Novelle e Racconti da Autori Amatoriali - Rosalpina - Addio papà

(racconto autobiografico)

libro animato

Mio padre se n'andò all'improvviso. Una brutta bronchite, sfociata in pleurite, lo costrinse a letto. Lo facemmo visitare da un parente, primario in un ospedale di Roma. Ricordo ancora le complesse attrezzature radiografiche portate a casa, la diagnosi severa, le cure con i primi sulfamidici. Nessuno sapeva che l'organismo forte di papà era del tutto vulnerabile a quei medicinali. Si sentì subito male, il respiro divenne affannoso,le mani contratte sul lenzuolo. "Bisogna insistere," affermò lo zio "se vogliamo stroncare questa brutta pleurite".

La morte arrivò subdola, ingannando anche l'esperienza dello zio. Le ombre della sera hanno invaso la casa; si allungano fino alla porta della camera dove giace il mio papà. Sono sola nel corridoio, abbandonata su una cassapanca, chiusa in un groviglio di sofferenza. Il suo respiro pesante mi arriva alle orecchie, carico d'angoscia. Papà, di là della parete, sta combattendo una lotta crudele. Mi manca l'aria, è come se un macigno immenso stesse premendo su di me. Avverto la mia impotenza ad aiutarlo, ma non posso staccarmi da lui. Mi pare che finché gli rimarrò vicino, sentinella senz'armi, ma determinata, l'avversario non oserà sferrare l'attacco finale. Papà si accorge della mia presenza. Protettivo fino all'ultimo, supplica: "Margherita, porta via la bambina!". Rimango, tuttavia, ostinatamente vicino a lui. Il tempo si dilata tra le grigie ombre della casa, mentre il sibilare sempre più affannoso del suo respiro artiglia la mia paura. Poi un grido di resa, echeggia per tutte le stanze, seguito da un'invocazione infantile: "Mamma". Mia madre, che sta in cucina a preparare la cena, accorre. "Emilio, Emilio" la sento urlare e nella sua voce vibra tutto il dolore del mondo. Io sono come un burattino snodato, abbandonato sulla cassapanca. Tremando, mi tiro su e mi dirigo verso la stanza. Lui giace sul letto antico, nel suo sangue che macchia il candore del lenzuolo e del guanciale. Poi tutto accelera, si confonde, in un succedersi di avvenimenti. C'è l'accorrere dei vicini, il pianto silenzioso della tata, le grida di Gigi, che si rotola per terra, che non vuole, non può, accettare quell'improvvisa, forzata separazione dall'adorato padre. C'è il corpo di papà, irriconoscibile, sul letto di morte: l'immobilità, il pallore, la mascella legata. C'è il sibilo definitivo della saldatrice che sigilla il mio papà nella cassa. C'è il funerale, solenne, come si usa nel meridione, con la scura carrozza ornata di bronzo, i cavalli che avanzano con composta lentezza; la fila di persone che si snoda, lungo il percorso, dietro al prete. C'è il ritmare cadenzato del contingente militare che accompagna il proprio colonnello. E ci siamo noi, stretti l'uno all'altro, quasi a sostenerci, i tratti del volto irrigiditi dal dolore, gli occhi gonfi, asciutti.

Mamma ha trovato pure il tempo per cucire, a me ed a Silvia, due vestitini bianchi con piccoli disegni scuri. Si è rifiutata di seguire l'uso locale di abbigliare da suore o da frati gli orfanelli inconsapevoli. Sa bene che papà, il nostro solare papà, non avrebbe voluto. Al ritorno a casa, le stanze galleggiano in un silenzio irreale. Mamma come una chioccia con i suoi pulcini, ci raduna attorno al tavolo di cucina: la lampada ci avvolge in un tenue cono di luce, che rende l'adunata più intima. Anche Gigi, lo scatenato, siede composto, il viso tirato da un dolore senza conforto. Ora la voce della mamma cala su di noi ferma e dolce e, come un unguento, lenisce le ferite del nostro animo. Non ricordo più le esatte parole, ma avverto ancora il sollievo provato nel costatare che ci rimaneva una figura forte su cui poggiare nei momenti di bisogno. Ci incita a non lasciarci scivolare nella palude dell'apatia, ad onorare la memoria di nostro padre impegnandoci con maggiore dedizione a scuola.