Fiabe russe di A. Afanase'ev: Il soldato e lo zar nel bosco

(testo tradotto da me e distribuito con licenza CC 3.0 Italia. Per favore, vedasi note a pié di pagina.)

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(Illustrazione reperita sul sito lib.rus.ec.)

Da: «Narodnye russkie skazki», 1855-'64

libro animato

In un certo regno, in un certo stato, viveva un contadino che aveva due figli. Un giorno venne il sergente per il reclutamento e il figlio maggiore fu arruolato. Così, il fratello maggiore servì lo zar fedelmente e lealmente, e per il suo servizio, di lì a cinque anni fu fatto generale. Ci fu poi un nuovo reclutamento e anche il fratello minore fu arruolato e rasato; e il caso volle che fu messo a servizio nello stesso reggimento capeggiato dal fratello. Il soldato riconobbe il generale, ma inutilmente, poiché quegli lo rinnegò dicendo: «Tu dichiari il falso, io non ti conosco e noi due siamo estranei!»

Un giorno il soldato stava di guardia al carro delle munizioni, appena fuori del quartier generale; il generale stava dando un banchetto e stava ricevendo una gran moltitudine di ufficiali e gentiluomini. Nel vedere tutto quel ben di Dio proprio mentre lui non aveva niente, il povero soldato si mise a piangere amaramente, finché gli ospiti lo avvicinarono e gli chiesero: «Racconta, soldato: perché piangi?» «E come faccio a non piangere?» rispose, «quello laggiù è il mio stesso fratello, il quale gozzoviglia alle mie spalle e si dimentica di me!» Sicché gli ospiti andarono a chiedere spiegazioni al generale, ma egli rispose rabbiosamente: «Non credetegli, è un vile bugiardo.» Così dicendo, ordinò di farlo allontanare e che gli dessero trenta bastonate, così da fargli passare la voglia di rivendicare parentele. Tutto ciò offese non poco il povero soldato, il quale dovette indossare la bassa uniforme e levò le tende.

Tempo dopo, forse tanto o forse poco, si ritrovò in un bosco così fitto e selvaggio, da non riuscire più a orientarsi, e per sopravvivere, cominciò a nutrirsi di bacche e di radici. Fu proprio quella volta in cui lo zar era fuori a caccia con tutto il suo entourage. Galopparono in aperta campagna, finché poi sguinzagliarono i segugi, suonarono le trombe e avanzarono nel bosco. Improvvisamente, sbuca fuori (da dove, non si sa) un bel cervo, si tuffa nel fiume, e lo attraversa a nuoto fino all'altra sponda, e poi si addentra nel bosco. Lo zar partì all'inseguimento; attraversò il fiume, corse a destra, corse a sinistra, si guardò intorno ovunque, ma del cervo non c'era più traccia, finché si accorse di essersi allontanato molto dagli altri cacciatori e di ritrovarsi da solo nel folto della foresta buia. Non sapeva più da che parte andare, e non riusciva più a ritrovare il sentiero, finché ormai fu sera ed egli si trascinava ancora avanti, esausto, e senza meta. Finalmente s'imbatté nel soldato disertore. «Salute, buon uomo, dove sei diretto?» «Ecco, mi trovavo a caccia, ma ho perso la strada e mi sono smarrito nel bosco; sapresti indicarmi la via, fratello?» «Chi sei?» «Un servo dello zar» rispose il sovrano. «Bhè, ormai è notte fonda. Sarà meglio fermarci e riparare da qualche parte nella macchia, e domani ti ricondurrò indietro.» Sicché, andarono a cercare un posto dove passare la notte, e, cammina, cammina, scovarono una piccola izba. «Oh bene, Dio ci manda un tetto per la notte» esclamò il soldato, «vieni, entriamo là.» Ed entrarono; dentro ci trovarono una Baba Jaga. «Salve, nonnina!» «Salve, soldato!» «Dacci qualcosa da mangiare e da bere.» «Ho mangiato tutto, e non mi è rimasto più nulla.» «Menti, vecchio demonio!» esclamò il soldato, e cominciò a frugare sulla stufa e nelle mensole, e alla fine vi trovò ogni ben di Dio: cibo e vino, e tutto era pronto per essere servito. Sedettero a tavola, mangiarono a volontà, e poi andarono a coricarsi in soffitta. Il soldato disse allo zar: «Aiutati, che Dio t'aiuta. Faremo così: uno di noi resterà di sentinella mentre l'altro dormirà.» Tirarono a sorte e toccò allo zar far la guardia per primo; il soldato diede allo zar la sua sciabola appuntita, lo mise a guardia davanti alla porta, raccomandandogli di non addormentarsi e di svegliarlo subito in caso di bisogno. Poi il soldato si coricò, ma si mise a pensare: "Ce la farà il mio commilitone a fare la sentinella? Forse non è abituato.. Sarà meglio che vada a sorvegliarlo." Nel frattempo, lo zar, a forza di restare lì immobile, cominciò a ciondolare il capo. «Ma tu stai sonnecchiando!» esclamò il soldato, «così finirai per addormentarti!» «No, no!» replicò lo zar; «Bhè, allora fa' la guardia come Cristo comanda!» E lo zar rimontò a guardia, ma dopo appena un quarto d'ora ricominciò a ciondolare. «Ehi, amico, sei sveglio, vero? Stai ciondolando?» «No, credo di no.» E subito riprese a ciondolare. E dopo un po': «Ma che fai, dormi?» «No, no, credo di no, ma visto che tu vuoi dormire, io faccio quello che posso..» Sicché lo zar resistette in piedi un altro quarto d'ora, ma le sue gambe barcollavano, e così dopo un po' crollò a terra e si addormentò. Allora il soldato saltò su, afferrò la sciabola e corse a svegliarlo e lo rimproverò: «Ehi, amico, è questa la maniera di fare la guardia? Sentimi bene: io faccio il soldato da dieci anni, e durante tutto questo tempo il mio colonnello non mi ha mai concesso sconti, ma si vede che a te non hanno insegnato niente. La prima volta, passi, la seconda, pure, ma la terza è imperdonabile. Sicché vattene pure a dormire. A guardia ora ci sto io.» Così, lo zar andò a letto, mentre il soldato stette di guardia sena mai chiudere un occhio.

Poco dopo, si sentì fischiare e poi bussare, ed ecco che dei briganti irruppero nella capanna. La vecchia strega li accolse e disse loro: «Ho già in casa certi due che sono venuti qui a pernottare.» «Molto bene, bàbushka; abbiamo vagato in vano per la foresta tutta la notte, e finalmente la fortuna ci sorride, ma prima, servici la cena.» «Ma quelli si sono già fatti fuori tutto quanto.» «Ma che razza di gentaglia! Dove diavolo sono adesso?» «Di sopra, a dormire.» «Bene, bene, adesso vado su io e gli dò una bella sistemata!» E uno dei briganti afferrò un grosso coltellaccio e fece irruzione nella soffitta, ma non appena ebbe messo il naso dentro, il soldato brandì la sciabola e in un colpo solo, zac! Giù la testa! Poi il soldato si rinfrancò con un po' d'alcool e rimontò a sentinella. Intanto, di sotto, gli altri briganti attesero e attesero a lungo e dissero: «Ma come mai ci sta mettendo tanto?» E così mandarono su uno di loro a controllare, e il soldato accoppò pure lui, e in breve tempo mozzò la testa a tutta la banda. All'alba lo zar si svegliò, vide tutti quei cadaveri e domandò: «Ehi, soldato, ma in che razza di guaio siamo caduti?» E il soldato gli spiegò per filo e per segno cos'era successo, e poi lasciarono la soffitta; appena il soldato vide la vecchia, esclamò: «Fermati, vecchia diavolessa! Ora dovrai vedertela con me: che hai avuto a che fare, tu, con questi briganti? Perché li hai fatti entrare? Ora dacci tutti i soldi, forza!» Sicché la vecchia andò ad aprire un baule tutto colmo d'oro, e il soldato se ne riempì lo zaino e tutte le tasche; poi, disse al suo commilitone: «Prendine anche tu.» Ma lo zar rispose: «No, fratello, non ne ho bisogno: il nostro zar è ricco abbastanza, e se ne ha a sufficienza per se stesso, sarà così anche per noi.» «Se lo dici tu..» rispose il soldato. Poi lo accompagnò fuori dalla foresta e lo rimise sul sentiero di casa, e gli disse: «Ecco, segui questa via, e in un'ora sarai in città.» «Addio» gli disse lo zar, «ti ringrazio per il servizio che mi hai reso. Vieni a trovarmi, e farò di te un uomo ricco e felice.» «Niente male come idea, ma questa non è una fiaba! In fondo, io sono un disertore, e solo mi azzardassi a entrare in città, sarei arrestato su due piedi.» «Non temere, soldato: lo zar mi è molto affezionato, e se io gli chiedessi un favore a nome tuo, raccontandogli delle tue volorose gesta, sono sicuro che egli avrebbe pietà di te e ti grazierebbe.» «Allora, dove ti trovo?» «Devi andare alla reggia.» «Molto bene, ci verrò domani stesso.» Così dicendo, lo zar e il soldato si congedarono. Lo zar imboccò la strada maestra fino alla capitale, e senza esitare ordinò a tutto la corte, alle guardie e al suo staff di stare bene attenti a un certo soldato che era atteso per l'indomani, e che appena fosse giunto in città, avrebbe dovuto essere ricevuto con tutti gli onori che di solito sono riservati ai generali.

Il giorno seguente, non appena il soldato arrivò davanti alla muraglia, una sentinella gli corse incontro e lo accolse con tutti gli onori. E il soldato chiese: «Che cosa significa tutto questo? A chi è rivolta quest'accoglienza?» «A te, soldato.» Così dicendo, il soldato tirò fuori dal borsello una bella manciata d'oro e la depose nelle mani della guardia, in segno di mancia, e poi entrò in città, e ovunque andasse, veniva accolto con onore e gloria dalle guardie reali, e ogni volta egli le ripagava con laute mance. Ma pensò: "Hai capito che furbacchione quel servo dello zar? Ha detto a tutti che sono carico di soldi!" Entrò alla reggia, e l'intero esercito fu assemblato per l'occasione, e finalmente lo zar venne, e lo accolse, vestendo lo stesso abito del giorno prima. Al che, finalmente il soldato capì con chi aveva trascorso la notte nell'izba, e all'improvviso atterrì. «Era lo zar, ed io l'ho minacciato con la mia sciabola, proprio come avrei fatto con mio fratello!» Ma lo zar lo prese per mano, e lo premiò con i gradi da generale, mentre degradò il fratello a soldato semplice, come castigo per aver rinnegato un membro della sua stessa famiglia.

(Traduzione dall'inglese di Valentina Vetere.)

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