Fiabe Classiche - Domenico G. Bernoni: Le tre vecchie [1]

(antica fiaba veneziana. Testo esaminato e tradotto da me. Distribuito con licenza CC 3.0 Italia. Per favore, vedasi note a pié di pagina.)

Artwork picture By G.N.

(Bernardo Strozzi [Public domain], attraverso Wikimedia Commons, 1615. Passa il puntatore del mouse sull'immagine per ingrandirla.)

«Fiabe e novelle popolari veneziane», 1873

libro animato

C'erano una volta tre sorelle, tutte e tre giovani: una aveva sessantasette anni, una ne aveva settantacinque, e una ne aveva novantaquattro. Dunque, 'ste tre donne avevano una casa con un bel terrazzino e, nel mezzo, c'era un buco attraverso cui si vedeva la gente passare. Quella di novantaquattro anni vede che passa un bel giovane; si mette subito in bocca della confettura odorosa e, mentre lui passa sotto questo terrazzino, lei gli sputa addosso su una mano. Questi, sentendo quell'odore soave, dice: «Questo è l'odore di una qualche bella ragazza.» Va avanti un po', e poi decide di tornare indietro e di suonare il campanello; viene fuori una di queste tre figliole, la quale gli domanda che cos'è che vuole, e lui le dice: «Per piacere, ci sarebbe per caso una ragazza in questo palazzo?» «Sì signore, ce ne sono due.» E lui: «Mi faccia un piacere, mi mostri quella che m'ha sputato sulla mano!» «Oh, sa, non le è permesso» dice lei, «in questo palazzo non si usa mostrare in pubblico le fanciulle prima del matrimonio.» E lui, che già s'immaginava che la fanciulla fosse tanto bella, comincia a spasimare e dice: «Tanto è, tanto basta: la voglio sposare anche senza averla vista.» E dunque dice a 'sta vecchia: «Ora io vado da mia madre, e le racconterò che ho visto una bellissima fanciulla, e che mi voglio sposare con lei.» Va a casa da sua madre e le racconta tutto. Sua madre gli risponde: «Oh, figlio mio, sta' bene attento a quel che fai! Potresti cadere in qualche truffa. Io ormai ho una certa età, e ci penso sempre su due volte prima di fare qualcosa.» E lui le risponde: «Tanto è, tanto voglio. Parola di re, indietro non ci torno: voglio sposarla.» Dunque, torna a casa di 'sta giovane, suona il campanello e sale su; vede la solita vecchia e le dice: «Scusi, di grazia, ché per caso Lei è la sua nonna?» «Sì, sì, esatto. Sono la sua nonna.» «Giacché è la sua nonna, mi faccia il piacere: voglia mostrarmi almeno un dito di quella ragazza.» «Oh, no, non si può ancora fare! Deve tornare domani.» Così dicendo, lo saluta e lui va via, e subito la la vecchia fa fabbricare un dito finto e un'unghia posticcia. Lui, tutto preso dal desiderio di vedere 'sto dito, non vedeva l'ora che passasse la notte. Finalmente arriva il giorno dopo, e subito si veste per correre da lei. «Signora padrona» disse alla vecchia, «sono qua, sono venuto a vedere il dito della mia sposa.» «Sì, sì» risponde lei, «glielo faccio vedere subito, ma solo attraverso il buco della serratura. Si può fare solo così.» E là, attraverso il buco della serratura, la sposa mette fuori 'sto dito. Lui vede ch'è un bellissimo dito, gli dà un bacio e gli mette un anello di diamanti, e poi, tutto preso dalla passione, dice alla vecchia: «Ecco, senta, nonna, io voglio sposare la ragazza al più presto, perché non mi va di aspettare.» E lei: «Se vuole, può sposarla anche domani.» E lui: «Bene! Parola di re, domani me la sposo!» E siccome erano signori e non mancava loro niente, poterono permettersi di celebrare le nozze subito il giorno dopo. E quindi, il giorno appresso il re torna lì per sposarla, e insieme alla sposa ci sono quelle altre due giovinette a fare i preparativi per la cerimonia. Arriva il re e dice: «Eccomi qui, nonna.» «Aspetti ancora un momento» risponde lei, «che tra poco l'accompagneranno qui.» Allora le due vecchie prendono la sposa sotto braccio, la coprono con sette veli e la scortano fuori della camera; e una di queste dice al re: «Si ricordi bene che finché non andrete a letto, non Le sarà permesso di vederla.» Detto questo, vanno in chiesa e si sposano.

Dopo che li hanno sposati, il re vuole andare a pranzo, ma la solita vecchia non lo permette, e gli dice: «No, perché la sposa non ci è abituata.» E al re gli tocca stare di nuovo zitto, e non vede l'ora di andare a letto, se non altro per vedere la sua sposa. Si fa sera, e le due vecchie conducono la sposa in camera; lei si spoglia e si mette a letto. Dopo un po' arriva il re, accompagnato dalla nonna. E mentre il re si spoglia, la vecchia gli porta via la luce; allora lui ne accende subito un'altra, dopodiché comincia ad osservare per benino la sposa, e vede quel brutto spettacolo di vecchia tutta grinzosa. Prima si spaventa e si poi si arrabbia a tal punto che l'afferra con veemenza e la butta giù dal balcone. Sotto a quel balcone c'era una vigna, e mentre viene scaraventata giù, la vecchia rimane impigliata con la camicia a un palo della vite, e di conseguenza, rimane a penzolare per aria con il culo scoperto.

Per Diana! In quel mentre passano di lì tre fate: guardano in alto, e vedono quel brutto spettacolo di vecchia mezza nuda a penzoloni su quel palo, e scoppiano a ridere tanto forte, fino a farsi venire i dolori ai fianchi. Placatasi l'ilarità, una di quelle fate dice: «Dal momento che ci ha fatto tanto ridere, adesso bisogna ricompensarla.» E siccome erano tutte d'accordo, la prima fata dice: «Comando, comando, che tu possa diventare la più bella fanciulla che si possa vedere con due occhi.» L'altra fata le dice: «Comando, comando, che tu possa avere un bellissimo sposo che ti ami e ti voglia tanto bene.» E la terza dice: «Comando, comando, che tua sia una gran signora per tutta la tua vita.» E dopo, le tre fate se vanno.

Appena fattosi il giorno, il re dice: «Aspetta un po' che voglio vedere 'sto brutto spettacolo che ho buttato via ieri sera.» E, affacciatosi al balcone, vede una bellissima ragazza attaccata a un palo. Allora si dispera come un matto e dice: «Oh povero me, che cosa ho fatto!» E Non sapeva come fare per riacchiapparla: alla fine tira via un lenzuolo dal letto, glielo butta giù e lei vi si attacca. La tira su per il balcone e la depone nel letto. Allora, tutto contento da una parte, e dispiaciuto dall'altra, si corica anche lui, e le supplica di perdonarlo per il brutto trattamento riservatole; lei lo perdona, e così stanno in buona compagnia. Dopo un po' la nonna bussa alla porta per domandare se vogliono qualcosa, e il re dice: «Avanti, avanti.» Lei entra in camera e subito vede una bellissima ragazza nel letto, la quale le dice: «Clementina, portami il caffè.» Lì per lì la vecchia tace e le porta il caffè senza aprir bocca. E siccome qui a Venezia è consuetudine che le spose non si muovano di casa per i primi otto giorni, il re, allora, a una cert'ora si veste e se ne va, lasciando la sposa nel letto. Dice allora la Clementina alla sua sorella: «Ma com'è che hai fatto a diventare così giovane?» E la sposa risponde: «Taci, taci, per carità! Vuoi proprio sapere come ho fatto? Mi sono fatta piallare.» «Dimmi, dimmi da chi, che mi faccio piallare pure io!» E la sposa: «Dal falegname.» E 'sta vecchia corre giù dal falegname e gli dice: «Falegname, datemi una spianata.» E quegli le risponde: «Oh, per Diana! E perché mai vuole che le dia una spianata? Ha forse voglia di crepare?» «Lei non si preoccupi, non ci pensi!» Risponde la vecchia. «Pialli, pialli.» Ma lui niente, si rifiuta. Allora la vecchia gli dice: «Le dò un tallero.» Quegli, a sentir parlare di talleri, dice subito: «Si sdrai qui sopra, che gliene dò anche due di piallate, se lo desidera.» Lei si sdraia sul banco e lui comincia a spianarle una ganascia. Lei comincia a sentire un dolore bestiale e caccia un urlo; lui le dice: «E allora? Se grida così non se ne fa niente.» Allora lei si volta dall'altra parte e lui le dà una piallata sull'altra ganascia. Allora, per il gran dolore, le scoppia il cuore, e la vecchia se ne va alla malora. Dell'altra sorella non si è saputo più niente, insomma: non si sa che fine ha fatto, se s'è annegata, accoppata, o scannata, se sia morta nel suo letto o chissà dove, non si sa.

Invece, la sposa rimase da sola in quella grande casa col suo sposo, e da allora visse felicissima e contentissima.

(Traduzione in italiano moderno di Valentina Vetere.)

Annotazione

[1]Fiaba successivamente ritrascritta con il medesimo titolo e catalogata da Italo Calvino nella sua opera "Fiabe Italiane", nel 1956.

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Questa fiaba è stata esaminata e tradotta da me dall'antico veneziano. Chiunque desideri questo testo per i propri siti, può prelevarlo liberamente, seguendo le medesime condizioni regolate dalla licenza Creative Commons 3.0 indicata in questa pagina, in segno di rispetto per il mio lavoro.

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(Documento creato in data 29 novembre 2013. Ultimo aggiornamento: 19/12/2016.)

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Questo testo in antico dialetto veneziano è stato da me esaminato e tradotto in italiano moderno. Nella ritrascrizione italiana ho cercato di attenermi fedelmente al testo originale, nel tentativo di mantenerne il più possibile quella vivacità e brillantezza di linguaggio che lo contraddistinguono. A tal scopo, ho realizzato una traduzione quasi a livello letterale, lasciando quasi intatti diversi passaggi.