Fiabe Classiche - J.Jacobs: Giacca di Giunchi (Rushen Coatie)

(testo esaminato e tradotto da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

Giacca di Giunchi e il vitello

(Immagine illustrativa: By John Dickson Batten - P.D.)

«More English Fairy Tales, 1894»

libro animato

C'era una volta un re e una regina come non esistevano al mondo, che si amavano come nessuno. Purtroppo, la regina morì, lasciando una figlioletta, una ragazza molto graziosa, e quando fu sul letto di morte, la chiamò a sé e le disse: "Tesoro mio, io sto per morire, ma ti lascio a proteggerti un vitellino rosso, e ogni volta che avrai bisogno di aiuto, parla con lui, e lui ti aiuterà." Dopo la morte della moglie, il re si risposò con una altra donna, che aveva tre figlie sue, che erano tre bruttezze; ma la nuova matrigna e le sorellastre erano malvage e crudeli con la piccola orfana, perché erano gelose della sua bellezza. Così, si presero tutti i suoi bei vestiti, e le lasciarono soltanto una giacchetta di festuca, rigida e acuminata. Così presero a chiamarla Giacca di Giunchi, e la relegarono in cucina, in un angolo del camino, in mezzo alla cenere. Quando veniva l'ora dei pasti, la cattiva matrigna le concedeva soltanto un goccio di brodino, un pezzettino di carne, e un tozzo di pane. Ovviamente tutto questo non bastava alla poverina per soddisfarle la fame, così, dopo aver consumato la sua misera cena, sospirava tristemente tra sé: "Oh, potessi aver dell'altro da mangiare, che ho così fame!" Appena ebbe pronunciate queste parole, ecco giungere il vitello, che le disse: "Metti un dito nel mio orecchio sinistro." Così facendo, apparve una bella pagnotta appena sfornata. Poi il vitellino le disse di mettergli un dito nell'orecchio destro, ed ecco servito tanto buon formaggio fresco, e con il pane e con il formaggio, la ragazza poté sfamarsi a sufficienza.

La matrigna di Giacca di Giunchi era convinta che la figliastra sarebbe presto morta di stenti, e quindi fu molto sorpresa nel vedere che la fanciulla cresceva invece florida e in salute. Così decise di scoprire come la ragazza si procurasse il cibo per vivere, e mandò una delle sue figlie a spiarla. La brutta sorellastra scoprì così del vitello, e andò a riferire tutto alla madre, la quale pensò bene di andare dal marito e gli disse che le era venuta una gran voglia di un bel piatto di vitello. Allora il re mandò a chiamare un macellaio, e il povero vitello fu ucciso. E quando Giacca di Giunchi venne a saperlo, si disperò e pianse nel suo cantuccio in mezzo alla cenere, quando all'improvviso sentì la voce del vitellino morto che le diceva:

Presto, presto, raccogli le mie ossa
Prendile e sotterrale, sotto quella grigia roccia
E se qualcosa vuoi avere
Devi solo farmelo sapere

Allora Giacca di Giunchi, sollevata, andò a cercare gli ossicini del suo amico vitello, ma non riuscì a trovare lo stinco. La domenica successiva fu il giorno di Natale, e tutta la famiglia si stava preparando per recarsi in chiesa, vestendosi con gli abiti della festa, e Giacca di Giunchi disse: "Vorrei venire anch'io in chiesa," disse, e le tre brutte sorellastre risposero: "Tu, in chiesa, piccola sguattera? Il tuo posto è a casa, a preparare la cena." E la matrigna aggiunse: "E la tua cena sarà un tazzina di brodo, un chicco d'orzo e un pezzetto di pane." Quando tutti furono andati in chiesa, Giacca di Giunchi si sedette nel suo cantuccio presso il focolare, e pianse, pianse tanto a lungo, finché finalmente, alzando lo sguardo, chi vide arrivare piano piano, zoppicando, senza uno stinco? Era il suo caro vitellino, il quale la guardò e disse: "Non startene lì in un cantuccio a piangere, vestiti, prendi questi abiti e indossa queste scarpette di cristallo, e vai in chiesa." "Ma come faccio con la cena?" disse Giacca di Giunchi. "Oh, non preoccuparti per questo," rispose il vitellino, "tutto ciò che devi fare è rivolgerti al fuoco e dirgli:

Mio bel fuoco, tanta torba hai da bruciare
Per poter le pignatte scaldare,
E il girarrosto arroventare
Fallo bene e fallo tosto
Che sia presto tutto pronto
Per servire al mio ritorno il desinare
Di questo giorno di Natale.

e vai pure tranquilla in chiesa, ma ricordati di tornare prima degli altri." Così, Giacca di Giunchi fece come le disse il vitellino, e si recò in chiesa, dove fu in assoluto la più splendida fanciulla tra tutti i presenti. Accadde poi che ci fosse anche un principe, il quale, vedendola, si innamorò perdutamente di lei. Lei però corse via prima che la messa finisse, e tornò a casa, dove in quattro e quattr'otto si tolse i suoi abiti meravigliosi e indossò di nuovo la giacchetta di festuca, per preparare la tavola, che trovò già imbandita, e la cena, già pronta, era al caldo sul camino. Tutto quindi fu in ordine per il rientro dei familiari. Al loro rientro, le tre sorellastre dissero a Giacca di Giunchi: "Sai, piccola sguattera, avresti dovuto vedere che splendida dama si è presentata in chiesa! Era talmente bella, che il principe si è innamorato di lei all'istante!" E Giacca di Giunchi rispose: "Allora lasciatemi venire con voi, domani." chiese, sapendo che la congregazione sarebbe durata per tre giorni, e per tre giorni tutti si sarebbero dovuti riunire in chiesa. Ma quelle risposero: "E cosa dovrebbe fare una sporca cenciosella come te, in chiesa? Non è abbastanza buono il tuo cantuccio davanti al fuoco, per te?"

Così, il giorno dopo andarono tutti in chiesa, tranne Giacca di Giunchi che fu di nuovo lasciata a casa a preparare da mangiare per tutti. Ma venne ancora il vitellino ad aiutarla, le restituì i suoi bei vestiti, con i quali ella poté andare a messa, ed era talmente bella che tutti gli sguardi furono su di lei, come il giorno prima. Tutti tornarono a chiedersi chi mai fosse la misteriosa dama che aveva stregato il cuore del principe, il quale era più innamorato che, e questa volta volle seguirla per scoprire dove andava; ma lei fu più veloce e svelta di lui e tornò a casa con molto anticipo sugli altri, e la cena era già sul fuoco.

Tutto si svolse così anche il terzo giorno, come i giorni precedenti, e questa volta il buon vitellino le donò dei vestiti ancora più belli delle altre volte, e con quelli ella poté recarsi a messa anche l'ultimo giorno. E il giovane principe l'aspettava, e per evitare che le sfuggisse via come al solito, fece mettere una guardia al portone della chiesa, ma ella fece una corsa tale che sfrecciò via come un lampo, ma nella fretta inciampò e perse una scarpina di cristallo. Per non perdere tempo, preferì non volgersi indietro per raccoglierla e volò a casa come le altre volte, e lì si ricambiò d'abito e aspettò il ritorno dei suoi. Ma il principe, che non voleva saperne di perdere la splendida fanciulla di cui si era tremendamente innamorato, raccolse la scarpetta di cristallo e proclamò che la ragazza che avesse saputo calzare la scarpetta, sarebbe diventata la sua sposa.

Tutte le dame della corte andarono e provarono la scarpetta, ma nessuno riuscì a calzarla, poiché era troppo piccola per i loro piedi. Allora diede incarico a uno dei suoi ambasciatori di montare a cavallo e cercare la fanciulla tra il popolo. L'ambasciatore partì e setacciò ogni angolo del regno alla ricerca della proprietaria della scarpetta. Bussò a tutte le porte, batté ogni strada, e ad ogni donna del regno fece provare la scarpetta, ma nessuna di loro riuscì a calzarla, e allora piangevano e si disperavano tutte per la cattiva sorte. L'ambasciatore stava così per tornare al palazzo, quando arrivò all'ultima casa del regno, quella dove abitavano le tre sorellastre di Giacca di Giunchi. Le prime due la provarono, ma non ci fu niente da fare; la matrigna, furiosa, non voleva perdere l'occasione di maritare almeno una delle sue brutte figlie con il principe, così, quando fu il turno della terza, le fece stringere e piegare forte il calcagno e le dita del piede, e così sembrò proprio che il piede fosse entrato nella scarpa. Fu chiamato il principe, il quale dovette mantenere la sua promessa. La furba matrigna agghindò la figlia con i suoi abiti più sfarzosi, e la ragazza fu fatta salire a cavallo insieme al suo futuro sposo, e andarono via. Ma come ben sapete, prima o poi la cattiveria è punita, così, durante il cammino, sbucò dal nulla un corvo che si pose su un ramo e gridò:

Sretta è la scarpetta, ma il piede è forzato
Oh, mio caro principe, ti hanno ingannato.
Eppure laggiù, tra la fuliggine nera,
giace la tua sposa vera.

"Che vuol dire? Cosa intende quel corvo?" chiese il principe, assai meravigliato. "Niente, solo la nostra piccola sguattera, non farci caso." rispose la sorellastra. Ma nel principe ormai si era instaurato il tarlo del dubbio, così girò i tacchi e torno indietro, perché volle assolutamente che Giacca di Giunchi provasse a calzare la scarpetta, ma lei corse a rifugiarsi presso la grande pietra grigia, dove il vitello la fece vestire magnificamente, e così agghindata il principe la vide; allora lei tirò fuori di tasca la scarpetta gemella, mettendosela al piede, ed egli vide che calzava perfettamente. Così il principe capì che Giacca di Giunchi era proprio la sua amata; scacciò allora la falsa sposa e prese la sua innamorata in moglie quello stesso giorno, e vissero a lungo felici e contenti.

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(Documento creato il 23 novembre 2007 e aggiornato il 16 novembre 2013.)