Novelle e Racconti da Autori Emergenti - Vanni Poli, «Vipi» - Il fagiolo di Arlechino

libro animato

Un giorno uno zanni, di nome Arlecchino, affamato come non mai e con la pancia e lo stomaco che si esprimevano a borborigmi, con suoni di tutti i tipi provocati dal vuoto costante ed assoluto, vide a terra, in un campiello veneziano, un fagiolo caduto dal sacco di un mercante. Egli si fermò di botto, ammaliato da quella visione: non credeva ai propri occhi! Se li stropicciò più e più volte, si guardò attorno con circospezione, muovendo solo il capo per non farsi notare troppo; poi, lentamente, senza affrettare i movimenti e mantenendo i piedi fermi e piantati al suolo, con le gambe rigide e senza articolare le ginocchia, piegò di poco il busto verso la magica visione del fagiolo. Sognava forse? Non lo sapeva ancora. Poi si piegò ancora un pochino verso il legume, guardando a dritta ed a manca con brevi moti del capo per assicurarsi che nessuno vi fosse nelle vicinanze a rubargli quella leccornia. Stese lentamente il braccio. Poi si fermò: immobile, rigido, allungò la mano; avrebbe voluto essere più rapido, ma non poteva correre nessun rischio. Arrivò con le dita a una spanna dal fagiolo; tornò a guardarsi intorno con circospezione ancora maggiore e, rapido come un fulmine, se ne impossessò. E stette ancora più immobile per qualche secondo; poi lentamente si rialzò e, una volta ritto,stringendo forte il fagiolo, tornò a guardarsi intorno. Nessuno! Bene! Piano, piano, portò il pugno che stringeva la preda all'altezza degli occhi e, molto lentamente, aprì un dito, il pollice; poi toccò al mignolo e di seguito alle altre dita, finché il fagiolo gli apparve vicino, bello, grosso, grasso, lucente, sodo.. una prelibatezza!! Lo accarezzò dolcemente con un dito, molto dolcemente. Lo annusò. Fermo! Dei passi nella calle vicina! No, si allontanano.. Riaprì la mano che si era stretta a pugno, prese il legume tra l'indice ed il pollice; lo rigirò davanti agli occhi, poi si accostò alla parete di una casa, lontano dalle finestre, ad ammirare l'oggetto di tanta fortuna. E cominciò a sognare: il fagiolo con un grasso pollastro reso bruno da un sapiente spiedo il fagiolo che nuotava nell'intingolo di una piena marmitta di terracotta il fagiolo che si accompagnava all'arrosto di un porcellino da latte, il fagiolo appoggiato su di una grande polenta simile alla luna piena, assieme a carnose costicine di maiale che grondavano di succulento grasso..

Tutto questo sognava il nostro povero Arlecchino, finché riaprì gli occhi. Tornò ad ammirare il suo magnifico fagiolo, con tenerezza; lo cullava, lo vezzeggiava, gli diceva dolci parole:

"Caro el me fasiol...
ti xe beo...
te vogio ben come a un putin...
ti ga 'na siera...
'na siera come 'na puta da casar...
ti xe graso come 'na sposa
come 'na balia con do pope de buro
ti xe san come un zovinoto inamorà
e ti xe qua con mi
beo el me fasiol...
beo, beo..."

[«Caro il mio fagiolo.. sei bello.. ti voglio bene come ad un bimbo.. hai una cera.. una cera come quella di una fanciulla da maritare.. sei grasso come una sposa.. come una balia con due poppe di burro.. sei sano come un giovane innamorato.. e sei qui con me.. bello il mio fagiolo.. bello, bello..»] E, mentre diceva queste ed altre cose, se lo rimirava, se lo avvicinava alle labbra, piano, piano, per non consumarlo neppure con lo sguardo. Finché tirò fuori dalla bocca la sua ruvida lingua di contadino e vi appoggiò il legume con delicatezza, come si tratta un bimbo in fasce. Ah! quanti aromi si effondevano dentro di lui! Dentro le sue fauci spalancate! E che sapori! Quello che prima vedeva ora lo assaporava: il pollo, il porcellino, la polenta, l'intingolo, le costicine, e ancora, ancora il tenero formaggio de casata, fresco che si scioglieva in bocca.. e poi quello più stagionato che gli bruciava le labbra con il suo piccante aroma.. il dolce speziato di droghe orientali che mai aveva potuto avvicinare neppure nei sogni più arditi.. il lardo insaporito di salvia de Ciosa [Chioggia].. Tutto, insomma, tutto assaporava e la sua bocca era spalancata verso l'alto e si ripassava la mano sulla pancia, che sembrava riempirsi di tutta quella grazia di Dio!

"Ahhh so squasi sassio! Sto za ben..
Che fortuna! Che fortuna!"

[«Sono quasi sazio! Sto già bene.. che fortuna! Che fortuna!»]"CIAO, ARLECHIN! COSA TI FA?!" La lingua si ritrasse, più veloce del fagiolo, che finì miseramente a terra, rimbalzando sulla fondamenta e cadendo nel canale.. Una lacrima, una piccola lacrima apparve sulla commessura dell'occhio, mentre il povero Arlecchino guardava sconsolato i cerchi dell'acqua che, lenti, si allargavano da dove il fagiolo si era immerso e, ironici, specchiavano il suo sogno infranto.

MALEDETO BRIGHELA
cosa ti fa qua?!
me vien da piansare!
me vien...
però, CHE PRANSO CHE GO FATO!!!

[«Maledetto Brighella! Cosa fai qui?! Mi viene da piangere! Mi viene.. Però che pranzo ho fatto!!»]