Fiabe Classiche - M.me Beaumont: Il principe Avvenente

il principe Avvenente

"Le Magasin des enfants"

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C'era una volta un principe che aveva soltanto sedici anni quando suo padre morì. Inizialmente era sempre molto triste, ma ben presto il piacere di essere diventato il nuovo re lo consolò. Questo principe, di nome Avvenente, non era di cuore cattivo, ma era stato abituato come un principe, ossia a far sempre tutto quello che voleva, e questa pessima abitudine lo avrebbe certamente reso cattivo in seguito. Già cominciava ad arrabbiarsi quando gli facevano presente i suoi errori; trascurava gli affari dello stato per abbandonarsi ai divertimenti, e soprattutto aveva una tale passione per la caccia che vi perdeva quasi tutto il suo tempo. Insomma, come avviene per quasi tutti i principi, lo avevano viziato e guastato; però per sua fortuna aveva un ottimo aio. Da piccino, gli aveva voluto molto bene, ma poi, quand'era divenuto re, aveva cominciato a pensare che quel suo precettore fosse troppo virtuoso. 'In sua presenza non oserò seguire i miei capricci', si diceva, "lui dice che un principe deve dedicare la maggior parte del tempo alle cose del suo regno, e a me non piace che divertirmi! E poi, anche se non mi dirà nulla, diventerà triste e io vedrò dalla sua faccia ch'egli sarà scontento: bisogna allontanarlo, giacché finirebbe con l'infastidirmi!' Il giorno dopo, Avvenente riunì il suo Consiglio, prodigò grandi lodi all'aio e disse che, per degnamente ricompensarlo della cura che si era presa di lui, lo nominava governatore d'una provincia, che era assai lontana della Corte. Una volta partito il precettore, egli si diede alla pazza gioia e soprattutto alla caccia, ch'era la sua grande passione.

Un giorno che Avvenente si trovava in mezzo a una grande foresta, vide passare una cerva più bianca della neve, con un collare d'oro attorno al collo; quando essa fu vicina al Principe, lo guardò fissamente e poi si allontanò. "Non uccidetela!" esclamò Avvenente. Poi ordinò alla sua gente di rimanere lì, insieme ai cani, e lui si diede a inseguire la cerva. Sembrava quasi ch'essa lo aspettasse, ma quando lui le era vicino, allora si allontanava nuovamente con salti e sgambetti. Egli aveva una tale voglia di prenderla che, a forza di correrle dietro, fece molta strada senz'accorgersene. Si fece notte, e la cerva non si vide più. Ecco il nostro Principe in un bell'impiccio: non sapeva neppure dove si trovava. Tutt'a un tratto, gli parve di sentire come un suono di strumenti, ma sembrava molto lontano; si diresse verso quella gradevole musica e finalmente giunse davanti a un gran castello, da dove il bel concerto proveniva. Il guardaportone gli chiese cosa volesse, e subito il Principe gli raccontò la propria avventura. "Siate il benvenuto" gli disse quell'uomo, "Vi stanno aspettando per andare a cena, giacché la cerva bianca appartiene alla mia padrona: tutte le volte che lei la fa uscire è perché le conduca un po' di compagnia." Così dicendo, il guardaportone fece un fischio e apparvero parecchi domestici, muniti di torce, i quali accompagnarono il Principe in un appartamento bene illuminato. I mobili di quest'appartamento non avevano nulla di sfarzoso, ma tutto era pulito e così ben sistemato ch'era una gioiaper gli occhi.

Subito apparve la padrona di casa: Avvenente rimase abbagliato dalla sua bellezza; si gettò ai suoi piedi e non poteva parlare tanto era occupato a guardarla. "Alzatevi, Principe," disse lei porgendogli la mano; "sono commossa dall'ammirazione che desto in voi: mi sembrate così gentile che il mio cuore si augura che siate voi colui che deve farmi uscire dalla mia solitudine. Mi chiamo Vera-Gloria, e sono immortale: abito in questo castello dal principio del mondo, sempre aspettando uno sposo; un gran numero di re sono venuti a trovarmi, ma sebbene mi avessero giurato eterna fedeltà, non hanno mantenuto la loro parola e mi hanno abbandonata per la mia più acerrima nemica." "Ah, bella Principessa!", esclamò Avvenente, "come si può fare a dimenticarvi, una volta che vi si è vista? Io giuro di amare soltanto voi, e fino da quest'istante, vi scelgo come mia sovrana." "E io vi accetto come mio sovrano" gli rispose Vera-Gloria, "ma non mi è ancora permesso di sposarvi. Voglio farvi conoscere un altro principe che si trova nel mio palazzo e che lui pure desidera sposarmi. Se potessi liberamente disporre di me stessa darei a voi la preferenza; ma la cosa non dipende da me. Tutti e due dovrete rimanere lontani da me per tre anni, e colui che nel frattempo mi sarà fedele avrà la preferenza." Avvenente fu molto addolorato da tali parole, ma lo fu ancora di più quando vide il Principe del quale Vera-Gloria gli aveva parlato: era così bello, aveva tanto spirito, ch'egli ebbe un gran timore che Vera-Gloria finisse coll'amarlo di più. Si chiamava Assoluto e possedeva un grande impero. Tutti e due cenarono insieme a Vera-Gloria e al mattino furono assai tristi quando la dovettero lasciare. Ella disse che li avrebbe aspettati per tre anni, ed essi uscirono insieme dal suo palazzo.

Non avevano ancora fatto duecento passi nella foresta, che scorsero un altro palazzo, e assai più sontuoso di quello di Vera-Gloria: l'oro, l'argento, il marmo, i diamanti abbagliavano la vista; i giardini erano superbi, e spinti dalla curiosità, essi vi entrarono. Quale fu il loro stupore nel trovarvi la loro Principessa! Ma i suoi vestiti erano differenti: aveva un abito tutto tempestato di diamanti, e anche i suoi capelli ne erano pieni mentre, il giorno prima, tutta la sua eleganza consisteva in un vestito bianco guarnito di fiori. "Ieri vi mostrai la mia casa di campagna" ella disse, "un tempo mi piaceva, ma dato che adesso ho ben due principi come pretendenti, essa non mi sembra più alla mia altezza, l'ho abbandonata per sempre e vi aspetterò in questo palazzo, giacché i principi devono preferire lo sfarzo. L'oro e le pietre preziose son fatti apposta per loro, e quando i sudditi li vedono molto sfarzosi, li rispettano ancora di più" Così dicendo, fece passare i suoi due spasimanti in un gran salone: "Adesso vi farò vedere", disse, "il ritratto di parecchi principi che furono i miei favoriti. Ecco lì uno che si chiamava Alessandro; l'avrei anche sposato, ma morì troppo giovane. Questo principe qui, con un esiguo numero d'amanti, devastò tutta l'Asia e se ne rese padrone. Mi amava pazzamente; più volte rischiò la vita per piacermi. Guardate un po' quest'altro, aveva nome Pirro; il desiderio di divenire mio sposo lo spinse a lasciare il proprio regno per conquistarne degli altri; guerreggiò per tutta la vita, e fu ucciso, per disgrazia, da una tegola che una donnicciola gli buttò sul capo. Quest'altro si chiamava invece Giulio Cesare: per meritare il mio cuore fece per dieci anni la guerra ai Galli: vinse Pompeo e dominò i Romani. Sarebbe diventato mio sposo ma, contro il mio parere, perdonò ai propri nemici e così costoro gli diedero ben ventidue pugnalate!" La Principessa mostrò loro ancora moltissimi ritratti, e dopo avergli offerto una splendida colazione, che fu servita in piatti d'oro, li invitò a proseguire il viaggio.

Quando furono usciti dal suo palazzo, Assoluto disse ad Avvenente: "Dovete riconoscere che la Principessa, quest'oggi era mille volte più attraente con i suoi begli abiti, di quanto non lo fosse ieri sera, e aveva anche molto più spirito!" "Non so cosa dire", rispose Avvenente, "quest'oggi era truccata, e mi è sembrata diversa, per via di quegli abiti, ma certamente mi piaceva di più vestita come una pastorella." I due principi si separarono, presero ognuno la sua strada e se ne tornarono nel proprio regno, ben decisi a far tutto il possibile per piacere alla donna del cuore.

Quando Avvenente fu arrivato al suo palazzo, si ricordò che, quand'era piccolo, il suo buon aio gli aveva assai spesso parlato di Vera-Gloria, e disse fra sé: 'Dato che egli conosce la mia Principessa, lo voglio far tornare alla corte, così m'insegnerà quel che devo fare per piacerle'. Così mandò un corriere a prenderlo, e non appena il precettore, che si chiamava Sincero, fu arrivato, lui lo chiamò nel suo studio, e gli narrò tutto quello che gli era accaduto. Il buon Sincero, piangendo di gioia, disse al re: "Ah, mio caro Principe, come sono contento d'esser tornato! Senza di me, voi avreste perduto la vostra cara Principessa. Devo dirvi che ella ha una sorella, a nome Falsa-Gloria; questa malvagia creatura non è affatto così bella come Vera-Gloria, ma sa truccarsi per nascondere i propri difetti. Aspetta tutti i principi che escono dalla casa di Vera-Gloria e li attira nella propria; siccome rassomiglia alla sorella, costoro rimangono ingannati; credono di adoperarsi per Vera-Gloria e invece la perdono perché seguono i consigli di sua sorella. Avete veduto come tutti i suoi spasimanti siano periti miseramente. Anche il principe Assoluto, che seguirà il loro esempio, vivrà solo fino a trent'anni. Ma voi, se vi comportate secondo i miei consigli, vi prometto che finirete con lo sposare la vostra Principessa. Ella è destinata ad essere la sposa del più grande re del mondo: adoperatevi per diventarlo." "Mio caro Sincero," rispose Avvenente "sai bene che ciò non è possibile. Per quanto sia grande il mio regno, i miei sudditi sono così ignoranti, così grossolani che non potrò mai spingerli a guerreggiare. Ora, per diventare il re più grande del mondo, non è forse necessario vincere un gran numero di battaglie e impadronirsi di molte città?" "Ah, caro Principe!" rispose Sincero, "avete già dimenticato tutte le mie lezioni! Quand'anche possedeste una sola città, due o trecento sudditi e non aveste mai fatto una guerra, potreste ugualmente diventare il più grande sovrano del mondo! Basta per questo essere il più giusto e il più virtuoso. Questo è il mezzo per conquistare la principessa Vera-Gloria. Quelli che prendono i regni dei loro vicini, per costruire bei castelli, comperare splendidi vestiti, molti diamanti, opprimono il loro popolo, s'ingannano, e alla fine non troveranno che la principessa Falsa-Gloria, la quale, allora, non sarà più truccata e apparirà loro in tutta la sua deformità. Voi dite che i vostri sudditi sono ignoranti, grossolani; ebbene, bisogna istruirli. Muovete guerra all'ignoranza, al delitto; combattete le vostre passioni, e sarete un gran re, un conquistatore più importante di Cesare, di Pirro, di Alessandro, e di tutti gli eroi che Falsa-Gloria vi ha mostrato nei loro ritratti."

Avvenente decise di seguire i consigli del suo buon aio. A questo scopo pregò uno dei suoi propri congiunti di reggere il regno durante la sua assenza, e partì in compagnia di Sincero, per girare il mondo e poter informarsi personalmente di tutto quel che occorre per rendere felici i propri sudditi. Quando in uno Stato egli incontrava un dotto, un uomo pratico, gli diceva: "Volete venire con me, vi pagherò in oro sonante!" Quando si fu ben bene informato ed ebbe raccolto un buon numero di gente capace, ritornò nel proprio regno, e incaricò tutte quelle persone di merito d'istruire i suoi sudditi che erano infatti poverissimi e ignorantissimi. Fece costruire grandi città e una gran quantità di navi; vegliava a che s'insegnasse un lavoro a tutti i giovanetti; provvedeva al sostentamento dei vecchi e dei malati; rendeva personalmente la giustizia ai propri sudditi, e così questi cominciarono a essere onesti e felici.

Trascorse due anni adoperandosi così, finiti i quali, egli chiese a Sincero: "Credete che presto potrò essere degno di Vera-Gloria?" "Vi resta ancora una grande opera da compiere", gli rispose l'aio, "avete vinto i vizi dei vostri sudditi, la vostra propria pigrizia, il vostro amore dei divertimenti, ma siete ancora schiavo della collera: è l'ultimo nemico che dovete ancora combattere." Avvenente faticò moltissimo a correggersi di quest'ultimo difetto, ma era così innamorato della Principessa, che fece grandi sforzi per diventare mite e paziente. Alla fine vi riuscì, e i tre anni essendo ormai trascorsi, ritornò nella foresta dove gli era apparsa la cerva bianca. Non aveva con sé una grande scorta: soltanto Sincero lo accompagnava. Ben presto egli incontrò Assoluto troneggiante in un cocchio superbo: su quel cocchio aveva fatto dipingere tutte le battaglie da lui vinte, le città che aveva prese; faceva camminare avanti a sé parecchi principi che aveva fatto prigionieri, incatenati come schiavi. Quando scorse Avvenente, si fece beffe di lui e di quel che aveva fatto in quegli anni. In quel momento essi videro i palazzi delle due sorelle, che non erano troppo lontani l'uno dall'altro. Avvenente s'avviò verso il primo; Assoluto ne fu felice, perché colei che egli credeva fosse la sua principessa, gli aveva detto che non vi sarebbe tornata mai più. Non appena Avvenente si fu separato da lui, la Principessa Vera-Gloria, mille volte più bella, ma sempre ugualmente semplice negli abiti come la prima volta che gli era apparsa, venne a incontrarlo. "Venite, mio Principe", gli disse, "voi siete degno d'essere mio sposo; ma non avreste mai avuto questa gioia senza il vostro amico Sincero, il quale vi ha insegnato a distinguermi da mia sorella." Detto questo, Vera-Gloria ordinò alle Virtù, che sono sue suddite, di organizzare una gran festa in onore del suo matrimonio con Avvenente.

Nel mentre ch'egli pregustava la felicità d'essere lo sposo di quella principessa, Assoluto giunse al castello di Falsa-Gloria che lo ricevette con ogni pompa e si offrì di sposarlo immediatamente. Lui acconsentì, ma non appena ella fu divenuta sua moglie, si accorse, guardandola da vicino, che era vecchia e tutta rugosa, sebbene non avesse dimenticato di mettersi molto liscio e molto rossetto per nascondere le rughe. Mentre lei parlava, un filo d'oro che teneva la sua dentiera si ruppe e i denti le caddero per terra. Il principe Assoluto era così furente per essere stato ingannato, che le si avventò contro per picchiarla, ma siccome l'aveva afferrata per i capelli, ch'erano belli, neri e molto lunghi, rimase di stucco nel vederseli restare in mano, giacché Falsa-Gloria portava la parrucca e, quando rimase a testa nuda, lui vide che non aveva più di una dozzina di capelli, e per di più, tutti bianchi! Allora Assoluto abbandonò quella perfida e orribile creatura, e corse al palazzo di Vera-Gloria che, proprio in quel momento, aveva sposato Avvenente; il dolore ch'egli provò per aver perduto quella principessa fu così grande che lo portò alla tomba. Avvenente compianse la sua disgrazia, e visse lungamente con Vera-Gloria. Ebbe da lei molte figliole, ma una sola rassomigliava perfettamente alla madre. Egli la mise nel castello campestre aspettando il momento di poterle trovare uno sposo; e, per impedire alla perfida zia di sviare i suoi pretendenti, decise di scrivere la propria storia, allo scopo d'insegnare ai principi che avessero voluto sposare sua figlia, come l'unico mezzo per possedere Vera-Gloria, sia quello di adoperarsi per divenir virtuosi e rendersi utili ai propri sudditi; e come, inoltre, per riuscire in un simile intento, vi sia sempre bisogno d'un amico sincero.