramente strano quest'inverno. Gli elfi del bosco sono tutti agitati, sembrano non darsi pace per qualcosa che non so.' Con questo pensiero, Babbo Natale si svegliò in un buio mattino della lunga notte del polo nord. Si stropicciò gli occhi, si stiracchiò con soddisfazione facendo schioccare le sue articolazioni ormai più che millenarie. Decise che era giunta l'ora di alzarsi: doveva, prima di tutto, portare il fieno alle renne che sentiva scalpitare nella stalla coperta di neve, poi sciogliere il ghiaccio per ottenere l'acqua per le sue abluzioni, poi ancora fare un'abbondante colazione ed infine, prima di mettersi al lavoro, cercare di capire quella storia degli elfi agitati. Si catapultò fuori dal letto e, deciso, cominciò ad affrontare la nuova giornata. Fuori ricominciava a cadere la neve e c'era uno strano silenzio. Anche dalla vicina foresta non giungeva alcun rumore, né suoni di animali, né lo stormire del freddo vento del nord tra le fronde degli abeti. 'Strano, strano davvero questo silenzio!' egli pensò, ma non ci fece molto caso. Le renne lo accolsero felici, soffiandogli addosso il tepore fumante dei loro respiri, quando entrò nell'accogliente stalla con il fieno profumato. Avevano molta fame! Passando tra loro per distribuire il foraggio, Babbo Natale si soffermò a carezzarle, una per una, dolcemente, sulla testa: "Cara Penelope, hai passato bene la notte? Sei la più vecchia di tutte, ma ti vedo in gamba ancora! Dai tempi di mago Merlino che sei con me! Ricordi quando egli ti portò qui? Eri piccolina, un pò spaurita e triste perché il cacciatore nero aveva ucciso la tua mamma. Che pena mi facesti! Ma ormai è passato tanto tempo, quasi mille anni! Non pensiamo a cose tristi, perché c'è molto lavoro da fare!" E così con una parola per tutte le sue renne, Babbo Natale terminòdi distribuire il cibo. Ma c'era ancora quel silenzio strano che cominciava ad innervosirlo. Uscito dalla stalla delle renne per tornare alla sua casa, lungo il viale coperto di neve e delimitato dai cespuglio di mugo, all'improvviso udìun urlo provenire da lontano, dal fitto della foresta. Era un urlo che non aveva mai udito prima, come di un animale straziato da un dolore acutissimo. Anzi no, non sembrava neppure l'urlo di un animale: aveva un che di metallico, come se ad un grido umano o animale si fosse unito un clangore di ferraglia! Un grido stranissimo, insomma! Babbo Natale, fermo sotto la neve, si voltò a guardare verso la foresta. Non vedeva nulla di diverso dal solito, se non un'immobilità assoluta di tutto: non un correre di animali, non un soffio di vento a muovere gli alberi; neppure le nubi del cielo sembravano muoversi: tutto era fermo! Sembrava essersi fermato anche il tempo, anche la luce del sole, che, di solito, verso mezzogiorno, lanciava qualche raggio nel lontano polo nord, sembrava tardare. Attese qualche minuto, ma l'urlo non si ripeté ed il silenzio continuava, oppressivo quasi. Lentamente si incamminò verso la sua casa di tronchi d'abete; aveva molto lavoro da sbrigare: leggere le lettere di Natale dei bimbi di tutto il mondo, dare disposizioni per la fabbricazione dei giocattoli e per l'acquisto dei doni nel supermercato delle nuvole, preparare le slitte per sé e per i suoi aiutanti, coordinare il lavoro dei folletti e degli elfi. Un sacco di cose, insomma. 'Ma dove sono gli elfi? E i folletti? Stamani non c'è proprio nessuno; dove saranno finiti tutti!?' Dal capannone di tronchi, dove di solito il lavoro ferveva allegro, non giungeva infatti alcun rumore, alcun canto; niente di niente! Molto preoccupato, allora, Babbo Natale rapidamente fece colazione con pane nero, marmellata di mirtilli e burro di renna, si lavò con l'acqua del ghiaccio appena disciolto, indossò i suoi abiti da lavoro e tornò nella stalla. "Dai, Penelope, ora che hai finito il tuo fieno, puoi accompagnarmi nella foresta!" Preparò la sua slitta veloce, attaccò Penelope ai finimenti e, rapido, si diresse verso la foresta ancora silenziosa.

Lungo la ripida e bianca strada in discesa che conduceva alla foresta, Babbo Natale si guardava attorno per cogliere qualche segnale rassicurante: ma tutto era immobile nel silenzio! Anche la neve aveva cessato di cadere. Non vedeva neppure una traccia di animale: sembrava che tutti, le volpi, le lepri, i cervi, le renne selvatiche, tutti insomma fossero rifugiati nelle loro tane o nei loro nascondigli nel fitto degli alberi. Il cuore cominciava a battere forte nel suo petto: un'agitazione strana lo stava cogliendo e, con frenesia, stimolò Penelope ad accelerare la sua corsa verso la foresta. L'avrebbe sicuramente avuto una risposta allo strano fenomeno a cui stava assistendo. Certamente Tumbold, il capo degli elfi, sapeva qualcosa, oppure Suono d'argento, il maestro dei folletti. Così una volta giunto ai primi abeti della foresta, si diresse senza indugio verso il villaggio degli elfi per parlare con Tumbold. Anche i sentieri tra gli abeti erano deserti e non portavano tracce del passaggio di animali: sembrava che lì in quel momento, ci fosse solo lui con Penelope. Avvistato da lontano il villaggio, si accorse di un'altra stranezza: dai comignoli delle casette non usciva neppure un filo di fumo, non c'erano i piccoli degli elfi a giocare con le palle di neve, non c'erano le madri indaffarate a correre avanti e indietro a portare la legna o l'impasto del pane al forno comune. Sembrava un villaggio abbandonato. Una volta arrivato, Babbo Natale raggiunse la casa di Tumbold, che si trovava sotto il Grande Abete, l'albero più imponente della foresta. Bussò alla porta, ma nessuno gli rispose; tornò a bussare: ancora niente! Guardò attraverso la piccola finestra, aiutandosi con il chiarore della sua torcia, e, all' interno non vide nessuno. La casa sembrava essere stata abbandonata allì improvviso. Infatti la tavola era ancora apparecchiata per la colazione del mattino, con tutte le vivande al loro posto: nessuno le aveva toccate! 'Dev'essere accaduto qualcosa di strano durante la notte..' pensò Babbo Natale. Guardò anche nelle altre casette degli elfi e in tutte vide la stessa scena. Preoccupato, distolse Penelope che stava ruminando il fieno del mattino, risalì sulla sua veloce slitta e si addentrò ancor più nella foresta per raggiungere il villaggio dei folletti e parlare con Suono d'argento. Il villaggio dei folletti si trovava sulle cime delle vecchie betulle attorno al lago della Fata.

Una leggenda antica, più antica di Babbo Natale, che gli era stata cantata da Merlino, il bardo dei boschi e mago, diceva che tanti, tantissimi anni prima, quando il polo nord era una terra di fiori in cui non giungeva mai la notte, alla Fata innamorata era stato rapito il fanciullo che amava, a causa di una magia della Strega nera che, invidiosa della loro felicità fece scomparire nel nulla il giovane. La Fata, seduta ai piedi delle betulle, pianse per cento giorni e cento notti e le sue lacrime formarono il laghetto d'argento che, da allora, fu chiamato lago della Fata. Da allora, ed erano passati tre volte mille anni, della Fata non si seppe più nulla, anche se, talvolta, nelle notti di luna piena d'estate, una canzone lamentosa invadeva la foresta e tutti, elfi, folletti, animali, stavano, in silenzioso incanto, ad ascoltarla. Babbo Natale giunse sulle rive del laghetto ed alzò gli occhi per osservare le case dei folletti sulle cime delle betulle. Ancora nessun segno di vita! 'Cosa mai sarà accaduto?' si chiese. Non sapendo cosa fare, scese dalla slitta, liberò Penelope, che subito si mise brucare gli steli d'erba che spuntavano ghiacciati dalla neve, girò attorno alle betulle per verificare se vi fosse qualche traccia e, deluso per non aver trovato nulla, si sedette sulla riva del lago a pensare sul da farsi. Il silenzio era assoluto. La luce della torcia illuminava il volto preoccupato di Babbo Natale e si rifletteva sulle acque del lago, anch'esse immobili. Passò più di un'ora e Babbo Natale stava ancora pensando, ma non sapeva proprio cosa fare: sembrava che la notte avesse portato nella foresta una magia terribile, tale da fermare ogni cosa, da far scomparire ogni animale, ogni elfo, ogni folletto, da congelare anche il tempo. 'Eppure ci deve essere una spiegazione!' pensava Babbo Natale, 'non possono essere tutti svaniti nel nulla!' All'improvviso si udì un grido, un grido vicino questa volta! Era sicuramente il grido che aveva udito prima di partire, ma ora sembrava più forte, più drammatico; e non cessava. La acque del lago cominciarono ad agitarsi, con onde strane che roteavano e si accavallavano. Babbo Natale fece un salto all'indietro per non essere catturato dalle onde; si appoggiò ad una betulla: ma anche le betulle si risvegliarono, come impaurite, e cominciarono ad oscillare in tutta la loro altezza, quasi colpendo l'esterrefatto Babbo Natale. Egli si allontanòdi qualche metro assieme a Penelope. Il lago sembrava agitarsi sempre più e, all'ondeggiare impazzito delle betulle, si accompagnava un movimento nervoso degli abeti: tutta la foresta sembrava essere posseduta da un'agitazione indicibile. 'Non ho mai visto una cosa simile!' pensava Babbo Natale. E il grido, l'urlo spaventoso non voleva più cessare. All'improvviso, una palla di fuoco illuminò il cielo buio, dipingendo di bianco chiarore tutta la foresta. La palla infuocata cadde nel lago. E le acque divennero rosse, poi gialle come l'oro, infine si illuminarono di blu, un blu intenso, luminoso. L'urlo si interruppe. E dal lago si levò un canto dolce, tenero, struggente, un canto di dolore. Le acque si calmarono, le betulle e gli abeti si fermarono, la foresta smise di agitarsi. Ed il canto stupendo ammaliava, con la sua tristezza, Babbo Natale e Penelope. Poi, dal cielo, scese sulla riva una fanciulla bellissima, dai capelli d'oro, vestita di bianco, del colore della neve. Ella cantava una lirica triste, cantava per il suo amore perduto. Babbo Natale la osservava, non osando avvicinarsi a lei, ed una lacrima scorreva sul suo burbero volto millenario: era incantato da tanta bellezza, incantato e triste per uno struggimento sconosciuto. La Fata specchiava il suo volto nel blu delle acque luminose, su cui gettava petali di bianche rose.

Babbo Natale si fece coraggio e si avvicinò con circospezione, alla Fata; le toccò teneramente una spalla: ella trasalì, poi volse il suo capo verso il dolce vecchio. Babbo Natale sorrise alla fanciulla, la quale, in un impeto di trasporto, si gettò tra le sue braccia aperte a piangere il suo dolore. Il vecchio la strinse a sé senza parlare, circondandola solo con il suo affetto. Anche Penelope si avvicinòe appoggiò il suo caldo muso ai capelli della Fata, come per consolarla. 'Cosa posso fare per questa fanciulla triste?' pensava Babbo Natale. Improvvisamente gli venne un'idea: 'Forse Mago Merlino mi può aiutare! Non lo vedo da molti anni, ma sicuramente, se potrà far qualcosa per la fata del lago.'. Allora si concentròe, con il pensiero, cercò di mettersi in contatto con Merlino. La sua richiesta d'aiuto uscì dalla mente di Babbo Natale, si alzò verso il cielo buio, illuminato solo dal chiarore del lago blu, percorse tutta la foresta, poi valli lontane, monti innevati, fiumi, mari, altre montagne e, finalmente, giunse nella grotta, nascosta in una collina del Galles, in cui viveva l'antico bardo, mago e poeta. Merlino subito, senza indugio, volò nel cielo e raggiunse la foresta dove Babbo Natale l'attendeva assieme alla fanciulla in lacrime. I due vecchi si abbracciarono, lieti di rivedersi dopo molti anni. Babbo Natale narrò l'accaduto a Merlino, gli ricordò l'antica leggenda della fata e della Strega nera; il mago si appartò pensoso, dietro una grossa betulla, poi si avvicinò al lago e raccolse nel cavo della mano alcune gocce d'acqua; sparse su di esse una polvere magica, polvere d'oro dell'antico Perù, e recitòuna preghiera in una lingua sconosciuta. Poi se ne stette in silenzio sulla riva del lago, immerso nei suoi arcani pensieri. Babbo Natale e la Fata lo guardavano stupiti: sembrava che la mente del mago fosse altrove, in un mondo lontano, incantato; eppure lo sentivano vicino, molto vicino. Dopo quasi un'ora, Merlino sembrò risvegliarsi da uno strano torpore e si mise a camminare lungo la riva del lago, continuando a recitare la sua preghiera misteriosa. Poi si avvicinòalla fanciulla, ancora tra le braccia accoglienti di Babbo Natale; le toccò la candida fronte con l'indice della mano sinistra. In quel preciso momento la notte buia del polo si illuminò di mille lucciole dorate che, festose, danzavano nella foresta, comparve all'orizzonte un sole tutto nuovo, mai visto prima di allora in quella stagione dell'anno; nuvole rosate percorrevano il cielo luminoso, rincorrendosi felici al suono di una strana musica, una nuova sinfonia di pace che avvolse tutta la foresta. Comparvero gli animali, i cervi, gli alci, le renne selvatiche e le volpi bianche e le lepri e gli orsi, destatisi dal loro letargo.Era un mondo nuovo, mai visto così fulgente. E, improvvisamente, dal sottobosco, emerse una grande macchia scura, nera come il carbone, che fu subito imprigionata dai rami delle betulle e degli abeti: era la Strega nera, che, da millenni, viveva nascosta per sorvegliare affinché il suo maleficio non fosse interrotto.
Urlava la Strega imprigionata, urlava arrabbiata. Merlino il bardo le si avvicinò e, con uno schiocco delle sue dita la fece ammutolire e la trasformò definitivamente in un nero monolite. In quel momento l'incantesimo malefico fu spezzato ed apparve il giovane innamorato della dolce Fata: si abbracciarono felici per la gioia di rivedersi. E, attorno a loro, danzava tutta la foresta, animata da un canto lieto: danzavano gli animali, gli elfi ed i folletti riapparsi, danzava Babbo Natale con Merlino e danzava Penelope. Tutto era gioia, felicità. Babbo Natale e Merlino il mago si abbracciarono prima di lasciarsi. "Andiamo, Penelope, abbiamo tante cose da fare: tra poco è Natale. Anche voi, elfi e folletti, venite al lavoro: i bimbi del mondo ci attendono!"

«A Valentina da papà» (Natale 2003)