Fiabe Classiche e Popolari Italiane - Basile: I sette colombelli (Giornata IV, Favola VIII)

(testo esaminato e riadattato in italiano moderno da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

i sette colombi e Cianna

«Lo Cunto de li cunti» («Il Pentamerone»), 1634

libro animato

Sette fratelli lasciano la casa paterna perché la loro madre non riesce a fare una sola figlia femmina; alla fine la sorellina nasce, e mentre loro aspettano la notizia, il segnale da parte della mamma non arriva. Partono da soli, finché la figlia cresce e decide di andarli a cercare: li trova, e torneranno a casa insieme, ricchi.

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C'era una volta nel paese di Arzano, una brava signora di nome Iannetella, la quale ogni anno sfornava un figlio maschio, tanto che erano già arrivati a sette, tutti tanto belli che sembravano il flauto del dio Pan a sette canne, una più grande dell'altra. Allora i figli, quando furono abbastanza grandi, dissero alla madre, che era di nuovo incinta: "Sappi, mamma, che se tu dopo tanti figli maschi, non ci dai una sorella, noi ce ne andremo raminghi per il mondo, spersi e sparsi come i figli del merlo." La madre, al sentire questo annuncio, si demoralizzò molto, perché non aveva nessuna intenzione di perdere i suoi sette figli, che erano le sue sette gioie, e da quel momento pregò il cielo di poter accontentare la loro richiesta. Quando giunse il momento del parto, i figli dissero alla madre: "Bene, noi intanto ci ritiriamo su quella collina vicina, e aspetteremo un tuo segnale: se sarà un maschio, metterai un calamaio e una penna sulla finestra, se invece sarà una femmina, mettici un cucchiaio e una conocchia; se farai la femmina, allora noi torneremo subito a casa per restare ancora sotto le tue ali, altrimenti, scordati di noi."

Partiti i ragazzi, il cielo volle che Iannetella sfornasse finalmente una bella pupa, e così, tutta contenta, raccomandò alla levatrice di mettere subito fuori il segnale per far tornare a casa i figli, ma quella fu così distratta che mise fuori il segnale sbagliato: anziché cucchiaio e conocchia, la sciagurata espose penna e calamaio; a  quel punto, convinti che anche questa volta la mamma avesse fatto un maschio, i sette fratelli se ne andarono via. Camminarono per tre lunghi anni, fino a quando arrivarono ad un bosco – dove gli alberi al suono di una fiumara che faceva contrappunti sulle pietre, facevano un bel ballo con i fiori – dove c'era la casa di un orco, il quale, avendo perso gli occhi durante il sonno per mano di una femmina, ora non ne poteva più vedere una. I sette fratelli, che non ne potevano più dalla stanchezza e dalla fame, gli chiesero per compassione di poter mangiare qualche tozzo di pane; l'orco offrì loro di restare al suo servizio, e in cambio avrebbero avuto tutto quello che volevano; l'unica cosa che dovevano fare era guidarlo tutto il giorno come un cagnolino. Sentito questo, i fanciulli accettarono di buon grado, felici come se avessero trovato un altro padre e un'altra madre, e restarono a servirlo. Intanto l'orco in breve tempo aveva imparato a memoria i loro nomi, chiamandoli a turno, ora Giangrazio, ora Cecchitiello, ora Pasquale, ora Nuccio, ora Pone, ora Pezillo, ora Carcavecchia, e finalmente i ragazzi avevano un tetto caldo e sicuro sulla testa e cibo a sufficienza per vivere.

Ma dopo qualche anno, la sorellina era cresciuta, ed era venuta a sapere dell'esistenza dei fratelli, e che questi ora erravano chissà dove per colpa dello sbaglio della levatrice, e non avendo più avuto notizie di loro, un giorno decise che doveva a tutti i costi andare a cercarli, e tanto fece e tanto disse che riuscì a convincere la mamma a lasciarla andare. Messasi in cammino, domandò a tutti quelli che incontrava se avevano visto i sette fratelli. Arrivò a un'osteria di paese, dove si fece spiegare la strada per quel bosco, e – quando il sole con il temperino dei suoi raggi scartavetra i segni fatta dalla notte nel cielo – si ritrovò finalmente nel bosco, dove i fratelli la riconobbero e maledissero la levatrice e il calamaio che li aveva fatti inutilmente allontanare. Dopo aver fatto alla sorella mille carezze, le raccomandarono di restare chiusa in camera, spiegandole che se l'orco l'avesse vista, l'avrebbe senz'altro mangiata, e le raccomandarono altresì di condividere ogni sorta di cibo con la gatta, per evitare che quella facesse poi qualche dispetto. Cianna, così si chiamava la ragazza, si fissò bene in testa i consigli dei fratelli e fece scrupolosamente come essi le dissero: se ne restava tutto il giorno in camera, e non mancava di compartire le pietanze con la gatta, dicendo sempre «questo a me, questo a te, questo alla figlia del re».

Accadde però un giorno che i fratelli dovettero andare a caccia nel bosco per conto dell'orco, e le lasciarono il compito di lavare e cucinare dei ceci, e nel mentre in cui faceva li preparava, trovò dentro a uno di questi una nocciola, che fu la fine della sua pace, poiché se la mise in bocca senza tagliarne metà da dare alla gatta, la quale, avvedutasi di questo dispetto, subito corse al focolare e facendoci la pipì sopra, spense il fuoco. Cianna, che era rimasta fregata, non sapendo come fare, andò a bussare alla porta dell'orco per chiedergli un po' di fuoco. L'orco, sentendo una voce femminile, rispose: "Ben venga il maestro! Aspetta un attimo, hai trovato quel che stai cercando" e così dicendo, prese una grossa pietra e la unse di olio per affilarsi le zanne. Cianna, che capì che si metteva male, prese un tizzone e corse a chiudersi in camera, sprangando bene la porta con tutta la mobilia che c'era dentro. L'orco, come ebbe finito di affilarsi i denti, corse alla porta, e trovandola chiusa, cominciò a prenderla a calci nel tentativo di sfondarla. In quel momento arrivarono i sette fratelli, i quali, alla vista di questo trambusto, si beccarono anche un bel rimprovero dall'orco per aver introdotto in casa sua una femmina, allora Giangrazio, che era il maggiore e quello con più senno, prese in disparte l'orco e gli disse: "Noi non sappiamo niente di questa faccenda, e potrebbe essere che questa maledetta femmina abbia trovato il modo di intrufolarsi in casa di nascosto, mentre eravamo a caccia; ma non preoccuparti, s'è messa in trappola da sola, vieni con me, ti faccio vedere un posto dove potremmo attirarla e distruggerla senza che si possa difendere." Così, preso l'orco per la mano, lo condusse dove c'era un profondo fossato e con una bella spinta ce lo fece cadere dentro, poi con una pala che era lì, lo seppellirono e corsero a liberare la sorella. Subito le fecero un bel rimprovero per aver disubbidito agli ordini, e le raccomandarono, da quel momento, di guardarsi bene dal cogliere l'erba che era cresciuta intorno alla tomba dell'orco, o tutti e sette si sarebbero trasformati in colombi. "Ci starò attentissima", rispose Cianna, "Dio mi scampi se vi cagionerò questo danno!". E così, dopo questa disavventura finita bene, presero possesso delle fortune dell'orco e aspettarono l'inverno per tornare a casa loro.

Successe poi un giorno che i fratelli erano via in montagna a far legna per ripararsi dal freddo, e Cianna rimase sola a casa, e arrivò in quel bosco un povero pellegrino, che, avendo fatto dispetto a un gatto mammone che stava su di un pino, quello gli aveva procurato un gran bernoccolo tirandogli una pigna in testa, e il bernoccolo gli faceva tanto male da farlo strillare. Sentendo il rumore, Cianna corse fuori a vedere, e mossa a compassione per quel povero disgraziato, colse dalla tomba dell'orco un po' di rosmarino e con pane vecchio e sale, gli preparò un intruglio medicamentoso, poi gli diede un po' di cibo e quello poté rimettersi in viaggio. Quando, rientrando in casa, apparecchiò la tavola aspettando il ritorno dei fratelli, ecco giungere al volo sette colombelli, i quali subito la rimproverarono: "T'avessero mozzato le mani da bambina, causa delle nostre disgrazie! Te l'avevamo detto o no, di non toccare l'erba intorno alla tomba dell'orco? Sei contenta, ora? Per curare un bernoccolo a un estraneo, hai condannato i tuoi fratelli a una vita da uccelli! Che ti ha detto il cervello? Te l'ha mangiato la gatta? Ora noi siamo condannati a questa forma, e saremo presto vittime di bestie di ogni tipo. E ora con che aspettative torneremo a casa nostra? Per cadere subito vittime di reti e trappole? Ora c'è solo un modo per tirarci fuori da questo impiccio: trovare la mamma del Tempo e farsi dire il modo per rompere l'incantesimo."

Cianna, rimasta a bocca aperta come una quaglia pelata dall'orrore di essere stata la causa di un danno così grande per i suoi fratelli, giurò che avrebbe trovato la mamma del Tempo a qualunque costo, e che li avrebbe presto liberati. E temendo che potesse succedere loro qualcosa di male, li pregò di non muoversi di casa durante la sua assenza, e tanto era la sua angoscia, che se andava a piedi, riusciva a fare tre miglia all'ora senza mai fermarsi, come una mula. Cammina cammina, arrivò a una spiaggia, dove il mare increspava le rocce con la schiuma delle onde, dove vide una grande balena, che le chiese: "Cosa fai qui, ragazza mia? Dove stai andando?" E Cianna rispose: "Sto cercando la casa della mamma del Tempo"; e la balena: "Allora, devi proseguire sempre dritto per questa spiaggia, poi risali il primo fiume che incontri e poi lì troverai qualcuno che ti indicherà il resto di strada da percorrere. Ma già che ci sei, vuoi farmi gentilmente un favore? Quando avrai trovato questa buona vecchia, chiedile come devo fare per navigare sicura senza sbattere contro gli scogli e senza arenarmi sempre sulla spiaggia." "Lascia fare a me" rispose Cianna, ringraziandola per le indicazioni ricevute, e, seguendo questa spiaggia arrivò in cima al fiume, che, come un esattore delle tasse versava schiuma al mare, proseguì la salita, finché giunse in un bel prato che mostrava il suo bel manto verde stellato di fiori, dove trovò un topo, il quale le chiese: "Dove vai tutta sola, bella signorina?" E Cianna: "Cerco la mamma del Tempo". E il topo: "Oh, hai ancora tanto da camminare. Ma non ti perdere d'animo, che a tutto c'è rimedio, cammina seguendo queste alte montagne, che sono le signore di questi luoghi, che alla fine giungerai a destinazione; ma fammi una cortesia: quando avrai trovato la vecchia signora, chiedile da parte mia che possiamo fare per liberarci dai gatti tiranni, e ti sarò per sempre debitore."

Cianna promise che lo avrebbe fatto volentieri, e proseguì il suo cammino verso quelle altissime montagne, che sembravano vicine eppure sembrava non arrivare mai. Quando arrivò era esausta, e si sedette a riposare su una grossa pietra, quando passò una colonia di formiche tutte intente a trasportare un grosso carico di grano. Una di queste si rivolse a Cianna e le chiese: "Chi sei? Dove stai andando?" E Cianna, che era di modi cortesi con tutti, rispose: "Io sono una giovane sfortunata, che per una causa per me molto importante, sono alla ricerca della mamma del Tempo." "Prosegui fino all'apertura tra le montagne, in quella valle laggiù, e lì troverai altre informazioni su come arrivare a destinazione", disse la formica, "Ma fammi un favore, quando avrai trovato questa vecchietta, chiedile da parte nostra se possiamo vivere un po' più a lungo, che mi pare tutto inutile, fare grandi fatiche per una vita così corta". "Stai tranquilla, che voglio renderti il favore che mi hai fatto" rispose Cianna. Riprese poi il suo cammino attraverso le montagne, e giunta in fondo, giunse a una pianura sovrastata da una maestosa quercia, testimone dell'antichità del tempo, il quale, vedendola, le chiese: "Chi sei, dove sei diretta, così di corsa, figliola mia? Vieni qui a rinfrescarti sotto le mie alte fronde." Cianna ringraziò la quercia, ma disse che non si poteva fermare a lungo, poiché aveva fretta di trovare la mamma del Tempo. Allora la quercia le rispose: "Sei quasi arrivata, prima della fine del giorno, vedrai una casetta sopra a una montagna; lì troverai chi cerchi. Ma sei gentile quanto bella, potresti chiederle cosa devo fare per avere un po' più di onore, perché da nutrimento per grandi uomini, sono diventata cibo per i porci." "Ci penserò io a chiederglielo, lascia fare a me" rispose Cianna, e subito riprese il cammino senza sosta finché finalmente giunse ai piedi del monte, dove trovò un vecchietto, che, stanco per aver camminato tanto, si riposava in mezzo al fieno, il quale, nel vederla, riconobbe subito colei che gli aveva curato il bernoccolo, e sentendo che stava cercando la casa del Tempo, le disse che stava appunto andando a consegnargli il canone, e aggiunse che il Tempo è un tiranno che si era impossessato di tutte le cose del mondo, e pretendeva per questo una tassa da tutte le creature del mondo, senza esclusione dei poveri vecchi come lui. E poiché Cianna gli aveva fatto del bene, egli ora voleva contraccambiare con qualche buon consiglio, e si disse dispiaciuto di non poterla accompagnare a causa della sua tarda età. Spiegò che per questo era condannato a restare tra le falde di quelle montagne, e saldare i suoi conti con i contabili del Tempo, che sono la rovina di questa vita, e pagare il suo debito alla natura. E perciò le disse: "Sentimi bene, figliola senza peccato, devi sapere che quando arriverai in cima, troverai una catapecchia di capanna, talmente vecchia che nessuno si ricorda più quando è stata fabbricata: le mura sono traballanti, le fondamenta precarie, le porte rovinate, i mobili sono ormai da rigattieri, come tutto quello che c'è in quella casa. Fuori si vedono delle colonne rotte, con delle statue frantumate, e non c'è rimasto ormai più niente di integro tranne una porta con un serpente intarsiato che si morde la coda, un cervo, un corvo, e una fenice. Dentro vedrai lime, seghe, falci e altri attrezzi, con su scritto: «Corinto, Sagunto, Cartagine, Troia», e altre città perdute, delle quali conserva il ricordo delle imprese storiche. Ora, mi raccomando, tieniti nascosta finché non vedrai il Tempo uscire, poi infilati in casa: lì ci troverai una vecchia, con la barba che tocca terra e con la gobba che tocca il cielo, con i capelli lunghi come una coda di cavallo che le arrivano ai piedi; la faccia porta ormai i segni del tempo, che se ne sta seduta presso un orologio a muro. Ha gli occhi talmente incassati che ormai non ci vede quasi più, ma tu non farti impressionare e togli i contrappesi dall'orologio, e poi chiama la vecchia e chiedile quel che le devi chiedere; alché lei chiamerà subito il figlio perché venga a mangiarti, ma stai tranquilla, senza i contrappesi che le avrai tolto, lui non potrà correrti dietro, così lei sarà costretta a darti ciò che vuoi. Lei ti dirà che non ha intenzione di farti del male, ma tu non crederle, non farti ingannare, finché non giurerà sulle ali di suo figlio; a quel punto potrai crederle e vedrai che otterrai le informazioni che cerchi." Così dicendo, il corpo del vecchietto si liquefece come neve al sole; Cianna prese le sue ceneri, e mischiatele con le sue lacrime, scavò una fossa e lo seppellì, affidandolo nelle sue preghiere a Dio. E salita fino in cima alla montagna, vide la capanna, e aspettò l'uscita di casa del Tempo, il quale era un vecchio antichissimo, con una barba lunghissima, con indosso un mantello logoro, tutto pieno di scritte e di nomi; aveva ali enormi e volava così veloce che lo perse subito di vista. Cianna entrò in casa, e rimase impressionata dallo scenario che aveva davanti agli occhi, e, afferrati subito i famosi contrappesi, si rivolse alla vecchia e disse subito quello che voleva sapere; la vecchia strillò per chiamare il figlio, ma Cianna le disse: "Puoi strillare quanto vuoi, ma tuo figlio di certo non verrà finché ho io in mano i suoi contrappesi." E la vecchia, vedendosi in trappola, cominciò a lisciarla dicendo: "Rimettili a posto, figliola mia, non tentare di fermare la corsa di mio figlio, non c'è mai riuscito uomo sulla terra finora! Lasciali stare, bene mio, e io ti prometto sull'acquaforte che mio figlio usa per logorare il tempo, che non ti farò alcun male!" "Perdi tempo, così" rispose Cianna, "faresti prima a soddisfare le mie richieste, se vuoi riavere questi contrappesi." Replicò la vecchia: "Ti giuro sul tarlo che rode tutte le cose del mondo, che soddisferò le tue domande, se lasci stare i contrappesi". "Non ci casco," rispose Cianna, "tanto lo so che mi stai imbrogliando!" E la vecchia: "E va bene! Ti giuro sulle ali di mio figlio che ti aiuterò!" E Cianna lasciò a terra i contrappesi, e baciò la mano sudicia della vecchia, la quale, vedendo le buone maniere della ragazza, le disse: "Nasconditi dietro a quella porta, che quando tornerà il Tempo mi farò dire quello che ti serve di sapere. Ma stai attenta quando uscirai di qui, e non farti sentire, perché egli non si fa problemi a mangiare anche se stesso quando non ha più niente, e quindi lo farà anche con te se ti trova qui."

Cianna fece allora come le disse la vecchia, e quando il Tempo rientrò a casa, svelto svelto si mise a rosicchiare tutto quello che trovava, compresa la calce dei muri, e prima che se ne andarsene, la mamma la mamma lo pregò in nome di tutto il latte che gli aveva dato, di rispondere a tutte le sue domande, che erano le questioni che stavano a cuore a Cianna. E alla fine, il Tempo disse: "All'albero devi dire che non potrà mai incontrare le simpatie della gente, finché terrà bloccati i loro tesori sotto terra; al topo, che non saranno mai sicuri dai gatti finché non attaccheranno loro un campanello alla zampa per sentirli quando arrivano; alla formica, che camperà cent'anni, perché quando morirà, metterà le ali; alla balena, di far buon viso a cattivo gioco, e di farsi amico il topo di mare che le farà volentieri da guida, e infine, ai sette colombi, di fare il nido sopra la colonna della ricchezza, e in quel mentre torneranno uomini." Detto questo, il Tempo riprese la sua corsa, e Cianna, che aveva sentito tutto, ringraziò la vecchia e ridiscese velocemente la montagna, senza accorgersi subito della presenza dei sette colombi, che l'avevano seguita. Il lungo viaggio, però, li aveva molto stancati, così andarono a posarsi sulle corna di un bue morto, e come vi misero sopra  le zampe, furono ritrasformati in esseri umani, con grande gioia e gaudio; capirono così che le corna del bue erano proprio il simbolo della colonna della ricchezza, come aveva menzionato il Tempo. Felice come una Pasqua di aver così presto ritrovato i suoi fratelli, Cianna e i sette si abbracciarono e baciarono a lungo, e poi proseguirono insieme sulla via del ritorno.

Arrivati ai piedi della grande quercia, riferirono quello che avevano saputo dal Tempo, e quella subito li pregò di toglierle da sotto le radici i tesori che le erano stati causa di cattiva reputazione tra gli uomini. I sette fratelli, trovata una zappa in mezzo a un orto, scavarono tanto finché trovarono in terra una grossa giara di monete d'oro, e ne fecero otto parti tra loro e la sorella, in modo da dividersene il peso. Ma essendo esausti dalla fatica, crollarono addormentati accanto a una siepe, e sfortunatamente furono sorpresi nel sonno da un manipolo di malandrini, i quali, vedendo quel ben di dio, li legarono mani e piedi a un albero e li derubarono di tutto, lasciandoli in preda alla disperazione, non soltanto per la ricchezza perduta, ma temendo per la loro vita, se fossero stati sorpresi da qualche belva feroce. E mentre stavano così, giunse il topo che, messo al corrente dell'informazione data dal Tempo, rosicchiò con i suoi dentini da roditore le corde, e in quattro e quattr'otto li liberò dalla loro prigionia. I fratelli e la sorella ringraziarono il topo per il soccorso avuto, e proseguirono il cammino, finché incontrarono la formica, la quale, dopo essere stata anche lei accontentata, chiese a Cianna come mai se ne stesse così triste e mesta, e la ragazza spiegò della disavventura con i ladri; allora la formica disse: "Ebbene, sappiate allora che mi date l'occasione perfetta per ricambiare il favore che mi avete fatto: sappiate, dunque, che mentre portavo un carico di grano sottoterra, ho visto una buca dove questi malandrini nascondono i loro bottini, perché hanno scavato un sentiero nella terra e creato un passaggio dove celano la refurtiva, e siccome adesso se ne sono andati via probabilmente per andare a fare altri furti, ora io voglio accompagnarvi sul posto, così che potrete recuperare il vostro." Così dicendo, seguirono insieme un sentiero verso certe case diroccate, dove indicò ai fratelli la buca piena di tesori. Allora Giangrazio, che era il più coraggioso, calò di sotto e poterono recuperare ciò che i ladri avevano loro rubato. Ripresero poi il cammino, e giunsero alla spiaggia dove trovarono la balena; anch'essa fu soddisfatta dell'informazione che cercava, e mentre stavano così a chiacchierare sulle loro avventure, ecco che giunsero i ladroni armati fino ai denti, che avevano seguito la loro pista. "Ahimè, questa volta siamo fritti!" dissero, ma la balena rispose: "Non vi preoccupate, vi aiuterò io per ringraziarvi dell'aiuto che mi avete dato! Presto, salitemi in groppa, vi scorterò al sicuro!"

Gli otto fratelli, vedendosi il nemico alle palle, non indugiarono nell'offerta, e salirono in groppa alla balena, la quale velocemente navigò verso Napoli, dove, non potendo sbarcarli a causa dei troppi scogli, chiese: "Dove posso lasciarvi? Lungo la costa di Amalfi?" Ma Giangrazio rispose: "Se è possibile farne a meno, cara balena, sarebbe meglio, perché a Massa si dice: «Saluta e passa», a Sorrento, «Stringi i denti», a Vico, «Portati il pane», a Castellammare, «Né amici, né compari»". Allora la balena si rigirò e li lasciò sullo Scoglio del Sale, dove furono imbarcati dalla prima nave di rotta, e tornati al loro paese sani e salvi e pieni di ricchezze dalla mamma e dal papà, vissero tutti insieme felici e agiati, grazie alla bontà di Cianna, che dimostrò così che:

Quando puoi, non pensarci e fai del bene.

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(Documento creato il 1 aprile 2008)