Fiabe Classiche - Asbjørnsen e Moe: La principessa sulla collina di vetro

(fiaba presente anche nei «Fairy Books» di Andrew Lang. Testo esaminato, e tradotto da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

Ceneraccio

(Immagine illustrativa: by Henry J.Ford in: «The Blue Fairy Book»)

«Norske Folkeeventyr», 1842-1870

libro animato

C'era una volta un uomo che aveva una prateria al lato di una montagna, sulla quale distesa sorgeva un granaio che veniva utilizzato per immagazzinare il foraggio. Ma negli ultimi due anni c'era stata scarsità, poiché, contrariamente al passato, quando di solito alla vigilia di San Giovanni l'erba era in pieno vigore, quell'anno il prato era in cattivo stato, come se una moltitudine di pecore ci passasse sopra, rosicchiandolo in massa durante le notti. Ciò era già accaduto altre volte, e questa volta l'uomo si stancò di perdere il suo raccolto e convocò i suoi figli (ne aveva tre; il più piccolo lo chiamavano Ceneraccio perché stava sempre davanti al focolare domestico) e impose che uno di loro passasse la notte di San Giovanni di guardia nel granaio. Il figlio maggiore si disse disposto, dichiarando che avrebbe fatto buona guardia, e che non avrebbe lasciato avvicinare nessun essere umano, né animale, e nemmeno il diavolo in persona. Così quando calò la notte si coricò nel granaio cercando di dormire, ma all'improvviso si udirono delle scosse di terremoto che fecero tremare le pareti ed il tetto così forte che il ragazzo s'alzò di scatto e fuggì via, lasciando il granaio incustodito. Il padre fu molto contrariato e rimproverò aspramente il figlio e disse che non si poteva assolutamente andare avanti in questo modo, a perdere tutta l'erba anno dopo anno; così la vigilia dell'anno seguente un altro figlio doveva andare a fare la guardia nel granaio, e farla anche bene. Il fratello mezzano decise che sarebbe andato lui, e giurò che sarebbe stato più coraggioso del fratello, e che avrebbe trovato il responsabile. Ma durante la notte, quando cercò di dormire, ci fu un'altra scossa di terremoto, ancora più forte della precedente, così il ragazzo saltò su in preda al terrore e scappò via come aveva fatto il fratello.

L'anno dopo, venne quindi il turno di Ceneraccio, ma quando fu pronto per andare, i fratelli più grandi risero di lui prendendolo in giro: “Sei proprio la persona giusta per fare la guardia al fieno, tu che non hai imparato niente, se non a sederti fra le ceneri e ad arrostirti!” dicevano deridendolo. Ceneraccio, tuttavia, non fece caso alle loro parole, ma quando venne la notte, egli si diresse al campo ed entrò nel granaio; ma appena un'ora dopo si udirono terribili rumori sconquassanti, che facevano veramente paura. ' Bhè, se la situazione non peggiora, posso resistere ', si disse Ceneraccio. Ma in un poco tempo si sentì di nuovo un gran fracasso e la terra ricominciò a tremare così violentemente, che tutto il fieno fu spazzato via. ' Bhè, se la situazione non peggiora, posso resistere ancora ', si disse Ceneraccio.. Ma la terza scossa fu così irruente che il ragazzo temeva che le pareti e il tetto avessero ceduto, invece dopo di quel momento tutto si calmò e piombò un silenzio di tomba intorno a lui. ' Temo che non sia finito qui ', pensava il ragazzo, invece tutto si ristabilì e quando si decise a coricarsi per riposare un pò, d'improvviso si udì come un suono di cavallo che stesse masticando fuori del portello del granaio. Allora aprì il portello, che era socchiuso, per vedere che cosa c'era e vide proprio un cavallo enorme, così grasso e bello come non ne aveva mai visti prima, in piedi sul prato a mangiare l'erba. Sul cavallo brillava una lucida armatura da cavaliere, forgiata in un ottone così luminoso che brillava fortissimo nel buio, corredato di tutto punto di sella, briglie, e morso. ' Ha, ha! ma allora sei tu che ti mangi tutto il nostro fieno! ' pensò il ragazzo, ' ah ma adesso ti sistemo io! '. Così si avventò contro il cavallo per minacciarlo con un acciarino e l'animale diventò così timido mansueto che il ragazzo avrebbe potuto fare di lui ciò che voleva. Così lo montò e lo condusse in un posto che solo lui conosceva e là lo legò affinché non potesse scappare. Quando tornò a casa i suoi fratelli lo presero in giro e gli chiesero come aveva fatto a sopravvivere al terremoto. “Non puoi essere rimasto tutto quel tempo nel granaio!” dicevano. “Invece si, sono rimasto nel granaio fino a mattina, ma non ho visto niente e non ho sentito niente”, rispose il ragazzo, “Dio solo sa che cosa vi è successo per esservi così tanto spaventati.” “Molto divertente! Comunque vedremo subito se se sei stato capace di fare buona guardia” risposero i fratelli, ma quando si recarono al campo, trovarono l'erba bella e in salute come il giorno prima.

La vigilia seguente di San Giovanni, di nuovo nessuno dei due fratelli osava mettere piede al campo a badare al raccolto, ma Ceneraccio che non aveva paura ci andò e si ripeterono esattamente gli eventi dell'anno precedente: ci furono tre terremoti, ancora più violenti dell'anno prima. Allora quando  tutto fu calmo ed il ragazzo sentì qualcosa masticare fuori del portello di granaio, aprì di nuovo la porta, e c'era un altro cavallo, ancora più grande, che ruminava l'erba; e questo cavallo, che era molto più grasso e bello dell'altro, era tutto ricoperto da un'armatura forgiata in argento, luminoso e scintillante, come non ne aveva mai viste, corredato di tutto punto di sella, briglie, e morso. ' Ha, ha! ma allora stavolta sei tu che ti mangi tutto il nostro fieno! ' pensò il ragazzo, ' ah ma adesso ti sistemo io! '. Così si avventò contro il cavallo per minacciarlo con l'acciarino e l'animale diventò docile come un agnellino. Allora il ragazzo lo montò e lo portò nello stesso posto dove stava l'altro ed poi tornò a casa. “Suppongo che ci dirai che anche quest'anno avremo un ottimo raccolto” dissero i fratelli. "Sì, è proprio così” disse Ceneraccio. Così quando andarono a vedere, trovarono che effettivamente l'erba era in ottime condizioni; ma questo non li rese né gentili né grati verso il fratello minore. Quando giunse la terza notte di San Giovanni nessuno dei due fratelli maggiori vollero passare la notte nel granaio, perché avevano troppa paura, ma Ceneraccio non si fece intimidire e decise che avrebbe fatto la guardia ancora. E così tutto accadde come le due notti precedenti. Ci furono tre terremoti, ciascuno più devastante dell'altro, e l'ultimo sbatté il ragazzo da una parete all'altra del granaio, finché alla fine tutto si fece calmo. Allora nel silenzio di tomba udì un rumore fuori della porta, e vide un terzo cavallo, più grande e più grasso di tutti gli altri, con un'armatura, sella, briglia e morso d'oro scintillante, mangiare impunito l'erba. ' Allora sei tu stavolta che ci divori tutta l'erba! ' pensò il ragazzo, ' ah ma adesso ti sistemo io! '. Così estrasse il suo acciarino e lo passò dietro al collo del  cavallo, il quale fu subito domato. Quindi lo montò e lo portò nello stesso luogo in cui ha aveva messo gli altri due e tornò a casa. Allora i due fratelli lo presero in giro come avevano fatto prima, dicendo che chissà che buona guardia poteva avere fatto, visto che sembrava uno che brancolasse nel sonno, e altre cattiverie del genere; ma Ceneraccio non vi badò, ma disse soltanto ai fratelli di andare a vedere con i loro occhi che la prateria era anche questa volta in ottimo stato.

Ora, dovete sapere che nel paese in cui viveva Ceneraccio, vicino al palazzo reale c'era una grande e alta collina di vetro, liscia e scivolosa come il ghiaccio; e il re aveva una figlia che avrebbe data in sposa soltanto a colui che sarebbe stato capace di salirvi fino in cima, dove la principessa, si sarebbe seduta, con tre mele d'oro in grembo. E colui che sarebbe riuscito ad arrivare in cima e a prendere le tre mele avrebbe ottenuto in dote metà del regno e la principessa in sposa. La principessa era molto bella e tutti quelli che la vedevano non potevano fare a meno di perdere la testa per lei. E' facile capire come tutti i principi e cavalieri erano desiderosi di conquistarla e con lei, la metà del regno. E per questa causa giungevano da tutte le parti del mondo, vestiti dei più splendidi abiti, sui cavalli più valorosi, ognuno di loro con la segreta convinzione di riuscire nell'impresa.

Quando venne il giorno fissato per la prova, c'era una gran moltitudine di cavalieri e principi ai piedi della collina di vetro, e la notizia dell'evento aveva suscitato la curiosità delle genti del regno, accorsi in massa ad assistere alla prova per vedere chi alla fine avrebbe vinto la figlia del re. Anche i due fratelli di Ceneraccio erano andati a vedere, ma avevano perentoriamente proibito al fratellino di andare con loro, perché si vergognavano a farsi vedere in pubblico con lui che era sempre così sporco di cenere e fuliggine da sembrare che fosse stato scambiato in culla con un troll. “Bene, allora, andrò per conto mio e voi andate per conto vostro.” rispose Ceneraccio. Quando i due fratelli giunsero sul posto, tutti i principi e cavalieri erano ormai radunati presso la collina, scalpitanti e pronti a partire. Uno a uno guidarono i cavalli alla conquista della collina, ma inutilmente, poiché, dopo pochi tentativi inevitabilmente scivolano giù. Ma siccome erano tutti desiderosi di riuscire nell'impresa, slittavano e immediatamente ritentavano la salita. Ma alla fine tutti i cavalli erano sfiniti e non riuscivano più ad alzare una gamba, che dovettero per forza arrendersi tutti quanti. A quel punto il re stava già pensando di proclamare una nuova prova per il giorno seguente, pensando che forse qualcuno avrebbe avuto più fortuna, quando all'improvviso giunse di corsa uno sconosciuto cavaliere in groppa a un baldo destriero, indossando una scintillante armatura di ottone. Tutti gli altri cavalieri acclamarono a gran voce voce che poteva risparmiarsi la fatica di provare ad arrampicarsi sulla collina di vetro, poiché che era inutile e non ci sarebbe riuscito; ma egli non diede loro ascolto e tentò coraggiosamente la salita, e riuscì ad arrivare anche a una buona altezza, giungendo a un terzo, ma quando arrivò fin lì, con grande rincrescimento della principessa, che pensò di non aver mai visto prima un cavaliere più affascinante, girò indietro il suo cavallo per ridiscendere. E quando vide che se ne stava andando via, lanciò una delle mele dorate che rotolò giù velocemente dalla collina e si andò ad infilare nelle sue scarpe. E quando giunse a terra, corse via così velocemente che nessuno seppe più che cosa era stato di lui.

Così tutti i principi e i cavalieri dovettero presentarsi davanti al re, poiché per editto reale si cercava il cavaliere che era quasi giunto in cima, quindi, colui il quale aveva la mela d'oro che la principessa aveva gettato giù. Ma nessuno aveva la mela da mostrare. Quella sera, giunti a casa i fratelli di Ceneraccio ebbero una lunga storia da raccontare. “Inizialmente” dissero, “non c'è stato uno fra tutti quei cavalieri, che sia riuscito a fare un passo sulla liscia collina, ma poi è venuto un cavaliere con un' armatura di ottone, con la sella e tutti gli ornamenti di ottone, che erano così luminosi che brillavano a grande distanza. Ha guidato il cavallo ed è salito fino a un terzo della collina di vetro e avrebbe facilmente potuto arrivare in cima, se avesse voluto; ma poi per qualche motivo si è girato indietro ed è ridisceso, pensando che forse fosse abbastanza per il momento.” “Oh, quanto mi sarebbe piaciuto vederlo!” disse Ceneraccio, che stava seduto come al solito presso il camino, con i piedi fra la cenere. “Oh! Davvero?” dissero i fratelli in tono canzonatorio, “avremmo proprio voluto vederti, piccolo sporco cencioso, in mezzo a tutti quei signori!”

Il giorno seguente i fratelli si prepararono ad andare di nuovo ad assistere alla gara, e Ceneraccio li pregò di nuovo di portarlo con loro, ma quelli non vollero assolutamente, dicendo che era troppo sporco e fuligginoso. “E va bene, allora, semmai ci andrò anche senza di voi.” disse. Quando i fratelli giunsero alla collina di vetro tutti i principi e i cavalieri erano pronti a partire, e questa volta avevano provveduto ad irruvidire gli scarpini dei loro cavalli; ma tutto fu inutile, perché come il giorno prima slittavano e scivolarono giù implacabilmente. Quando i cavalli furono esausti e non avrebbero potuto fare nient'altro, dovettero loro malgrado arrendersi. A quel punto il re pensò di proclamare una terza prova, per l'ultima volta, quando improvvisamente ebbe un lampo d'idea che fosse il caso di aspettare un pò per vedere se il cavaliere in armatura di ottone si sarebbe presentato anche quel giorno, ma di lui non ci fu traccia. Alla fine giunse in corsa un cavaliere in groppa a un cavallo ancora più grande e valoroso di quello del giorno prima. Cavaliere e cavallo erano bardati ed equipaggiati interamente in argento, e insieme lasciavano una scia così luminosa che brillavano ancora di più del cavaliere in armatura d'ottone. Tutti gli altri cavalieri acclamarono a gran voce che poteva risparmiarsi la fatica di provare ad arrampicarsi sulla collina di vetro, poiché che era inutile e non ci sarebbe riuscito; ma egli non diede loro ascolto e tentò coraggiosamente la salita, e riuscì ad arrivare ancora più lontano del cavaliere d'ottone, e salì fino a due terzi del cammino, ma poi anche lui svoltò e tornò giù. Questo cavaliere piacque alla principessa ancora di più del suo predecessore, e sperava almeno che salisse fino in cima e ridiscendesse dall'altra parte; ma quando lo vide tornare indietro, gli lanciò la seconda mela, che rotolò giù e gli si infilò nelle scarpe. Ma come egli giunse a terra, corse via così velocemente che nessuno seppe più nulla di lui.Così, anche questa volta, i cavalieri dovettero presentarsi dinanzi al re senza la mela d'oro, e i fratelli, di ritorno a casa, raccontarono di nuovo come si erano svolte le cose, e della venuta del cavaliere d'argento. “Oh, quanto mi sarebbe piaciuto vederlo!” disse Ceneraccio. “Oh, davvero! E magari pensi che la sua bella armatura brilli meno della tua sporca cenere che ti porti in giro tutto il giorno, vero, cenciosello?” dissero i fratelli, come al solito canzonandolo.

Il terzo giorno tutto andò esattamente come i due giorni precedenti. Ceneraccio avrebbe voluto andare con loro, ma quelli non lo vollero portare, e quando giunsero alla collina di vetro tutto si svolse come in precedenza, e nessuno fu in grado di salire in cima; così tutti aspettarono il cavaliere in armatura d'argento, che però non venne. Infine, dopo parecchio tempo, giunse un altro cavaliere su un altro cavallo così bello e possente, come non se ne erano mai visti. Il cavaliere indossava un'armatura dorata e anche il cavallo era tutto agghindato in equipaggiamento d'oro. Cavallo e cavaliere emanavano una luce così abbagliante come non se ne era mai vista anche a lunga distanza. Questa volta tutti gli altri non ebbero il tempo di acclamare di risparmiarsi la fatica di provare ad arrampicarsi sulla collina di vetro, poiché, in un lampo era già arrivato in cima, e con le sue stesse mani afferrò la terza mela dal grembo della principessa; fatto questo, anch'egli tornò indietro e ridiscese così velocemente che in un soffio era già scomparso. Quando i due fratelli tornarono a casa ebbero parecchio da raccontare, e naturalmente parlarono a lungo dell'impresa portata al successo dal baldo cavaliere dall'armatura dorata. “Quello sì che è stato un magnifico cavaliere! Il migliore che si sia mai visto sulla terra!” dissero i fratelli. “Oh, quanto mi sarebbe piaciuto vederlo!” disse Ceneraccio. “Bhè, sicuramente la sua armatura brillava quasi quanto i tuoi mucchi di carbone che ti porti in giro, piccolo cenciosello!” dissero i fratelli, canzonandolo.

Il giorno seguente tutti i cavalieri e principi dovevano comparire davanti al re e alla principessa con la mela doro, ma inutilmente, poiché nessuno di loro aveva nessuna delle tre. “Ma qualcuno deve avere almeno l'ultima!” disse il re, “abbiamo visto tutti, con i nostri propri occhi, il cavaliere che ieri arrivò in cima alla collina, e che afferrò la terza mela!” Così per editto reale fu ordinato che tutti gli uomini del regno dovevano presentarsi al palazzo perché qualcuno alla fine doveva poter consegnare la mela. Uno dopo l'altro si presentarono tutti, anche i due fratelli di Ceneraccio, ma alla fine nessun uomo in tutto il regno portò con sé la mela. I fratelli di Ceneraccio erano giunti per ultimi, anche loro senza mela, e allora il re chiese loro se proprio non ci fosse nessun altro dopo di loro che dovesse ancora presentarsi. “In verità, sì, ci sarebbe nostro fratello” dissero i due, “ma è impossibile che abbia la mela dorata! Vive sempre presso la cenere, e sta lì da tre giorni.” “Non importa,” disse il re, “poichè anche lui deve venire al palazzo come tutti gli altri.”

Così Ceneraccio fu costretto a recarsi al palazzo del re. “Ebbene, figliolo, l'hai tu la mela dorata?” chiese il re. “Sì, signore, eccovi qui la prima, la seconda, e la terza mela.” disse Ceneraccio, e così dicendo tirò fuori dalla tasca tutte e tre le mele, e poi si tolse i suoi panni fuligginosi, e sotto vestiva la sua sfavillante armatura dorata. “Ti sei guadagnato metà del mio regno e mia figlia in sposa.” disse il re. Così si svolsero le nozze tra Ceneraccio e la principessa, con grande fasto e gioia per tutti.

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Questa fiaba è stata tradotta da me dall'inglese. La fonte del mio lavoro è la traduzione in lingua inglese di Andrew Lang, e reperibile a questa pagina. Chiunque desideri questo testo per i propri siti, può prelevarlo liberamente, a condizione che citi cortesemente questo sito come propria fonte, senza linkare le immagini, e non spacci questa traduzione come opera sua, in segno di rispetto per il mio lavoro.

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