Fiabe Classiche e Popolari Italiane - Le sette montagne d'oro (Marche)

(fonte: Ugo Albisi, Fiabe Popolari, 1938. Testo tradotto da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

il giovane aspetta che la fata si svegli gif animata

C'era una volta un bel giovane che stava alla finestra. Gli cadde dell'acqua e si rovesciò tutta addosso a una vecchia strega che passava di là proprio in quel momento. La vecchia si bagnò da capo a piedi, e per vendicarsi (poiché era assai cattiva), disse al ragazzo: "Che tu possa restare senza fidanzata finché non troverai le sette montagne d'oro!" Il povero giovane, che ci restò male, andò a riferire tutto a suo padre, e questi gli disse di non dare retta alle parole della vecchia, poiché, essendo giovane, ricco e bello, poteva avere tutte le donne che voleva. Ma egli non si convinse del tutto, e volle a tutti i costi un buon cavallo, una borsa piena di soldi, e via, volle partire all'avventura. Cavalcò per giorni e giorni, finché una mattina, all'alba, vide qualcosa che luccicava tra le montagne: era così bello che ne fu attirato, e decise di andare a vedere che cos'era. Mentre attraversava il pendio, arrivò alla capanna di una vecchietta. Il giovane le domandò se aveva mai visto le sette montagne d'oro; quella, che era furba, rispose che non ne sapeva niente, ma, anzi, siccome aveva una bella figliola, lo invitò a fermarsi e sposarla. In realtà, sapeva bene che sulla montagna c'era una meravigliosa fata dai capelli d'oro. Il giovane rifiutò l'offerta, dicendo che era deciso a proseguire il suo viaggio. La vecchia, che era una strega, lo invitò a restare almeno per la notte; il giovane accettò. Mangiò e bevve, e la sera andò a dormire. All'alba si svegliò, intenzionato a ripartire, ma la vecchia astuta gli servì un caffè drogato con un sonnifero, che presto o tardi, lo avrebbe fatto riaddormentare. Infatti, appena ebbe raggiunto la montagna, ecco che s'addormentò come un sasso, e non s'accorse della bella fata che s'era avvicinata per destarlo. Quando aprì gli occhi, lei non c'era più. Allora decise di tornare indietro, e subito la strega gli chiese com'era andata; quando le disse che non aveva visto niente, quella, tutta ringalluzzita, approfittò per farsi sotto di nuovo: "Te l'avevo detto, io. Suvvia, perché non prendi mia figlia in sposa?", ma egli rifiutò di nuovo. La sera, di nuovo, mangiò e si mise a letto. Il giorno dopo, di nuovo, la vecchia gli servì il caffè col narcotico, ma il giovane stavolta glissò, poiché cominciava a sospettare che ci fosse sotto qualcosa. La vecchiaccia, però, insistette tanto, che alla fine dovette accettarlo. Così, risuccesse tutto come il giorno prima: il ragazzo non vide la bella fata perché dormiva come un ghiro, e così se ne tornò di nuovo indietro con le pive nel sacco. Questa volta, però, era risoluto a non accettare assolutamente il caffè drogato.

La mattina dopo, fu sveglio prestissimo, ma la strega era già lì, seduta accanto al fuoco, e gli disse: "Rimettiti a dormire, poi ti sveglio io!" Ma lui: "No, no, voglio andare via subito." E la vecchia: "Non aspetti neanche il caffè?" E lui: "Grazie, ma non lo voglio." Ma la vecchia insistette fino allo sfinimento, e alla fine il ragazzo fu costretto ad accettarlo. E così, alla montagna, si addormentò ancora più pesantemente, poiché quella ci aveva messo una dose doppia di sonnifero; e anche questa volta, non riuscì a vedere la fata. La fata, indispettita, gli disse mentre dormiva: "Per tre volte hai avuto l'occasione, per tre volte te la sei persa. Ora, se vorrai trovarmi, dovrai cercarmi al palazzo della Fata Alcina." Detto questo, la bella scomparve. Il povero ragazzo si rammaricò molto di aver fallito di nuovo, ma il caso volle che proprio quel giorno passasse di lì un pastore con il suo gregge, che aveva sentito tutto, e così, gli riferì tutta la faccenda. Il ragazzo ringraziò il pastore e tornò dalla vecchia a riprendersi il cavallo. Stavolta la vecchia non riuscì a trattenerlo, perché si rimise subito in viaggio. Cammina, cammina, a un certo punto, vide che stavano finendo i soldi. E intanto, sentì tre tizi che litigavano: erano tre ladri che si stavano bisticciando certa roba rubata, tra cui una borsa fatata, in cui quel che ci mettevi non si esauriva mai; un cappotto fantastico che fa vedere ma rende invisibili quelli che lo indossano; un paio di stivali che correvano più veloce del vento. Non riuscendo a mettersi d'accordo, quelli dissero al giovane: "Ehi, tu, vieni qui. Tu che sei bravo, dividicela tu tra noi questa roba, perché noi non si riesce a trovare un accordo." E lui: "Prima fatemeli provare, che voglio vedere se funzionano davvero." Prese la borsa dei soldi, e quella si riempì daccapo. Poi si mise gli stivali e, veloce come un razzo, salì su per la montagna e tornò indietro, infine, indossò il cappotto e disse ai ladri: "Mi vedete?" E quelli: "Sì!" E lui: "Ora non mi vedete più!" Così dicendo, via, scappò di corsa col malloppo, lasciando il cavallo. E quelli rimasero gabbati. Ora, così ben fornito, il giovane arrivò a un'altra casetta sotto un'altra montagna, e vi trovò un'altra vecchia, alla quale domandò della Fata Alcina. E quella esclamò: "Oh poveretto, dove sei capitato! Sappi che questa è la casa venti, che sono i miei figli, e loro, se trovano un essere umano in casa, per lui è la fine!" Qualche minuto dopo ecco arrivare lo Scirocco, il vento più leggero. Entrò in casa e disse:

"Ucci, ucci,
sento odor di cristianucci!"

"Ma no, figliolo, stà calmo. C'è solo un bravo figliolo, che sta cercando il palazzo della Fata Alcina." Poco dopo, ecco arrivare l'altro vento:

"Ucci, ucci,
sento odor di cristianucci!"

Anche a lui la madre spiegò del giovane avventuriero. E il vento disse: "Ah, io lo so dove si trova questo palazzo: ho un amico falegname che era senza lavoro: e a forza di soffiare, ho fatto sbattere le persiane fino a farle rompere, così la Fata Alcina ha assunto il mio compare." E così dicendo, si offrì di accompagnarlo, e poiché il ragazzo indossava gli stivali fatati, per quanto la Tramontana soffiasse via forte forte, egli riusciva sempre a starle dietro, arrivando persino prima di lei al palazzo della fata. "Accipicchia, hai fatto presto! Bene, sei arrivato, ma io devo andare via, perché la fata mi odia per tutte le persiane che le ho rotto, e se mi vede, mi ammazza." Salutò il giovane, e se ne andò. Ma le guardie non gli permettevano di entrare, allora, egli s'infilò il cappotto magico, e, diventato invisibile, s'intrufolò di nascosto in casa della fata. Cerca che ti cerca in tutte le stanze, arrivò alla camera da letto della fata. Si nascose dietro la porta, e aspettò che la bella si svegliasse. La fata si svegliò e ordinò il caffè, come tutte le mattine; la cameriera servì la tazza posandola sul comodino, e lui, furbo, se lo bevve tutto, lasciando la tazza sporca e vuota. Allora la fata, indispettita, reclamò con la cameriera: "Che maniere son mai queste? Invece del caffè, mi porti una tazza sporca?" Ma la poveretta non seppe dare spiegazioni. Allora, la fata la rispedì in cucina a preparargliene un altro; la ragazza versò il liquido nella tazzina e lo ripose sul comodino. Il giovanotto, che era ancora invisibile, lesto, lesto, lo manda giù tutto un'altra volta. La fata, furibonda, gridò: "Ma che fai? Mi prendi in giro? Un'altra volta la tazzetta sporca mi hai portato?" E ridai, come prima. La serva le portò su il terzo caffè, ma questa volta la fata poté berlo. Allora, il giovane si tolse il cappotto incantato, rendendosi visibile alla fata, e poiché era bello, lei pure, si sposarono.

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Questa fiaba è stata annotata, e riadattata da me stessa in italiano moderno. Ringrazio infinitamente la signora Paola per avermi fornito il testo originale. Chiunque desideri questa traduzione per le proprie pagine web, può prelevarla liberamente, purché ne citi cortesemente la fonte, in segno di rispetto per il mio lavoro. Grazie. Vale76

(Documento creato ex novo il 7 settembre 2011.)