Lombardia: Ricette di Cucina

Risotto alla milanese

foto piatto

Ingredienti:

Riso Carnaroli - 400 g
Burro - 60 g
Brodo - 1,5 l
Cipolla media - 1
Zafferano - 1 bustina
60 g di Grana Padano grattugiato
Per il brodo:
Carne di manzo - 200 g
Tacchino - 100 g
Pollo - 100 g
Cipolla
Sale


Ricetta tradizionale della cucina lombarda

La vera ricetta prevede l'utilizzazione di un po' di midollo di bue (da 10 g a 50 g) da far sciogliere insieme al burro ma ora è vietato l'uso. Comunque sia il segreto per la buona riuscita di questo tipico piatto milanese è l'uso di uno zafferano di prima qualità. Si può anche arricchire con funghi oppure con qualche pezzetto di salsiccia a nastro; in questo modo abbiamo un ottimo piatto unico. Altrimenti si serve come primo e come secondo si può servire la carne utilizzata per preparare il brodo.

Preparazione

Preparazione del brodo: Sbucciare la cipolla e metterla, intera, in una pentola con circa due litri d'acqua. Aggiungere la carne di manzo, in un sol pezzo, aggiustare di sale e avviare la cottura a fuoco molto basso e a pentola semicoperta per circa un'ora. A questo punto aggiungere il pollo e il tacchino e proseguire la cottura per un'altra ora, sempre a fiamma bassa e a pentola semicoperta. Sgrassare il brodo, filtrarlo e tenerlo a bollore mentre si cuoce il risotto.

Cottura del risotto: Sbucciare e tritare la cipolla; metterla insieme alla metà del burro in una casseruola e farla soffriggere a fiamma molto bassa senza farla dorare. Si può, eventualmente, aggiungere un cucchiaio di brodo e proseguire la cottura. Unire il riso, farlo tostare per uno o due minuti, mescolando con un cucchiaio di legno, e poi incominciare ad aggiungere un mestolo di brodo. Far cuocere per 16-18 minuti o secondo le istruzioni riportate sulla confezione del riso, mescolando e continuando ad aggiungere brodo bollente. Unire lo zafferano pochi minuti prima della fine della cottura. Prima di togliere dal fuoco, aggiustare di sale e mantecare col resto del burro e con il grana grattugiato. Servire caldo.

Polenta Taragna

foto piatto

Ingredienti per 6 persone:

4 litri di acqua
500 grammi di farina grano saraceno
300 grammi di burro
600 grammi di formaggi tipici, in particolare:
Bitto e Casera, oppure Taleggio o Branzi
alcune foglie di Salvia
Sale


Origine della Polenta Taragna

Una prima variante della polenta Valtellinese tradizionale è la polenta Taragna. Il nome «Taragna» deriva da «tarare, mischiare», infatti durante la sua preparazione è necessario «tararla» in continuazione per evitare che si attacchi sul fondo del paiolo. Trattandosi di un piatto piuttosto consistente potrebbe essere considerato unico, tuttavia spesso si usa servirla accompagnata da insaccati tipici quali salsicce o mortadella di fegato.

Preparazione

Si prepara in circa 1 ora e mezza. Si porta a ebollizione l'acqua; si sala (sale grosso) si versa poi la farina, (quella di grano saraceno) e rimescolate in continuazione; dopo circa 1 ora si toglie il paiolo dal fuoco, si aggiungono 250 grammi di burro tagliato a fettine e il formaggio a dadi piccoli. Rimettere poi sul fuoco per 5 minuti, mescolare. Si serve caldissima irrorandola con il burro cotto rimasto insieme alla Salvia. Questo tipico piatto che si trovava e si trova nei ristoranti, nelle trattorie in Val Seriana ed in Valle di Scalve si differenzia dalla Taragna Valtellinese solo nei formaggi (in Valtellina c'è il Bitto).

Cassöla - o «Casoeula», «Cassouela», «Casoela», «Cassuola» e «Cazzuola»

foto piatto

Ingredienti:

1.500 g di verze
800 g di costine di maiale
(300 g di luganega/salsiccia)
6 verzini
250 g di cotenne di maiale pulite, raschiate e lavate
2 piedini di maiale puliti, raschiati e lavati
1 orecchia di maiale pulita, raschiata e lavata
(1 musetto di maiale)
(codino del maiale)
200 g di carote, 200 g di sedano, 100 g di cipolle, 50 g di burro, un bicchiere vino bianco secco, brodo di carne, sale, (pepe) quanto basta

Preparazione

Pulire e se necessario bruciacchiare lo zampetto e le cotenne, quindi spaccare in due lo zampetto e mettere il tutto a bollire per circa 1 ora, alla fine conservare il brodo di cottura. Lavare e aprire le foglie delle verze. Affettare finemente la cipolla e più grossolanamente le carote e il sedano. In un'altra casseruola mettere il burro e un cucchiaio di olio e far rosolare la cipolla. Aggiungere quindi le costine, regolare il sale e il pepe e lasciare rosolare per circa 30 minuti. Irrorare con il vino e quando sarà evaporato aggiungere le carote, il sedano, lo zampetto e le cotenne. Coprire la casseruola e lasciare cuocere a fiamma moderata per circa 1 ora. Mescolare regolarmente ogni dieci minuti, se il sugo di cottura dovesse essere troppo ristretto bagnare con qualche mestolo di brodo di cottura delle cotenne. Aggiungere dopo 1 ora le foglie delle verze e le salsicce bucherellate. Coprire nuovamente e lasciare cuocere per ancora 30 minuti. Se dovesse essere affiorato troppo grasso aiutatevi con un colino per toglierlo dalla superficie. Servire ben caldo.

La Cassöla - un pò di storia


È un piatto invernale composto da verze (per tradizione devono aver preso la prima gelata per rimanere più tenere alla cottura) e dalle parti meno nobili del maiale come cotenne, piedini, costine, verzini (salamini) e testina. Questo piatto è presente in molti parti della Lombardia con parecchie varianti:

  • In provincia di Como tradizionalmente non si mettono i piedini ma si usa la testa del maiale;
  • Nella Bassa Pavese si chiama «Ragò» e si fa con i piedini e gli aglietti;
  • Nella zona ad ovest di Milano dalla Lomellina al Varesotto si usa anche carne d'oca.

Alcuni ingredienti sono d'introduzione recente come:

  • l'aggiunta di un bicchiere di vino bianco (pare sia una variante Comasca);
  • l'aggiunta di spezie, che si dovrebbero però usare con parsimonia (mi riferisco al pepe, alcuni più arditi usano anche i chiodi di garofano);
  • e per ultimo l'aggiunta di Pancetta.

Nella versione più classica è senz'altro improbabile l'uso della conserva di pomodoro anche se alcune ricette la prevedono, più inquietante pare invece l'uso del vino rosso. Visto poi l'origine nordica del piatto, una variante recente mi pare l'uso dell'olio d'oliva che è senz'altro più salutare ma sicuramente meno saporito del burro (ormai la Cassöla si mangia una volta ogni tanto, perchè allora non mangiarla buona?) Essendo un piatto composto da ingredienti popolari ha delle somiglianze con altri piatti di varie parti d'Europa, ad esempio con la «Potée» francese (bollito misto di maiale con verdure); sempre in Francia con la «Choucroute alsaziana» (stufato di pancetta e puntine con crauti, mele e ginepro) e con la «Sauerkraut» in Germania entrambi fatti però con ingredienti conservati e non freschi. Altro piatto simile è l'«Hochepot fiammingo» anche se vede l'aggiunta di carni varie, patate e porri.

Sull'origine della Cassöla ci sono varie leggende: chi la vuole tramandata da un ufficiale spagnolo del '600 ad una bella ragazza milanese di cui si era invaghito; chi la vuole inventata da una frettolosa casalinga che avendo perso tempo a chiacchierare buttò le verze e il maiale in padella per preparare un piatto unico e veloce al marito di ritorno dal lavoro.

Panettone alla milanese

foto piatto

Ingredienti:

Farina 350 grammi
burro 120 gr
zucchero 80 gr
lievito 60 gr
uvetta sultanina 100gr
canditi (arancia e cedro) 60 gr
4 uova, un pizzico di sale

La tradizione del Panettone

Il Panettone tradizionale milanese, sulla cui nascita la fantasia popolare ha creato le affascinanti leggende, era originariamente nient'altro che un grosso pane, alla preparazione del quale doveva sovrintendere il padrone di casa, che prima della cottura vi incideva col coltello una croce in segno di benedizione. Il grosso pane veniva poi consumato dalla famiglia solennemente riunita per la tradizionale cerimonia natalizia «del ciocco« Il padre, o il capo di casa, fattosi il segno della croce, prendeva un grosso ceppo, solitamente di quercia , lo adagiava nel camino, vi poneva sotto un fascetto di ginepro ed attizzava il fuoco. Versava il vino in un calice, lo spruzzava sulle fiamme, ne sorseggiava egli per primo poi lo passava agli altri membri della famiglia che, a turno, l'assaggiavano. Il padre gettava poi una moneta sul ceppo che divampava e successivamente distribuiva altre monete agli astanti. Infine gli venivano presentati tre grandi pani di frumento ed egli, con gesto solenne, ne tagliava solo una piccola parte, che veniva riposta e conservata sino al Natale successivo. Il ceppo simboleggiava l'albero del bene e del male, il fuoco l'opera di redenzione di Gesù Cristo;, i pani, progenitori del panettone, simboleggiavano il mistero della Divina Trinità. Di quest'antica e suggestiva tradizione a noi sono giunti due elementi: la credenza del «potere taumaturgico« dei resti del «pangrande« consumato a Natale, e lo stesso pangrande in veste di panettone.

I Brutti e Buoni di Gavirate (Va)

foto dolcetti

Ingredienti:

250 grammi di nocciole
250 grammi di mandorle
300 grammi di zucchero a velo
3 albumi

La Tradizione dei «Brutti e Buoni»

Nonostante su questi buonissimi dolcetti si siano instaurate nel tempo «diatribe» riguardanti la loro origine (chi ne rivendica l'origine Piemontese, altri quella Siciliana) la teoria più accreditata e più radicata è quella che vuole dimostrare che invece, essi facciano parte della tradizione dolciaria del Varesotto, e in modo particolare, si tramanda quanto segue, dando loro specifica natalità in Gavirate (Varese):

“Il «Brutto e Buono» rappresenta la specialità del pasticcere Gaviratese ed è ormai il richiamo simbolico della cittadina. Fu studiato e realizzato con raffinata arte dolciaria da Costantino Veniani nel lontano 1878 per cui la «pasticceria Veniani» rappresentò il richiamo dei signori della belle époque di una vasta zona che giungevano in landò in piazza municipio per procurarsi i tanto decantati Brutti e Buoni. E si tramanda che la Regina Elena, recandosi da Milano a Ternate in visita alla Contessa Leopardi sua dama di corte, passasse da Gavirate su uno dei primi modelli di automobile, per fare abbondante acquisto dei deliziosi dolcetti. Anche Giuseppe Verdi durante brevi periodi di riposo a Cuasso al Monte si dice che visitasse Gavirate richiamato dalla risonanza dei Brutti e Buoni e Costantino Veniani confezionò il biscotto Elena e la torta Verdi. Il dolce viene ora prodotto localmente oltre che dall'antica casa Veniani, dalle pasticcerie «Bligny», «Cardy», «Contrada Maggiore» e «Milano» ed imitato anche oltre i confini gaviratesi.

I veri Brutti e Buoni sono prodotti dalla Pasticceria Veniani secondo la ricetta originale ideata da Costantino Veniani nel 1878. Sono il dolce tipico di Gavirate entrato a far parte della tradizione dolciaria della Lombardia e in particolare del Varesotto. Imitati da tutte le pasticcerie della zona, i Brutti e Buoni restano ancora il vanto incontrastato della Antica Pasticceria Veniani, fondata a Gavirate nel 1875 da Costantino Veniani. Altre specialità della Pasticceria Veniani sono la «Torta Verdi», i «Biscotti Elena» ed il «Semifreddo al Brutto e Buono».”

Io che ho vissuto per 16 anni in quel di Cuveglio (Varese), un pasello a due passi da Gavirate, posso personalmente testimoniare la grande bontà di questi dolcetti, veramente bruttarelli fuori ma molto buoni dentro. :) - Vale76