Fiabe Classiche e Popolari Italiane - Gherardo Nerucci: Le Tre Melangole d'Amore (Toscana)

(testo tradotto da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

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(illustrazione di Edward G. McCandlish per la fiaba de I Tre Cedri, 1920. Tramite The Project Gutenberg. Passaci sopra il puntatore del mouse per ingrandirla.)

«Sessanta Novelle Popolari Montalesi», 1880

libro animato

C'era una volta il figlio di un re che non rideva mai; nessuno era mai riuscito a farlo ridere, sicché egli se ne stava sempre tutto serio. Accadde però un giorno che se ne stava affacciato alla finestra del suo palazzo, e per strada stava passando una strana vecchia, con una boccetta di vetro piena d'olio in mano. Quando dunque questa si trovò proprio sotto le finestre del palazzo reale, le si allentò una calza, e subito si chinò per sistemarsela, quindi posò la boccetta sulle lastre. Il principe volle farle uno scherzo: prese un sassolino e lo lasciò cascare di sotto, proprio sulla boccetta che andò in mille pezzi, disperdendo l'olio in terra. La vecchia fece mille rimproveri al principe, il quale, vedendola così arrabbiata, cominciò a ridere a crepapelle. La vecchia, sentendosi così canzonata, gli si rivolse tutta stizzita con il viso in collera e scuotendo una mano gli disse: "Che tu non possa aver pace fino a quando non avrai trovato le Tre Melangole d'Amore!" A quel malaugurio il principe sul momento non ci badò molto, ma da quel giorno non ebbe più pace, ormai aveva un chiodo fisso in testa e non c'era rimedio per toglierselo. Alla fine, disperato, disse al re suo padre: "Padre, non so cosa mi succede, ma non avrò pace finché non avrò trovato le Tre Melangole d'Amore. Lasciatemi andare via a cercarle." Il re cercò di persuaderlo che la sua fosse solo malinconia, ma quando vide che il figlio si ostinava nei suoi pensieri, gli accordò il permesso di girare il mondo a suo piacimento. Così il giovanotto prese un cavallo, delle monete d'oro che mise in una borsa e partì. Camminò a lungo, e aveva già fatto più di centinaia di miglia, e ovunque, in tutti i paesi che attraversava domandava delle Tre Melangole d'Amore, ma nessuno ne aveva mai sentito parlare.

Una sera il giovane si perse in una folta macchia e non trovava più la strada per uscirne, quando vide una casina bianca con un lume acceso. Andò a bussare alla porta. "Chi è?" domandò la voce di una donna. "Un povero smarrito, in cerca di un posto dove dormire" rispose. E la voce: "Oh, disgraziato. Questa è la casa dell'Orco, e se vi trova vi mangia in un boccone, fuggite!" Rispose il principe: "Dove volete che fugga, se non so dove andare? Apritemi, invece, che stia fuori o dentro per me il pericolo è lo stesso. Sarà meglio che mi nascondiate in qualche posto in casa." Allora la donna gli aprì l'uscio, e lui vide una donna attempata con due zanne ai lati della bocca. Disse: "Io sono la moglie dell'Orco, ma io non faccio del male a nessuno: ma se torna mio marito e ha fame, anche se vi nascondo, vi troverà dappertutto e vi mangerà in men che non si dica. Oh, disgraziato, che fate da queste parti?" Rispose il principe: "Mi sono smarrito e sto cercando le Tre Melangole d'Amore, perché senza quelle non potrò avere pace." "Eh!" esclama l'Orchessa, "se fosse solo per questo non saresti capitato male, perché dall'Orco le ho sentite nominare le Melangole, e certamente lui sa dove si trovano, ma non so come fare per salvarvi." E il principe: "Sarà quel che sarà. Io sono in cerca delle Melangole, e se l'Orco sa dove si trovano, io non me ne vado finché lui non mi dirà dove trovarle. Che altro ho da perdere? Denaro non mi interessa." Disse l'Orchessa: "Bisognerebbe che l'Orco quando torna a casa trovasse sulla tavola una pecora intera arrosto e una pentola di maccheroni, perché quando è a pancia piena poi di carne di cristiano non ne vuole più. Voi nascondetevi giù nel sottoscala con carta e inchiostro, e tenetevi pronto ad appuntare le sue risposte, quando gliele chiederò io." Al principe quel piano piacque e diede all'Orchessa dei soldi per comprare la pecora e i maccheroni, e poi prepararono una bella cena. Di lì a poco ecco tornare l'Orco, e il principe corse a nascondersi nel sottoscala con il foglio e l'occorrente per scrivere. L'Orco però subito cominciò ad arricciare il naso e a fiutare come un cane. Disse: "Moglie, ho fame!"

"Ucci, ucci, ucci,
sento odor di cristianucci.
O ce ne sono, o ce ne sono stati,
o son nascosti."

Rispose la moglie: "Voi siete matto, stasera, marito mio. E' soltanto che vi ho imbandito una cena come non ve ne ho mai servite, venite, venite in cucina, mettetevi a tavola e mangiate a volontà." Quando l'Orco ebbe divorato tutta quella roba, ed ebbe bevuto tutto un barile di vino, si buttò in terra come un porco. Disse l'Orchessa: "Non era buona la cena? Oh, che preferireste ora mangiarvi anche un cristiano?" E l'Orco: "Ora no, ma se ce n'è uno nascosto da qualche parte, lo troverò e me lo papperò domattina a colazione. Disse allora l'Orchessa, con voce forte, per farsi sentire dal principe: "Ora cristiani non ce ne sono, ma un giovanotto è passato di qui oggi chiedendomi se per caso sapessi dove trovare le Tre Melangole d'Amore. Io non ho saputo dirgli nulla, e allora lui se ne è andato." Rispose l'Orco: "Povero grullo! Le Tre Melangole d'Amore le tiene chiuse in una cassetta del suo tavolino la Fata Morgana, che abita sulla montagna vicina; ma è impossibile prenderle." "Perché?" domandò l'Orchessa, "che difficoltà ci sono?" "Intanto, che sulla vetta della montagna si trovano subito due cani affamati, e senza dar loro due pagnotte di pane per uno, non si passa; poi c'è un ciabattino che lavora senza setole e senza spago, e se non gli si dà questa roba, lui con la lesina cava gli occhi a chiunque si avvicini; c'è poi una donna che tira su e giù il secchio d'acqua nel pozzo con i suoi capelli, perché non ha una fune, e se trova un cristiano lo sventra per farsene una fune. C'è un'altra donna ancora che spazza il forno con le mani, e se non le si dà subito una scopa nuova, lei scaraventa nel forno chiunque le capiti a tiro; c'è poi un cancello di ferro tutto arrugginito, che saranno più di mille anni che non viene aperto, e quando lo si muove cigola, quindi bisogna avere un fiasco d'olio e ungerlo tutto; e passato il giardino c'è il palazzo della Fata, e la Fata, quando sente il motivo per cui un forestiero è arrivato fin lassù, per ingannarlo lì per lì gli dice che va a prendergli le Melangole, invece va ad affilarsi i denti per divorarlo. È quello il momento buono per aprire la cassettina del tavolino, agguantare la scatola con dentro le Melangole e darsela a gambe levate per riattraversare il cancello, perché la Fata non può uscire. Vedi bene, moglie, che è impossibile riuscire in una tale impresa!" L'Orco, dopo aver fatto quel discorso, s'addormentò come un ghiro, e il principe intanto si era scritto tutto quello che aveva sentito sul foglio di carta; poi uscì dal nascondiglio e diede una buona mancia all'Orchessa, la quale gli fornì le pagnotte, lo spago, le setole, la fune, la scopa nuova, e il fiasco dell'olio; il principe ripose tutto in un paniere, s'avviò verso la montagna, e al mattino fu sulla vetta.

E lì, ecco i cani con due bocche grandi come forni, ma il principe, svelto, subito buttò a terra le due pagnotte: "Tenete, tenete, povere bestie! Avete fame, eh?!" Più in là c'era il ciabattino, che tutto arrabbiato rassettava delle scarpe rotte, senza riuscirci, perché non aveva spago e setole. Alza gli occhi e subito vocia al principe: "Tu, vieni qua, che ti attacco con questa lesina." Rispose il principe: "Ma io vi porto setole e spago per lavorare, tenete." Il ciabattino si rabbonì e il principe andò via. Poco dopo incontrò la donna che tirava su l'acqua dal pozzo con i capelli, la quale gli urlò: "Capiti a proposito, straniero! Vieni, vieni, che con le tue budella ci faccio una fune!" Ma il principe, senza indugio le lanciò la fune, e lei tutta contenta lo lasciò passare. Fu poi la volta della donna che spazzava il forno con le mani, la quale disse subito: "Vieni qua, che ti butto nel forno. Così avrò finalmente di che pulire!" "Donnina, non vi incomodate, che ho qui per voi pronta una bella scopa nuova". A quel punto la donna si quietò, e prese la scopa senza più minacciare il principe. Finalmente arrivò al cancello e gli diede una spinta per aprirlo, ma quello strideva tanto forte per la ruggine e non si riusciva a smuoverlo; così il principe si diede da fare a ungerlo tutto per benino usando tutto l'olio del fiasco, e quando fu ben unto il cancello si aprì senza difficoltà. Entrato nel giardino, entrò nel palazzo, e a pian terreno c'era la Fata Morgana in piedi, un donnone immenso da far paura, con un cappellone in testa che sembrava un tetto. "Chi sei, cosa vuoi?" Rispose il principe: "Nient'altro che le Tre Melangole d'Amore" e la Fata: "Ora te le vado a prendere, aspetta qui." Ma la Fata era andata in camera ad affilarsi i denti per mangiare il povero cristiano: lui però fu più furbo di lei, e non stette lì ad aspettarla; corse ad aprire il cassetto del tavolino della Fata, agguantò la scatola che c'era dentro, e via, corse a gambe levate. In quel mentre la Fata ritornò giù e s'accorse che il principe gli aveva rubato le Melangole, così comincia a urlare furiosamente: "Cancello, chiuditi." E il cancello: "No, davvero, che non mi chiudo. Mi ha unto tutto lui, dopo tanti anni che ne avevo bisogno." E la fata: "Donna del forno, buttacelo dentro." E la donna: "No, no, m'ha regalato una bella scopa nuova, mentre da voi non era stato verso di farmela comprare." Di nuovo la Fata: "Tu del pozzo, affogalo." E quella: "Ma neanche per sogno. Dopo che mi ha dato una bella fune grazie alla quale finalmente tiro su l'acqua senza fare fatica." La Fata urlò: "Ciabattino, forza, cavagli gli occhi." E il ciabattino: "Grazie a lui ora posso lavorare come si deve." La Fata, allora, disperata, gridò ancora più forte: "Cani, almeno voi, ubbidite. Mangiatemelo vivo!" Ma i cani risposero: "Che! Morivamo di fame con voi, e lui ci ha portato del pane. Bella gratitudine sarebbe di sbranarlo." E così il principe riuscì a scampare tutti i pericoli e con la scatola sotto il braccio arrivò ai piedi della montagna. Stanco, si sedette su un sasso, mentre moriva dalla voglia di vedere come fossero le Melangole d'Amore, quindi aprì la scatola, ne tirò fuori una e la squarciò; ne fuoriuscì una bellissima ragazza tutta nuda, che cominciò a gridare: "Acqua, acqua!" E il principe disse: "Qui di acqua non ne ho." "Allora torno dalla mia Fata" rispose quella, e sparì. Il principe ci rimase male, e tutto dispiaciuto, richiuse la cassetta e riprese il suo viaggio. Dopo un po' arrivò in fondo a un prato con l'idea di riposarsi, e disse: "Ne voglio vedere un'altra di queste Melangole." Presa la seconda, la aprì e ne uscì un'altra bellissima ragazza tutta nuda che gridava: "Acqua, acqua!" Ma di acqua non ce n'era, sicché anch'essa disse: "Allora torno dalla Fata" e in un battibaleno fu scomparsa. Figuratevi voi se il povero principe meritava di aver fatto tutta quella fatica per niente! Si rialzò tutto disperato con la sua scatola e proseguì il cammino, e non si fermò fino a quando non ebbe trovato una fontana di acqua fresca e limpida. ' Così non mancherà stavolta ' si disse il principe. Prese la terza Melangola, la spaccò in due ed ecco fuoriuscire una terza ragazza, ancora più bella delle altre due, che pure erano bellissime; e quando lei cominciò a urlare: "Acqua! Acqua!" il principe si affrettò con le mani a buttargliene addosso, così la fanciulla da nuda che era fu vestita. E disse: "Ora sarò per sempre la vostra sposa. Portatemi a casa." Il principe, tutto allegro a quella vista, prese la ragazza per mano, e dopo molti giorni di cammino arrivarono tutti e due alle porte della città di lui. Ma lui pensò: ' Non la posso portare così senza carrozze, né cavalli, né servitori, al palazzo reale. Sarà meglio lasciarla in qualche locanda ad aspettarmi, così la verrò a prendere come si deve. ' Così, si mise d'accordo con un oste, affinché gli tenesse in custodia la ragazza per qualche giorno, dopodiché il principe se ne tornò dal padre, al quale raccontò per filo e per segno tutto quello che era avvenuto, e diede il via ai preparativi delle feste per lo sposalizio.

Bisogna ora sapere che l'oste aveva una figlia brutta e nera, che nessuno voleva per moglie, e proprio lei fu quella a cui era stata affidata la sposa del principe per custodirla e guardarla finché lui non tornasse a riprenderla.

Una mattina che la Mora attingeva l'acqua dal pozzo, alla finestra di sopra era affacciata la promessa del principe, ma sul momento la Mora non se ne era accorta. Poi guardò in fondo al pozzo, vide la bella figura della sposa, ma credette che si trattasse della propria, ed esclamò: "Oh, come sono diventata bella! Che viso, che gote latte e sangue, che mani che ho! Poi tutti mi dicono che sono brutta? E' tutta invidia!" Ma nel sentire la Mora che si rendeva ridicola vantandosi così, la sposa cominciò a ridere forte, e quella poi si volse in su e si accorse di come stavano le cose; allora diventò rossa dalla rabbia e biascicò a denti stretti: "Sguaiata ignorante! Me la pagherai cara di esserti presa gioco di me." Subito salì in camera e disse alla ragazza: "Signora sposa, è ora di pettinare i capelli." Rispose lei: "No, tranquilla, non ne ho bisogno, non vi scomodate." "Ma il principe mi ha ordinato che siate sempre in perfetto ordine, quindi bisogna proprio che vi pettini." Allora la sposa per accontentarla si mise a sedere, e la Mora cominciò a scioglierle i capelli, ma tutt'a un tratto tirò fuori uno spillo stregato e lo ficcò dentro al cervello della sposa, che subito si trasformò in tortora e volò via dalla finestra.

Passato qualche giorno, una mattina il principe, con gran seguito di carrozze, guardie e dame, si ripresentò alla locanda per riprendersi la sposa. Chiamò l'oste e gli chiese: "Dov'è la ragazza?" E l'oste rispose: "Mah! Sarà di sopra: lei l'affidò alla mia figliola, sicché bisogna domandare a lei." Il principe salì in camera e trovò la Mora ad attenderlo; lui chiese subito: "E la mia sposa?" E quella, senza scomporsi: "Eccomi, sono io." A quelle parole al principe pareva di non essere desto, cosicché cominciò a discutere; ma la Mora gliene diede a intendere tante, che egli finì per credere veramente che quella fosse la sua sposa, nonostante la vedeva parecchio imbruttita; infatti la Mora gli aveva fatto credere che era diventata brutta a forza di stare lì sempre chiusa ad aspettarlo. Siccome ormai il principe dovette accettare il fatto che si trattasse della sua fidanzata, dovette portarla con sé al palazzo: la fece però salire nella prima carrozza e la fece viaggiare ben riparata da occhi indiscreti, poiché non voleva che fosse vista in giro.

Passarono così diversi mesi, e la Mora, diventata moglie del principe con quel tradimento, a un certo punto restò anche incinta. Accadde però che uno dei giardinieri del re, ogni volta che curava i limoni, veniva richiamato da una voce sconosciuta, alla quale egli domandava: "Chi è? Chi mi vuole?" e alla fine s'accorse che una tortora gli parlava da un albero. E disse la tortora: "Che fa il Re con la Mora?" E il giardiniere: "Se la gode e s'innamora." E quella: "E io poverina, svolazzo." Allora il giardiniere corse a raccontare tutto al principe, alche anche lui con suo padre, sua madre, e tutta la corte, volle vedere la tortora, e passando davanti ai limoni, eccoti la tortora fargli le stesse domande. Allora, cercò di attirarla a sé, e a forza di briciole di pane, finalmente ci riuscì; la tortora gli si posò sulle spalle, la portarono al palazzo e la custodirono con cura, come fosse stata un uccello prezioso. Quando la Mora vide la tortora, si sentì rabbrividire, e cominciò a dire che stava male, che l'appetito le era sparito, e si fece mettere a letto, e lì se ne stava come se fosse in fin di vita; i medici conclusero che il malessere era dovuto alla gravidanza, e proprio perché incinta, bisognava a tutti i costi farla mangiare. Disse la Mora: "Non desidero altro che quella tortora arrosto. Me ne è venuta una gran voglia, e se non me la cucinano, morirò di certo insieme alla mia creatura." Alla corte questo parve un bel capriccio, e nessuno voleva accontentarla, ma il principe disse: "In fondo si tratta di mia moglie, e della mia creatura; non posso permettere che per via di una tortorella muoiano entrambi." Così, fu dato ordine di uccidere la tortora e cucinarla arrosto. Ma proprio in quel mentre, la tortora si trovava in camera della Regina madre, la quale la teneva sulle ginocchia, e le diceva amorevolmente: "Povera tortorella! Che cattiva sorte ti è toccata. Pare proprio che ti mangeranno arrosto e io ti perderò!" E nel dire così, la lisciava e la coccolava, e nel lisciarla così con le mani, la Regina s'accorse che la tortora aveva un bernoccolo sul capo: raspò un pò con le dita, finché afferrò lo spillo, e lo tirò fuori. E appena lo spillo fu estratto, la tortora ridiventò la bellissima fanciulla che era prima. La Regina, dapprima s'impaurì, ma poi la ragazza cominciò a raccontarle chi era, e come aveva fatto a trovarsi trasfigurata in tortora. Allora la Regina mandò a chiamare subito il principe, il quale, nel trovarsi davanti la sua bellissima sposa, mancò poco che crollasse a terra per l'emozione, e così il tradimento della Mora fu scoperto. Senza pensarci un attimo, andarono dalla Mora e le presentarono la sposa: "Eccovi la tortora arrosto!" La Mora, alla vista della sua signora tradita, e all'udire quelle parole, saltò subito giù dal letto, tremando per la paura. Disse il principe: "Non avere paura, che benché ti meriteresti anche la morte, per quello che hai fatto, non ti farò niente di male, ma vattene immediatamente dal mio palazzo e non rimetterci mai più piede." Così la Mora se ne andò svergognata, e gli sposi rimasero a godersela per tutta la vita, perché il principe ebbe finalmente pace dopo aver trovato le Tre Melangole d'Amore.

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Questa fiaba è stata esaminata, tradotta e riadattata da me stessa in italiano moderno. Chiunque desideri questa traduzione per le proprie pagine web, può prelevarla liberamente, purché ne citi cortesemente la fonte, in segno di rispetto per il mio lavoro. Grazie. Vale76