Fiabe Classiche - Grimm: I due fratelli (parte II)

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Quando fiutò l’aria migliore, il leprotto corse nel castello, si cacciò proprio sotto la sedia della principessa e le grattò il piede. “Via!” disse ella, credendo fosse il cane, ma la lepre non si lasciò confondere e continuò a grattare finché lei abbassò gli occhi e riconobbe la lepre. La prese in grembo, se la portò in camera e disse: “Cara lepre, cosa vuoi?” E il leprotto rispose: “Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui, e mi manda a chiedere un pane, di quello che mangia il re.” Piena di gioia, ella mandò a chiamare il fornaio e gli ordinò di portare lo stesso pane che mangiava il re. Disse il leprotto: “Ma il fornaio deve anche portarmelo, perché i cani non mi facciano niente”. Il fornaio glielo portò fino all’osteria; la lepre si rizzò sulle zampe di dietro, con quelle davanti prese subito il pane e lo portò al suo signore, che disse: “Vede, signor oste? Le cento monete d’oro sono mie”. L’oste fece le meraviglie, ma il cacciatore proseguì: “Sì, signor oste, il pane ce l’avrei, ma adesso vorrei mangiare anche l’arrosto del re”. “Vorrei un po’ vedere” disse l’oste, ma scommettere non volle più. Il cacciatore chiamò la volpe e disse: “Volpicina, và a prendermi un po’ di arrosto, di quello che mangia il re”. Pelo Rosso la sapeva più lunga, scantonò di qua e di là senza essere vista da un cane, si cacciò sotto la sedia della principessa e le grattò il piede. Lei abbassò lo sguardo e dal monile riconobbe la volpe; se la portò in camera e disse: “Cara volpe, che vuoi?” Rispose la volpe: “Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui, e mi manda a chiedere un po’ d’arrosto, come lo mangia il re”. Lei mandò a chiamare il cuoco, che dovette preparare un arrosto, come lo mangiava il re, e portarlo fino all’osteria. Allora la volpe gli prese il piatto, con la coda scacciò le mosche che si erano posate sull’arrosto, poi lo portò al suo signore, che disse: “Vede, signor oste, pane e carne ci sono; ora voglio anche la verdura, come la mangia il re”. Chiamò il lupo e disse: “Caro lupo, và a prendermi un po’ di verdura, di quella che mangia il re”.  Il lupo, che non aveva paura di nessuno, andò al castello, e quando arrivò nella stanza dov’era la principessa, la tirò per un lembo della veste, perché si volgesse. Dal monile ella lo riconobbe, se lo portò in camera e disse: “Caro lupo, cosa vuoi?” Rispose il lupo: “Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui, e mi manda a chiedere un po’ di verdura, di quella che mangia il re”. Lei mandò a chiamare il cuoco, che dovette preparare una porzione di verdura, come la mangiava il re, e portarla fino alla porta; allora il lupo prese il piatto, e lo presentò al suo signore, che disse: “Vede, signor oste, ora ho pane, carne e verdura, ma voglio anche il dolce, come lo mangia il re”. Chiamò l’orso e disse: “Caro orso, tu lecchi volentieri qualcosa di dolce, và a prendermene uno di quelli che mangia il re”. L’orso trottò al castello, e tutti lo scansavano; ma quando arrivò al corpo di guardia, spianarono il fucile, per non lasciarlo entrare nella reggia. L’orso si rizzò, e con le zampe distribuì qualche zampata a destra e a sinistra, così tutto il corpo di guardia cadde per terra; poi andò difilato dalla principessa, si fermò dietro di lei e barrì un po’. Lei si volse, riconobbe l’orso, lo invitò a seguirla nella sua camera e gli domandò: “Caro orso, che vuoi?”. Rispose l’orso: “Il mio signore, quello che ha ucciso il drago, è qui, e mi manda a chiedere un dolce, di quelli che mangia il re”. Lei mandò a chiamare il pasticcere che dovette fare un dolce, come lo mangiava il re, e portarlo fino all’osteria; l’orso prima leccò via i confetti che erano caduti, poi si rizzò, prese il piatto e lo portò al suo signore, che disse: “Vede, signor oste, ora ho pane, carne, verdura, e dolce, ma voglio anche bere il vino che beve il re.” Chiamò il leone e gli disse: “Caro leone, un sorso te lo bevi volentieri, và a prendermi un po’ di vino, di quello che beve il re”.

Il leone attraversò maestosamente la strada e la gente scappava davanti a lui; e quando arrivò al corpo di guardia, volevano sbarrargli il passo; ma bastò un ruggito, e se la diedero a gambe. Il leone andò nella sala del trono e bussò con la coda. Uscì la principessa, e al vederlo per poco non si spaventò, ma lo riconobbe dal fermaglio d’oro della sua collana, l’invitò a seguirla nella sua camera e gli domandò che cosa volesse, e il leone spiegò. Lei mandò a chiamare il coppiere, perché desse al leone un po’ di vino, di quello che beveva il re. Disse il leone: “Andrò anch’io, per vedere se mi dà quello buono”. Scese con il coppiere e, quando furono in cantina, questi voleva spillargli un po’ di vino comune, di quello che bevevano i servitori, ma il leone disse: “Alt! Prima voglio assaggiarlo” e se ne spillò mezzo boccale e lo tracannò. “No”, disse, “non è quello buono”. Il coppiere lo guardò di traverso, ma andò a prenderne da un’altra botte, che era quella del maresciallo. Disse il leone: ““Alt! Prima voglio assaggiarlo”, se ne spillò mezzo boccale e lo bevve. “Questo è migliore, ma non è ancora quello buono”. Allora il coppiere si arrabbiò e disse: “Cosa vuol saperne di vino questa stupida bestia!” Ma il leone gli diede uno scappellotto, così che egli cadde malamente per terra e quando si rialzò lo condusse in silenzio in una piccola cantina separata, dov’era il vino del re, che nessun altro beveva.

Il leone si spillò mezzo boccale e assaggiò il vino, poi disse:: “Può andare”, e ordinò al coppiere di riempirgliene sei bottiglie. Poi salirono; ma quando il leone passò dalla cantina all’aperto, barcollava, un po’ ubriaco, e il coppiere dovette portargli il vino fino all’osteria; il leone prese in bocca il manico del cesto e lo portò al suo signore, che disse: “Vede, signor oste, qui ho pane, carne, verdura, dolce e vino, come il re; e adesso pranzerò con tutte le mie bestie”. Si mise a tavola, mangiò e bevve e diede da mangiare e da bere anche alla lepre, alla volpe, al lupo, all’orso e al leone; ed era tutto allegro, perché capiva che la principessa lo amava ancora.

Dopo pranzo disse: “Signor oste, ho mangiato e bevuto come mangia e beve il re; ora andrò a corte e sposerò la principessa”. L’oste chiese: “Com’è possibile, se ha già un fidanzato e si sposano oggi?” Il cacciatore tirò fuori il fazzoletto che gli aveva dato la principessa sul monte del drago e in cui erano avvolte le sette lingue del mostro e disse: “Mi aiuterà quel che ho in mano”. L’oste guardò il fazzoletto e disse: “Potrei credere tutto, ma non questo, e ci scommetto tutto il mio avere”. Ma il cacciatore prese una borsa con mille monete d’oro, le mise sulla tavola e disse: “E io scommetto questa”.

Alla tavola regale, il re disse a sua figlia: “Cosa volevano da te tutte quelle bestie, che sono entrate e uscite dal mio castello?” Lei rispose: “Non posso dirlo, ma mandate a prendere il loro padrone: sarà cosa ben fatta”. Il re mandò un servo all’osteria a invitare il forestiero, e il servo arrivò proprio al momento della scommessa. “Vede, signor oste,” disse il cacciatore “il re manda un servo ad invitarmi, ma non ci vado ancora”. E al servo disse: “Prego il re di mandarmi vesti regali, un cocchio a sei cavalli e servi ai miei comandi”. All’udire la richiesta, il re disse alla figlia: “Che devo fare?” Lei rispose: “Mandatelo a prendere com’egli desidera: sarà cosa ben fatta”. E il re gli mandò i vestiti regali, un cocchio a sei cavalli e servi ai suoi comandi.  Vedendoli arrivare il cacciatore disse: “Vede, signor oste, mi vengono a prendere come ho voluto” e indossò le vesti regali, prese il fazzoletto con le lingue del drago e andò dal re. Vedendolo venire, il re disse a sua figlia: “Come devo accoglierlo?” “Andategli incontro: sarà cosa ben fatta”. Allora il re gli andò incontro e lo fece salire, con tutte le sue bestie. Gli indicò un posto accanto a sé e a sua figlia. Il maresciallo, nella sua qualità di sposo, sedeva dall’altro lato, ma non lo riconobbe.

Proprio in quel momento, furono esposte le sette teste del drago e il re disse: “Le ha mozzate il maresciallo: per questo oggi gli do mia figlia in sposa”. Il cacciatore si alzò, di ognuna mostrò le fauci e disse: “Dove sono le sette lingue del drago?” Il maresciallo sbalordì, si fece pallido e non sapeva cosa rispondere. Atterrito finì col dire: “I draghi non hanno lingua”.  Disse il cacciatore: “I bugiardi non dovrebbero averla, ma le lingue del drago sono il segno del vincitore”. E sciolse il fazzoletto, dov’erano tutte e sette, e in ogni gola mise la sua brava lingua, che combaciava esattamente. Poi prese il fazzoletto, dov’era ricamato il nome della principessa, lo mostrò alla fanciulla e le domandò a chi l’avesse dato, e lei rispose: “A colui che ha ucciso il drago”. Poi egli chiamò le sue bestie, ad ognuna tolse il monile e al leone il fermaglio d’oro, li mostrò alla principessa, e domandò di chi fossero. Lei rispose: “Sono i miei: ho diviso la collana fra le bestie che hanno aiutato a vincere il drago”. Allora disse il cacciatore: “Mentre dormivo, sfinito dal combattimento, è venuto il maresciallo e mi ha tagliato la testa. Poi ha portato via la principessa e ha finto di essere stato lui a uccidere il drago; e che abbia mentito, lo dimostro con le lingue, il fazzoletto e la collana.” Poi narrò che le sue bestie l’avevano risanato con una radice miracolosa, e con loro, per un anno, egli aveva girato qua e là; infine era tornato, e dal racconto dell’oste aveva appreso l’inganno del maresciallo. Allora il re chiese a sua figlia: “E’ vero che costui ha ucciso il drago?” E lei rispose: “Sì, è vero, ora posso svelare l’infamia del maresciallo, ora che è venuta alla luce per opera mia, perché egli mi aveva fatto promettere di tacere. Ma per questo ho voluto che soltanto dopo un anno e un giorno fossero celebrate le nozze.”

Il re fece allora chiamare dodici consiglieri che giudicassero il maresciallo, e sentenziarono che fosse squarciato da quattro buoi. Così il maresciallo fu giustiziato, e il re diede sua figlia al cacciatore e lo nominò suo luogotenente in tutto il regno. Le nozze furono celebrate con grandi feste e il giovane re mandò a prendere suo padre e il padre adottivo e li colmò di tesori. Non dimenticò neanche l’amico oste; lo fece chiamare e gli disse: “Vede, signor oste, ho sposato la principessa! Tutto il suo avere è mio.” “Sì” disse l’oste, “questo sarebbe giustizia”. Ma il giovane re disse: “E invece le farò grazia: terrà il Suo avere e per di più le regalo mille monete d’oro”.

Il giovane re e la giovane regina vivevano insieme, felici e contenti. Lui andava spesso a caccia, il suo divertimento preferito, e le bestie fedeli dovevano accompagnarlo. Nelle vicinanze c’era un bosco, che si diceva incantato: se qualcuno ci entrava, non ne usciva tanto facilmente. Ma il giovane aveva una gran voglia di andare a caccia in quel bosco e non lasciò in pace il suocero, finché non glielo permise. Uscì a cavallo con un gran seguito, e quando vi giunse vide una cerva bianca come la neve e disse ai suoi: “Fermatevi qui, finché torno: voglio cacciare quel bell’animale” e lo rincorse nel bosco, accompagnato soltanto dalle sue bestie. Il seguito si fermò ed aspettò fino a sera, ma lui non tornò; allora ripresero la via verso casa e raccontarono alla giovane regina: “Il giovane re ha inseguito una cerva bianca nel bosco incantato e non ha fatto ritorno”. Lei era in grande apprensione. Ma lui aveva continuato a galoppare dietro alla bella cerva, senza poterla raggiungere; quando credeva di averla a tiro, subito la vedeva correre a gran distanza, finché sparì del tutto. S’accorse allora di essersi spinto nel più folto del bosco e suonò il corno, ma non ebbe risposta, perché i suoi non potevano udirlo. Calarono le tenebre ed egli vide che per quel giorno non poteva tornare a casa; smontò da cavallo e si accese un fuoco sotto un albero, per passarvi la notte. Mentre se ne stava presso al fuoco, con le bestie sdraiate accanto a sé, gli parve di sentire una voce umana; si guardò intorno, ma non riuscì a scorgere nulla. Poco dopo tornò a sentire un gemito, dall’alto: alzò gli occhi e vide una vecchia seduta sull’albero che continuava a frignare: “Uh, uh, uh, che freddo!” “Scendi” disse lui “e scaldati, se hai freddo.” Ma lei replicò: “No, le tue bestie mi mordono” “No, non ti faranno niente, nonnina, scendi pure”. Ma quella era una strega e disse: “Ti getterò dall’albero una bacchetta, se con questa le tocchi sul dorso, non mi faranno più niente”. Gli gettò una bacchetta, e con quella egli toccò le bestie, che subito giacquero immobili, impietrite. Quando la strega non ne ebbe più paura, saltò giù, toccò anche lui con una bacchetta e lo trasformò in pietra. Poi si mise a ridere e lo trascinò con le bestie in una fossa, dove di quelle pietre ce n’erano già molte.

Il giovane re non tornava mai e la paura e l’apprensione della regina crebbero sempre di più.

Ora avvenne che proprio in quel tempo giunse nel regno l’altro fratello che, al momento della separazione, era andato verso oriente. Aveva cercato lavoro e non ne aveva trovato, poi aveva girato qua e là facendo ballare le sue bestie. Ed ecco, gli venne in mente, per sapere come stesse il minore, di guardare il coltello, che al momento di separarsi avevano conficcato in un albero. Quando giunse al bivio, dalla parte del fratello la lama era mezzo arrugginita e mezzo lustra. Allora pensò, spaventato, che al fratello dovesse essergli successo qualcosa, ma che forse c’erano ancora possibilità di salvarlo, poiché per metà la lama era ancora lustra. Andò con le sue bestie verso occidente, e quando giunse alle porte della città, gli venne incontro una sentinella domandandogli se doveva annunciare alla moglie il suo arrivo: già da un paio di giorni la giovane regina era in grave apprensione per la sua scomparsa e temeva fosse morto nel bosco incantato. La sentinella credeva infatti che egli fosse il giovane re in persona, tanto gli somigliava, anch’egli seguito dalle bestie selvagge che gli correvano dietro. Lui s’accorse che si trattava di suo fratello e pensò: “Il meglio è che mi faccia passare per lui, forse potrò salvarlo più facilmente”. Perciò si fece accompagnare dalla sentinella alla reggia, dove fu accolto con gran gioia.

La giovane regina lo credette il suo sposo e gli domandò perché avesse tardato tanto. Lui rispose: “Mi sono smarrito in un bosco e non sapevo come uscirne”. La sera fu condotto al letto regale, ma fra sé e la giovane regina pose una spada a due tagli; lei non capiva perché, ma non osò far domande. Egli rimase là un paio di giorni, indagando sul bosco incantato; alla fine annunciò che sarebbe nuovamente andato a caccia là, ma la regina e il re suo padre volevano dissuaderlo, ma egli insistette e uscì con un gran seguito. Quando giunse nel bosco, gli accadde lo stesso che al fratello: vide una cerva bianca e disse ai suoi: “Restate qui ad aspettarmi, voglio cacciare quel bell’animale.” Entrò nel bosco e le sue bestie gli corsero dietro. Ma non poté raggiungere la cerva e tanto si addentrò, che dovette passare la notte nella selva. E quando ebbe acceso un fuoco, udì gemere dall’alto: “Uh, uh, uh, che freddo!” Alzando gli occhi vide la strega sull’albero, e allora si ripeté anche con lui la stessa scena avvenuta con il fratello, ma il cacciatore diffidò delle sue parole e disse: “Le mie bestie non le tocco, scendi o ti vengo a prendere”. Lei gridò: “Cosa credi? Non mi puoi far nulla”. Ma lui rispose: “Se non scendi, sparo”. Lei disse: “E tu spara, non temo le tue pallottole”. Lui prese la mira e sparò, ma contro il piombo la strega era invulnerabile; diede una risata stridula e gridò: “Non mi colpirai!”

Ma il cacciatore la sapeva lunga: si staccò dalla giubba tre bottoni d’argento e li mise nello schioppo, perché contro l’argento l’arte della strega era vana; e quando sparò, lei precipitò di colpo, urlando. Allora lui disse, tenendola sotto il piede: “Vecchia strega, se non confessi subito dov’è mio fratello, ti prendo con queste mie mani e ti butto nel fuoco”. Atterrita, lei chiese grazia e disse: “E’ in una fossa con le sue bestie, trasformato in pietra”. Lui la costrinse ad accompagnarlo e le disse minacciosamente: “Vecchio gattomammone, adesso risuscita mio fratello e tutti quelli che hai trasformato in pietra, o finisci nel fuoco”. Lei prese allora una bacchetta e toccò le pietre: il fratello risuscitò con le sue bestie, e tanta altra gente, mercanti, artigiani, pastori, si alzarono, ringraziarono il liberatore e tornarono alle loro case. Ma i gemelli si baciarono, felici di ritrovarsi. Poi afferrarono la strega, la legarono e la buttarono nel fuoco e quando fu bruciata, ecco che il bosco si fece chiaro e luminoso, così che si poteva vedere il castello reale a tre ore di cammino.

I due fratelli tornarono a casa insieme e per la via si narrarono le loro avventure. E quando il più giovane disse che egli era luogotenente del re in tutto il paese, “Me ne sono accorto”, disse l’altro, “quando sono arrivato in città mi hanno preso per te, e mi hanno tributato tutti gli onori regali; la giovane regina ha creduto fossi suo marito e ho dovuto mangiare al suo fianco e dormire nel suo letto”.

All’udir ciò, il fratello, geloso e furibondo, sguainò la spada e gli tagliò la testa. Ma quando lo vide morto e ne vide il sangue scorrere vermiglio, si pentì amaramente. “Mio fratello mi ha liberato” gridava “e io l’ho ucciso!” e si lamentava a gran voce, disperandosi. Allora venne la sua fida lepre e si offrì di andare a prendere la radice miracolosa; corse via e la portò ancora in tempo: il morto fu risuscitato e non s’accorse affatto della ferita.

Proseguirono, e il più giovane disse: “Tu hai il mio aspetto, indossi vesti regali come le mie, e come me sei seguito dalle bestie: entriamo da porte opposte e arriveremo insieme al castello.” Si separarono e al vecchio re si presentarono contemporaneamente, con le sentinelle dell’una e dell’altra porta ad annunciargli che il giovane genero era tornato dalla caccia con le sue bestie. Disse allora il re: “Non è possibile, le porte distano un’ora l’una dall’altra”. Ma intanto, da parti opposte, i due fratelli entrarono nel cortile del castello e salirono insieme. Allora il re disse alla figlia: “Dimmi, qual è tuo marito? Si somigliano tanto che io non posso saperlo”. Lei, in grande angoscia, non avrebbe saputo dirlo; infine le venne in mente la collana che aveva donato alle bestie. Cercò e trovò su uno dei leoni il suo fermaglietto d’oro, allora gridò tutta contenta: “Colui che è seguito da questo leone è il mio vero sposo”. Il giovane fratello salvatore si mise a ridere e disse: “Sì, è lui quello vero”. Sedettero a tavola insieme e mangiarono e bevvero allegramente. La sera, quando il giovane re andò a letto, sua moglie chiese: “Perché le notti scorse hai sempre messo nel nostro letto una spada a due tagli? Credevo mi volessi uccidere”. Allora lui capì come il fratello gli fosse stato veramente fedele.