Fiabe Classiche - Fernán Caballero: L'Uccello della Verità

(fiaba spagnola presente anche nei Fairy Books di Andrew Lang. Testo esaminato e tradotto da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

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(Immagine illustrativa: By Henry J.Ford in «Orange Fairy Book», 1906. P.D. Passa col mouse sull'immagine per ingrandirla.)

«Cuentos, adivinanzas y refranes populares», 1921

libro animato

C'era una volta un pescatore poverissimo che viveva in una capannuccia sulla riva di un fiume, le cui acque chiare e mansuete, anche se profonde, in fuga dal sole e dal brusio delle voci, scorrevano quietamente tra alberi, rovi e canneti, ad ascoltare le voci dei passerotti che lo rallegravano con i loro canti.

Un giorno che stava sulla sua barchetta, apprestandosi a buttare la rete in acqua, il pescatore vide scorrere in mezzo all'acqua una cassettina di cristallo. S'avvicinò per afferrarla, e immaginatevi quale fu la sua sorpresa nel vedere che dentro c'erano due gemellini appena nati, un maschio e una femmina. Egli provò subito tanta pietà per quelle povere creature, così, se le portò a casa, e li consegnò a sua moglie, che in quel periodo allattava. «E questi chi sono?» esclamò quando li vide, «come se non ne avessimo abbastanza di bambini, adesso ci aggiungiamo anche questi due.» «E che cosa avrei dovuto fare?» rispose il marito, «lasciare questi due angioletti nel fiume? Sono così piccoli che non sarebbero sopravvissuti a lungo senza un aiuto, e sarebbero morti di fame, o peggio ancora, presto o tardi li avrebbe presi il mare con le sue enormi fauci. È Dio che ce li manda, e lui ci aiuterà a tirarli su!» E fu proprio così: infatti, i due bimbi crebbero sani e robusti come gli altri otto figli della coppia. Erano così buoni, docili ed educati, che il pescatore e sua moglie volevano loro un gran bene, tanto da considerarli un esempio di rettitudine per gli altri figli, i quali, a un certo punto, cominciarono a provare per i fratellastri odio e invidia; sicché presero a far loro mille dispetti ed ingiustizie. I due orfanelli, quando non ne potevano più, andavano a rifugiarsi tra i rovi e i canneti del fiume, e lì, si divertivano tantissimo in compagnia degli uccellini ai quali portavano un po' di molliche di pane, e quelli, per ringraziarli, volavono loro incontro e da essi appresero in fretta la linga degli uccelli. E trascorrendo così le giornate fin dal mattino presto, impararono dal loro canto tante e tante belle cose.

Un giorno in cui i fratellastri erano particolarmente arrabbiati, dissero con cattiveria ai poveri gemellini: «Noi siamo di buona famiglia e figli di cristiani; però voi, a dispetto della vostra signorilità e buone maniere, siete solo degli straccioni trovatelli che non hanno genitori più di quanti ne abbiano il fiume, i rospi o le rane.» Nel sentirsi così pesantemente umiliati, i poveri orfanelli provarono dolore e vergogna, a tal punto che decisero di andarsene per il mondo di Dio in cerca dei loro veri genitori. La mattina seguente, prima dell'alba, sgusciarono fuori senza farsi vedere da nessuno e si misero in cammino..a piedi nudi, all'avventura, tutti soli per i campi. Si era già fatto mezzogiorno e non si erano ancora imbattuti in anima viva; i poveretti erano molto stanchi, assetati e sfiniti, quando, dopo aver attraversato una collinetta, videro una casetta, che però, purtroppo sembrava abbandonata. Avviliti, si sedettero a riposare su una panca nei pressi della porta; poco distante da lì, notarono uno stormo di rondini radunate sul tetto, e, siccome le rondini sono per natura assai chiacchierone, si misero a ciarlare fra di loro. E avendo i bambini imparato la lingua degli uccelli, poterono facilmente capire ogni parola.

«Salve, comare della città!» disse una dai modi un po' grezzi a quella che era tutta distinta e raffinata, «che piacere vedervi, pensavo ormai che vi foste dimenticata delle vostre amichette del campo! Ehi sì, perché Voi vivete in un palazzo..» «Ho ereditato il nido dei miei genitori, e siccome non è stato ceduto, ci vivo io, così come Voi fate con il Vostro. Però prima di tutto ditemi» disse con fare diplomatico, «tutti bene a casa?» «Bene, grazie a Dio, anche se c'è mancato poco che la mia piccola Beatrice restasse cieca a causa di un'infezione agli occhi, ed è stato per merito del nostro picchio verde se è miracolosamente guarita.» «Però dunque, che novità ci sono, comare Beatrice? Canta sempre bene l'usignuolo? Vola sempre in alto l'allodola? E il cardellino, è sempre ben agghindato?» «Sorella» rispose l'interrogata, «non ho belle cose da raccontare, ma soltanto fatti scandalosi. La nostra specie, che una volta era tanto innocente e morigerata, è diventata corrotta e immorale come la razza umana. Che disgrazia!» «Che dite mai? Noi uccelli siamo cambiati tanto? Che dite?» «La verità nuda e cruda; figuratevi che tornando dal nostro viaggio ci siamo imbattute in certe Bigiarelle che migrano quando è primavera e le giornate sono più lunghe ed è tutto fiorito e allora vanno in cerca del freddo e dei temporali. Nel vedere tanta insensataggine, abbiamo provato a dissuaderle per pietà, e quelle ci hanno risposto nel più insolente dei toni.» «Si spieghi meglio.» «Noi abbiamo detto: "Matte, dove ve ne andate?" E quelle ci hanno risposto:

"E voi da dove venite, dissolute,
prima poche, ora cornute?"

Ecco, comare, immaginatevi l'umiliazione!» «Ma è incredibile!» esclamò l'interlocutrice, «nessuno mai prima d'ora aveva osato insultarci, noi che siamo i più onesti e fedeli tra tutti gli uccelli del mondo.» «E non è finita qui, perché la cappellaccia, che fu tanto timida e per bene, è diventata una volgare ladra, e adesso,

Durante il suo viavai,
becca il cece e becca il mais
e al contadino che si arrabbia
nel vedere il danno che gli arreca, dice
riprovaci ancora, la fortuna è cieca.»

«Non ho parole!» «E non è tutto.. Quando sono tornata, chi vedo, tutto spaparanzato nel mio nido? Un passero svergognato. "Questo nido è mio", gli dissi. "Tuo?" mi rispose il cafone mettendosi a ridere. "Totalmente mio!" risposi io. "Questa è proprietà rubata" ebbe il fegato di replicare, ed io: "Signore, temo che Lei non sia in sé.. Questo nido lo covarono per primi i miei nonni, mi ci crebbero i miei genitori e qui coverò io i miei figli." Ma lo sfacciato insistette: "Questo nido è libero, non appartiene a nessuno." Al che, persi i sensi e tutte le mie compagne si misero a piangere. Quando tornai in me, vidi che i nostri mariti avevano cacciato via quel volgare ladro di nidi. Ma di certo, sorella, Voi non assisterete mai a questo genere di scandali a palazzo.» «Eh.. ne vedo altri.. se sapeste!» «Raccontate, raccontate!» esclamarono all'improvviso tutte le altre rondini, e dopo che il silenzio fu ristabilito grazie ad un robusto e prolungato "Ascoltate!" da parte della decana, quest'ultima cominciò a narrare.

«Dovete dunque sapere che il Re s'innamorò della figlia minore di un sarto che viveva nei pressi del palazzo, e la sposò. E bisogna dire che la fanciulla meritava, poiché aveva tutte le qualità: era buona, bella, ma anche umile e discreta. Successe poi che il Re dovette partire per la guerra, proprio mentre la Regina era incinta; così, fu costretta suo malgrado a separarsi dal marito, ma lo fece malvolentieri, ed aveva ragione! Perché i ministri e i cortigiani, i quali non la potevano vedere (in quanto figlia di un sarto), tramarono contro di lei, aspettando l'occasione propizia per eliminarla.. Sicché, il giorno in cui la povera Regina mise al mondo le sue creature, che erano due splendidi gemelli, quei malandrini scrissero, per contro, al Re, dicendo che aveva partorito un gatto e una serpe. Figuratevi il Re, che nel leggere una simile notizia andò su tutte le furie per la rabbia e l'umiliazione, così ordinò di far gettare al fiume le creature, e di imprigionare la Regina. E accedde proprio così: la buona Regina fu arrestata, e i suoi due angioletti furono deposti in una cassettina di cristallo e buttati nell'acqua.»

Nel sentire il resoconto, le rondinelle, che sono tanto buone e con uno spiccato senso materno, esplosero in un coro di disapprovazione per la terribile sorte capitata alla povera Regina e ai piccoli innocenti, mentre i due trovatelli si guardarono in faccia, ormai quasi sicuri di essere proprio loro le malcapitate vittime della faccenda. Continuò poi la narratrice: «Ma Sentite cosa mise in atto il buon Dio per soverchiare i piani di quegli infami. Dunque, come ho detto, la Regina fu imprigionata; tuttavia, la sua dama particolare, che le voleva un gran bene, riuscì a scavare un buco nella parete, e da lì le passava gli alimenti, così come una mamma fa con i suoi cuccioli. E in quel modo è riuscita a farla sopravvivere, benché, poveretta, sia una vita da martire. Ho saputo poi da un mio amico che i bambini li trovò per caso un pescatore buono di cuore, di nome Martino, che vive sulla riva del fiume, il quale li adottò e li crebbe come se fossero figli suoi.»

I gemelli, che avevano sentito tutto, si rallegrarono tantissimo di aver imparato la lingua degli uccelli; e ciò dimostra evidentemente come ogni occasione sia buona per apprendere, perché quando meno ce lo aspettiamo, potrà esserci utile nella vita.

«Ma allora,» propruppero le rondini, «quando quei bambini saranno grandi, potranno recuperare il posto che spetta loro davanti al Re e, nel contempo, liberare la povera Regina!» «Quanto a questo, temo che non sia molto semplice» rispose la narratrice, «infatti non potranno provare la loro identità, né dimostrare l'innocenza della loro madre, e quindi, nemmeno la malignità di coloro che tramarono. C'è solo un modo in cui potrebbero scagionarla davanti al Re.» «E qual è? Qual è?» domandarono a gran voce tutte le rondini. «Voi come fate a saperlo?» «Lo so,» rispose l'interlocutrice, «perché, passando un giorno per il giardino del palazzo, mi feci una bella chiacchierata con un cuculo (che come sapete è un passero indovino e predige il futuro), e, discorrendo tra noi sui fatti del palazzo, mi disse testualmente: "L'unico che può persuadere il Re è l'Uccello della Verità che parla la lingua degli uomini, nonostante essi, il più delle volte, lo ignorino totalmente." E dove sta? Dove si trova? gli domandai io. E quello mi rispose: "Nel castello di "Ci andrai e mai più ritornerai", che è sorvegliato a vista da un feroce gigante, il quale dorme solo un quarto d'ora al giorno, e se quando si sveglia trova qualcuno dentro o fuori del castello, lo afferra tra le mani con quelle braccia enormi, e lo schiaccia come noi facciamo con le mosche."»

Nel frattempo, i bambini si erano messi ad ascoltare il chiacchiericcio delle rondini con rinnovata attenzione, e persino le rondinelle appena nate fecero lo stesso, sporgendosi talmente tanto fuori dal nido, che rischiarono di cadere. Le madri, notandolo, rimisero i piccoli al loro posto e poi diedero loro una bella beccata per castigo. Terminato il resoconto, la Beatrice curiosona domandò alla comare: «E questo castello dove si trova?» «È proprio questo che non so» rispose l'amica, «so soltanto che non lontano da qui c'è una torre in cui vive una brutta strega, e lei sa come si fa per arrivarci, ma non è facile convincerla a parlare: l'unica speranza è di portarle un secchio dell'Acqua Multicolore che le serve per i suoi incantesimi. Però so che nemmeno sotto tortura accetta di rivelare a chicchessia dove si trova l'Uccello della Verità, perché lo odia e vuole ucciderlo, ma non potendo perché è immortale, insieme al suo compare gigante lo tiene prigioniero e sorvegliato dagli Uccelli della Bugia, i quali lo tengono stretto stretto e non lo fanno respirare.»

«Ma quindi, mettiamo il caso che uno dei bambini del Re riesca ad arrivare fin lassù, non ci sarebbe comunque nessuno che sarebbe disposto a dirgli dove tengono nascosto l'Uccello della Verità?» domandarono le rondini di campagna. «Nessuno» rispose la rondine cittadina, «c'è soltanto un mite gufo che ci vive tutto solo da eremita, però quello non sa una parola della lingua degli uomini.. sa dire solo "croce!" E la imparò quando fu testimone della Crocifissione del Redentore degli uomini, e da allora non smette di ripeterla tristemente. Perciò, non potrà assolutamente farsi capire dal Principe, sempre ammesso che questi possa in qualche modo capitare di lì, ma è quasi impossibile che questo accada. Peò ora, amichette mie, andate con Dio, perché qui si è fatto molto tardi, e ormai siamo al tratomonto, e il Sole sta affondando le sue piume nel fondo del mare. Quindi ora me ne vado, che i miei piccoli staranno sentendo la mia mancanza. Arrivederci, comare Beatrice, arrivederci a tutte!» Così dicendo, la rondinella prese il volo, e i due bambini, rimasti soli, non sentirono più né fame, né stanchezza, felici com'erano di quello che avevano sentito. Si alzarono e seguirono a piedi la direzione presa dalla rondine.

Al suono delle campane, giunsero ad una città, che secondo loro doveva essere punto quella del Re loro padre; domandarono rifiugio per la notte a una buona donna, e quella, che era buona come il pane, nel vedere due bambini così bravi e a modo, li accolse in casa più che volentieri. La mattina seguente, all'alba, la principessina si alzò a fare i mestieri, mentre il principino si diede da fare a pulire il giardino. Così, quando più tardi, la donna si alzò trovò tutte le faccende sbrigate, e ne fu tanto lieta che propose ai due fratellini di restare per sempre a vivere con lei. Il principe rispose che sua sorella poteva tranquillamente rimanere, ma lui desiderava concludere una missione importante, che era precisamente il motivo del suo viaggio. Si congedò, dunque, e proseguì il cammino della speranza, pregando Dio che guidasse i suoi passi verso la conclusione di un'impresa tanto rischiosa. Camminò per tre giorni senza incontrare anima viva, né torri. Al quarto si fermò e sedette, triste e scoraggiato, all'ombra di un albero. All'improvviso vide una tortorella posarsi fra i rami di quell'albero. Il bambino disse nella sua lingua:

«Tortorella dalla piuma nera,
dì a costui che tanto spera,
quel castello che di nome fa "Ci andrai e mai più ritornerai"
dove sta?
Tu che tanto buona sei,
dimmi ciò che sai
e un'opera buona orsù farai.»

Rispose la tortora:

«Oh, povera creatura!
Chi è che mal ti fa? Chi ti manda fino a là?
Dirtelo non so
Se è per te fortuna oppure no..
Ma dal momento che lo chiedi,
Ascoltami,
E segui il vento, se mi credi.»

Il bambino ringraziò di cuore la buona tortora, e si rimise subito in viaggio, pur temendo che il vento, volubile e mutevole com'era, potesse smettere di soffiare nella direzione giusta da un momento all'altro. Tutt'intorno si fece arido e triste, e l'imbrunire rese ancora più buie le nude rocce e fece apparire ancora più grigia e cupa l'alta torre in cui dimorava la strega. La vista di quel luogo avrebbe intimorito chiunque, tranne il principino, che aveva l'animo coraggioso ed era tutto animato dai più sentiti propositi, così, proseguì senza timore; e, arrivato che fu, prese una pietra da terra e con quella batté tre colpi alla porta. L'uscio si aprì, e la vecchia apparve in tutta la sua bruttezza portando un lanternino in mano: era una vecchia orrenda e decrepita, e il povero bambino, terrorizzato, fece tre passi indietro. La vecchia era circondata da un esercito di ramarri, gechi, scarafaggi, ragni, ed altre creature terrificanti.

«Come osi, immondizia ambulante» esclamò la strega, «venire a bussare alla mia porta e svegliarmi nel cuore della notte? Che vuoi? Parla, sù!» «Signora» disse il bambino, «sapendo che solo Voi conoscete la strada per il castello di "Ci andrai e mai più ritornerai", sono venuto qui apposta per chiedervi di indicarmela, per piacere.» La vecchia fece una smorfia in segno di beffa, e rispose: «D'accordo, ma adesso è tardi. Ci andrai domani; entra pure, passerai la notte con le mie bestiolette.» «Non posso restare» rispose il bambino, «devo andarci subito, per tornare prima che sia giorno da dove sono venuto.» «Accidenti, accidentaccio!» grugnò rabbiosamente la strega, «te lo dico, ma ad una condizione: che vai subito a prendermi un secchio dell'Acqua Multicolore che sorge dalla fonte che si trova nel cortile del castello. Se non lo fai, ti trasformo in ramarro per l'etenità!» «Accetto, accetto!» rispose il bambino. Allora la vecchia chiamò un vecchio cane che si reggeva in piedi a malapena e gli disse: «Conduci questo soldo di cacio al castello di "Ci andrai e mai più ritornerai", e avverti il compare del suo arrivo.» Il cane grugnò, e s'apprestò ad ubbidire. Due ore dopo arrivarono nei pressi di un grande maniero, alto, vasto, solitario e cupo, le cui porte erano spalancate, senza però che pervenissero luci dall'interno, come se fosse completamente disabitato. Perfino i raggi di luna sembravano impallidirsi nel riflettersi su quell'edificio bigio e silenzioso. Il cane cominciò ad abbiare e corse avanti, ma il bambino, non sapendo se il gigante stesso dormendo o meno, si fermò e si nascose timorosamente nel tronco di un folto olivo europeo, che era l'unico albero a trovarsi in quella landa desolata. «Signore Gesù, aiutami!» esclamò il bimbo. «Croce! Croce!» rispose una triste vocina di nascosto nei rami dell'albero. Il bambino, entusiasta, riconobbe il famoso eremita descritto dalla rondinella, e gli disse nella lingua degli uccelli: «Mio piccolo amico, guidami, ti supplico. Sto cercando l'Uccello della Verità, ti prego, dimmi dove si trova! E prima di andare, devo anche portare alla vecchia della torre un secchio d'Acqua Multicolore.» «Non lo fare» rispose il gufo, «non riempire il secchio con l'Acqua Multicolore, attingi invece da un'altra sorgente l'acqua limpida e pura che si trova lì vicino alla fonte Multicolore, e porta quella, alla vecchia. Poi non perdere altro tempo. Cerca la stanza degli uccelli, che è di fronte alla porta. Ignora tutto quello che ti diranno i passeri colorati con le piume vistose: loro ti balzeranno subito davanti, ti circonderanno tutti in gruppo, strilleranno come aquile per cercare di confonderti, ti aduleranno per ingannarti, dicendoti di essere l'Uccello della Verità, ma non è vero. Tu non li ascoltare, e prendi invece un passerottino bianco che quei fetenti tengono rinchiuso in un angolo, con la speranza di riuscire ad ammazzarlo (ma non ci riusciranno mai perché è un uccello immortale). Però adesso sbrigati, corri, vai! Che proprio ora il gigante sta per mettersi a dormire, e tra appena un quarto d'ora sarà di nuovo in piedi.»

Il bambino si mise a correre forte, entrò nel cortile del castello e andò alla fonte; vide l'Acqua Multicolore che sgorgava da varie condotte, e non si lasciò confondere. Prese l'altra acqua dalla sorgente vicina, quella che invece era limpida e pura, e riempì il secchio. Poi non perse altro tempo, e andò subito in cerca della stanza dei volatili. Appena entrato, fu subito accerchiato da una miriade di uccelli di ogni specie: ovunque c'erano corvi neri, e pavoni, e ancora, pivieri, e tutti quanti sostenevano di essere l'Uccello della Verità. Però il bambino non si lasciò ingannare e proseguì dritto e spedito fino a un angoletto dove si trovava il passerotto bianco che gli serviva; lo afferrò, se lo nascose nel petto e se lo portò via, non senza subire beccate e pizzicotti dalla multitudine degli altri abitanti della stanza, che erano tutti nemici dell'Uccello della Verità. Veloce come un lampo, il bambino scappò fuori, e continuò a correre fino a quando giunse di nuovo alla torre della strega. Quando lo vide, quella prese il secchio e gli tirò addosso tutta l'acqua, perché era convinta che fosse l'acqua magica e perché in quel modo il bambino si sarebbe trasformato in pappagallo; ma siccome era invece acqua pura, egli divenne ancora più bello. Allora corsero a bagnarsi tutti i rettili e le altre bestie della strega, che altri non erano che giovani cavalieri che erano stati a loro volta trasformati dalla perfida vecchia; le lucertole tornarono ad essere delle principesse; i grilli, musicisti; i calabroni, tornarono ad essere dei ballerini, e via tutti gli altri si ritrasformarono in esseri umani.

Quando vide tutto questo, la strega montò su una scopa e volò via. Le vittime liberate ringraziarono calorosamente il loro liberatore, poi ognuno di loro andò per la sua strada.

Immaginatevi la felicità della sorellina nel vedere il fratellino tornare insieme all'Uccello della Verità. Adesso però ci sarebbero state nuove difficoltà da affrontare: bisognava trovare un modo per avvicinare il Re, e fare in modo che l'Uccello della Verità potesse rivelargli ogni cosa, ma era molto difficile, poiché il palazzo era pieno di nemici della Regina che avevano interesse ad impedire che la verità venisse a galla. Ma non è tutto. Alla corte si sparse la voce che la Regina fosse in possesso dell'uccello fatato, e tale fu lo spavento per gli infedeli, che ben pochi di loro poterono dormire sonni tranquilli. Così, che i malvagi s'apprestarono con ogni mezzo possibile e immaginabile a combatterlo, decisi com'erano a distruggerlo: intrisero di veleno le armi più affilate; gli istigarono contro falchi e ad altri rapaci a dargli la ciaccia, prepararono gabbie e celle dove imprigionarlo, nel caso non fosse possibile ammazzarlo. Non solo: presero a diffamarlo dicendo che il bianco delle sue piume era fasullo, e che in realtà aveva le piume nere. Insomma, ne dissero di tutti i colori contro di lui, e forza di spettegolare, certe voci cominciarono ad arrivare perfino alle orecchie del Re, il quale decise di conoscerlo ad ogni costo. E per quanti intrighi potessero architettare i suoi infedeli cortigiani per impedirglielo, Sua Maestà fu risoluto ad averla vinta, sicché alla fine fece diramare un proclama in cui ordinava a colui o colei che fosse in possesso del famoso volatile, di presentarsi immediatamente al palazzo. Il principino, che non aspettava altro, si recò alla reggia con in petto l'Uccello della Verità, e, com'era facile da prevedere, i malvagi gli impedirono l'accesso. Allora, il passerotto gli sgusciò via e s'alzò in volo, e volò proprio all'interno della residenza reale passando per un balcone; si presentò al Re e gli disse:

«Maestà, io sono l'Uccello della Verità. Sono venuto da solo perché il bambino che mi accompagnava è stato bloccato all'entrata dai cortigiani di Vostra Maestà.» Allora il Re ordinò di lasciar passare immediatamente il bambino, ed egli salì con la sua sorellina; poco dopo furono davanti a lui, e il Re domandò loro chi fossero. E il principino disse al Re: «Sarà l'Uccello della Verità a spiegare ogni cosa, Maestà.» E interrogato che fu il fatato passerotto, disse al Re che quei due bambini erano figli suoi, e poi gli rivelò per filo e per segno come si erano svolti i fatti. E così, il Re, quando seppe dell'orribile trama ordita ai suoi danni, prese ad abbracciare i suoi bambini e se li strinse al petto con le lacrime agli occhi, poi mandò subito a chiamare alcuni muratori ad allargare il buco dove la povera Regina aveva vissuto come una reietta per tutti gliegli anni. La poveretta uscì dalla sua cella ch'era pallida come una statua di marmo; ma non appena vide i suoi gemellini, per la gioia che provò, il sangue ricominciò a scorrerle veloce nelle vene, ed ecco ch'ella tornò ad essere più splendida che mai. Il Re l'abbracciò e la condusse nuovamente sul trono, e al suo fianco sedettero i principini. Fece convocare il bravo pescatore che li aveva adottati, e lo promosse Ministro della Pesca, mente la fedele dama fu fatta sedere su una poltrona di piume, con un rosario in una mano e un ventaglio nell'altra, e fu nominata Duchessa del Lavoro. Tutti i buoni ricevettero grazie e doni, e io che ci andai, me ne ritornai a mani vuote.

(Traduzione dallo spagnolo di Valentina Vetere.)

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Questa fiaba è stata da me esaminata e tradotta dallo spagnolo. Chiunque desideri questo testo per i propri siti, può prelevarlo liberamente, a condizione che citi cortesemente questo sito come propria fonte, senza linkare le immagini, e non spacci questa traduzione come opera sua, in segno di rispetto per il mio lavoro.

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(Documento creato il 20 agosto 2013.)