Fiabe Classiche e Popolari Italiane - Basile: Sapia Liccarda (Giornata III, Favola IV)

(testo esaminato e riadattato in italiano moderno da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

il principe Tore

«Lo Cunto de li cunti» («Il Pentamerone»), 1634

libro animato

Sapia, grazie al suo ingegno, mantiene l'onore durante l'assenza del padre, nonostante il cattivo esempio delle sorelle; si prende gioco del suo spasimante, e, intuendo il pericolo incombente, ripara al danno e alla fine il figlio del re se la sposa.

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C'era una volta un mercante ricchissimo di nome Marcone, che aveva tre belle figlie: Bella, Cenzolla, e Sapia Liccarda. Un giorno che dovette assentarsi da casa per affari, e, conoscendo l'abilità delle figlie maggiori a scavalcare le finestre, decise di inchiodare bene tutti i pertugi; poi, diede a ognuna di loro tre anelli che avevano il potere di diventare grigi se chi li indossava si comportava disdicevolmente, e infine partì. Ma non si era ancora allontanato da Villa Aperta (così si chiamava la sua terra), che quelle cominciarono ad arrampicarsi sulle finestre, e ad affacciarsi ai finestrini, nonostante Sapia Liccarda, che era la minore, facesse cose dell'altro mondo e gridasse che casa loro non era né il quartiere dei Gelsi, né il famigerato quartiere della Duchesca, né il vico Cedrangolo, né vico Pisciaturo, perciò non era proprio il caso di fare le marionette per andare a fare ci ci ci - co co co con i vicini. E di fronte a casa loro c'era il palazzo del re, il quale aveva tre figli maschi, di nome: Ceccariello, Grazullo, e Tore. Questi, che avevano l'occhio lungo, ed erano sensibili al fascino delle belle donne, cominciarono a buttare gli occhi addosso alle figlie del mercante; dall'occhio passarono ai baci lanciati con la mano, dai baci alle parole, dalle parole alle promesse, dalle promesse ai fatti, tanto che, una sera, (quando il Sole, per non competere con la Notte si ritira con i suoi guadagni) scalarono tutti e tre la casa di queste tre sorelle, e, spartitisi i maggiori Bella e Cenzolla, si misero d'accordo di cedere Sapia Liccarda al fratellino Tore. Ma Sapia si divincolò come un'anguilla e andò a chiudersi a chiave in camera sua, sbarrando la porta in modo tale che per Tore non ci fu modo di aprirla, tanto che il povero sfortunato si ritrovò a contare le palle in buca dei fratelli, e mentre loro caricavano i sacchi del mulino, lui rimase a bocca asciutta. La mattina dopo (quando gli uccelli trombettieri dell'Alba suonano -tutti a cavallo- perché si mettano in sella le ore del giorno), i tre principi se ne tornarono a casa loro: i maggiori, tutti ringalluzziti per il trattamento ricevuto, mentre Tore era tutto sconsolato per la brutta notte passata, ma le due sorelle di Sapia rimasero immediatamente incinte. Ma per loro, quella fu una gran brutta gravidanza, a causa di tutte le ramanzine e i rimproveri che ricevettero dalla sorella minore, e, mentre quelle ingrossavano come botticelle di giorno in giorno, tanto Sapia rimbrottava senza tregua, concludendo sempre che quelle pance di ramarro avrebbero portato loro solo guai e disgrazie, e che, come fosse tornato a casa il padre, ci avrebbe pensato lui a far loro vedere i sorci verdi. Ma, crescendo tuttavia il desiderio di Tore per Sapia, in parte per la sua gran bellezza, in parte perché sentiva di essere rimasto offeso e imbrogliato, decise di mettersi d'accordo con le sorelle di lei per attirarla in trappola quando meno se lo aspettava, e quelle promisero che l'avrebbero indotta ad andarlo a trovare fino a casa sua. Così, chiamarono Sapia e un giorno le dissero: "Sorella mia, il fatto è questo; se i consigli si pagassero, o costerebbero cari, o sarebbero ben stimati. Se noi due non avessimo agito in maniera sconveniente, non avremmo macchiato l'onore della famiglia, né ci ritroveremmo ora con la pancia grossa, come puoi vedere, ma che rimedio c'è? Ormai il coltello è arrivato fino alle maniche, le cose si sono spinte troppo oltre, e l'oca il becco ce l'ha. Però noi non possiamo credere che la tua collera sia tanta da volerci fuori di casa e dalla tua vita, e, se non per noi, no foss'altro per queste due povere creaturelle che abbiamo nel ventre, confidiamo che alla fine ti muoverai a compassione per il nostro stato." "Lo sa il cielo", rispose Sapia Liccarda, "quanto mi piange il cuore per questa vaccata che avete combinato, pensando alla vergogna presente e al danno che vi attende quando nostro padre scoprirà al suo ritorno la macchia del disonore; e pagherei un dito della mia mano per cancellare quanto è accaduto. Ma visto che il diavolo vi ha accecato, ditemi voi cosa posso fare, purché non ci sia di mezzo il mio onore, poiché il sangue non diventa latte all'improvviso, e, in fondo, in fondo, il richiamo della parentela è troppo forte per ignorare il vostro caso e abbandonarvi al vostro destino, e darei la mia stessa vita per riparare ai vostri guai." Parlato che ebbe Sapia, le sorelle risposero: "Non desideriamo altro segno d'affetto da parte tua, che un pezzetto di pane di quello che mangia il re, perché ci è venuta una tale voglia, che se non la soddisfiamo, c'è il rischio che i pargoli ci nascano con qualche pagnotta sulla punta del naso. Quindi, se sei una buona cristiana, domani mattina, prima dell'alba, ci farai questo favore, e noi ti caleremo da quella finestra da dove salirono i figli del re; ti vestiremo da pezzente, così nessuno ti riconoscerà." Sapia Liccarda, mossa a compassione per quelle due povere creature, indossato un vestito di stracci, e con un pettine di lino a tracolla, quando il Sole erige i trofei della luce per la vittoria guadagnata sulla Notte, si recò al palazzo del re, alla ricerca di un po' di pane, e, dopo che le fecero l'elemosina fece per andarsene, ma Tore, che sapeva della trappola, la riconobbe subito. S'avvicinò per darle una mano, ma ella, svelta svelta,si voltò di spalle, e gli fece finire la mano contro il pettine, tanto che lui rimase graffiato malamente, e rimase con la mano ferita per diversi giorni. Ottenuto il pane per le sorelle, ma, cresciuta la fame del povero Tore, ricominciarono presto a confabulare fra loro, e dopo pochi giorni le sorelle gravide tornarono a lamentarsi con Sapia dicendo che gli era venuta un'irresistibile voglia di pere dell'albero del re. Così, quando calò la notte, Sapia si vestì con un altro vestito e andò al giardino del re, dove trovò Tore, il quale, subito addocchiò la pezzente, e, sentito che voleva le pere, volle salire di persona in cima all'albero, e, tirata una pera in grembo a Sapia, a un certo punto volle scendere per porgergliele, ma ella, ritirando la scala, lo lasciò a gridare a squargiagola, e se la diede alla chetichella. E se non fosse sopraggiunto casualmente un giardiniere a cogliere due piante di lattuga capuccina ad aiutarlo a scendere, lì sarebbe rimasto tutto il giorno e tutta la notte. In seguito a questo accadimento, Tore se la legò al dito, minacciandola che gliel'avrebbe fatta pagar cara.

Passò del tempo, e, come volle il cielo, le sorelle di Sapia partorirono due bellissimi bambolotti, e le dissero: "Noi ormai siamo rovinate, bella mia, e se tu non trovi la maniera di aiutarci, dal momento che sta per tornare nostro padre, trovando questo bel servizio in casa, il pezzo più grande sarà l'orecchio. Perciò tu ora scendi di sotto, che noi ti metteremo 'sti due bimbi in un canestro: tu portali ai loro padri, che se ne occupino loro." Sapia Liccarda, che aveva un gran cuore, si fece carico delle asinaggini delle sorelle, si lasciò convincere a scendere di sotto, e, fatti calare i nipoti, li portò nelle camere da letto dei padri, ma, non trovandoli, li mise ognuno nel letto del proprio genitore, e, dopo aver scoperto quale fosse la camera di Tore, gli mise una grossa pietra nel letto e se ne tornò a casa. Più tardi, quando i principi tornarono in camera e trovarono quei due bei pupattoli con i loro nomi scritti su un cartoncino, si rallegrarono come pazzi per la gioia della paternità, mentre Tore, tutto sconsolato, si ritirò nella sua stanza, pensando di non essere stato capace di ottenere un figlio; e mentre si gettava in cima al letto, diede una capocciata talmente forte sulla pietra, che si procurò un grosso bernoccolo.

Nel frattempo, il mercante rientrò dal suo viaggio, e, avendo visto che i due anelli delle figlie maggiori si erano tutti macchiati, fece cose tremende e già voleva mettere le figlie a ferro e fuoco, tormentandole e perseguitandole, fino a scoprire la verità, quando i due figli del re si presentarono a chiedergli le figlie in mogli, ma egli, non sapendo ancora cosa era successo, credette che fosse tutta una burla. Alla fine, quando fu informato dei fatti intercorsi tra le ragazze e i principi, si rallegrò per la buona sorte, e così, le nozze furono fissate per quella sera stessa. Sapia, che si passava la mano sullo stomaco sapendo tutti i dispetti che aveva fatto a Tore, anche se si sentì chiedere insistentemente, pensò che non tutta l'erba è menta e che non c'è pelliccia senza pelo: perciò, fece subito una bella pasta di zucchero, e, dopo averla messa in un grande cestino, la coprì con dei vecchi abiti. Quella sera, dopo aver festeggiato e ballato, s'inventò la scusa che le era venuto un soprassalto di cuore, e se ne andò prima degli altri a dormire, dove, fattasi portare la sporta con la scusa di cambiarsi, coricata la statua sotto le lenzuola, andò a nascondersi dietro la cortina aspettando l'esito di tutta la faccenda. Quando venne l'ora per gli sposi di ritirarsi, Tore, avvicinatosi al suo letto, credendo che dentro ci fosse Sapia, le disse: "Adesso me la pagherai, cagna maledetta, per tutti i maltrattamenti che mi hai riservato! Ora vedrai cosa succede a un grillo quando si mette contro a un elefante! Mò me le pagherai tutte in una volta! E ti voglio anche ricordare del pettine di lino, della scala tolta dall'albero, e di tutte le altre porcherie che mi hai combinato!" E così dicendo, impugnato un coltello, la squartò da capo a piedi, e, non contento ancora, disse: "E adesso voglio succhiarti persino il sangue!" E, estratto il pugnale dal petto della statua, nel leccarlo, sentì un sapore dolce, e annusò l'odore del muschio che intontiva. A quel punto, pentito d'aver trapassato una giovane così zuccherata e profumata, cominciò a disperarsi per essersi così lasciato prendere dalla furia, e, tutto contrito dal dolore, diceva parole che avrebbero intenerito persino i sassi, chiamando il cuore fiele, il ferro veleno, che avevano potuto offendere una cosina così dolce e soave. E, dopo molti di questi lunghi lamenti, fuori di sé per la disperazione, alzò la mano con lo stesso pugnale con l'intenzione di mettere fine ai suoi giorni. Ma Sapia fu lesta a uscire dalla tenda, e, afferrandogli le mani, gli disse: "Fermati, Tore, butta quel coltello, e guarda qui: ecco un pezzo di quella che stai piangendo! Eccomi sana e viva per vederti vivo e verde, e non consiederarmi come cuoio di montone per averti straziato e per averti dato qualche dispiacere, perché ho fatto tutto questo soltanto per mettere alla prova la tua costanza e la tua fedeltà." Difatti, quest'ultimo inganno l'aveva messo in pratica per rimediare alla furia di un cuore orgoglioso, e perciò ora gli chiese perdono per tutto quanto era successo.

Il giovane, abbracciandondola con amore e tenerezza, la fece sdraiare accanto a sé, e i due fecero la pace, e, provando dopo tanto dolore, più forte il piacere, stimò assai di più lo scarso interesse della moglie nei suoi confronti, che la pronta disinvoltura delle cognate, perché, stando a quanto disse quel poeta,

né nuda Citarea,
né Cinzia imbacuccata,
la via di mezzo fu sempre la più apprezzata.

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