Fiabe Classiche - H.C.Andersen: La figlia del Re della Palude (parte I)

la principessa egiziana nella palude

"Le cicogne raccontano ai loro piccoli moltissime fiabe, tutte sulla palude o sul pantano, e sono normalmente adeguate all'età e alla capacità di comprensione; i più piccoli dei cicognini sono contenti quando vi si dice «cric, crac, melmamalma!», lo trovano eccellente, ma i più grandi vogliono un significato più profondo, o almeno qualcosa sulla famiglia.

Tra le due storie più antiche e più lunghe conservate dalle cicogne, ne conosciamo tutti una, quella di Mosè che fu messo da sua madre nelle acque del Nilo, e fu trovato dalla figlia del re. Ebbe una buona educazione e diventò un grand'uomo, di cui poi non si è saputo dove venne sepolto. Questa la conoscono tutti!

L'altra fiaba non è ancora nota, forse perché è ancora rimasta nazionale. Questa fiaba è passata da mamma cicogna a mamma cicogna per mille anni e ciascuna di loro l'ha raccontata sempre meglio, e noi la raccontiamo nel modo migliore in assoluto.

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La prima coppia di cicogne che la portò e che la visse, passava l'estate sulla casa fatta di travi del vichingo su dalle parti della palude selvatica di Vildmose (nella zona settentrionale dello Iutland, il Vendsyssel). Era nella provincia di Hjœring, su verso la punta di Skagen nello Iutland, se dovessimo parlare in modo scientifico. E’ ancora una palude estremamente grande, se ne può leggere la descrizione nella relazione sul territorio. Vi è scritto che qui c'è stato il fondo del mare, ma esso si è sollevato; si estende per miglia in tutte le direzioni circondato da prati bagnati e da stagni malsicuri, con torbiere, more selvatiche e miseri alberi; è quasi sempre coperta dalla nebbia e settant'anni fa vi erano ancora i lupi; merita proprio di essere chiamata la “Palude Selvatica” e ci si può immaginare quanto fosse selvatica, quanti acquitrini e quarti laghi c'erano mille anni fa! Sì, nei dettagli si vedeva allora quello che ancora si vede: i giunchi avevano la stessa altezza, lo stesso tipo di foglie allungate e di fiori bruno-violacei in forma di pennacchi che portano ancora la betulla che era con la corteccia bianca e le foglie fini sciolte come ancora adesso, e per quanto riguarda gli esseri viventi che venivano qui: ebbene, la mosca portava la sua veste di velo dello stesso taglio di quello di oggi, il colore naturale della cicogna era il bianco con calze nere e rosse, invece le vesti degli uomini avevano all'epoca un altro taglio rispetto a quello di oggi, ma ognuno di loro, servo o cacciatore, chiunque mettesse piede nella melma, subiva lo stesso destino mille anni fa. E ancora oggi colui che viene qui, cade dentro e scende giù dal Re della Palude, come lo chiamavano, il quale governava giù nel grande regno della palude; Re della Melma si potrebbe anche chiamarlo, ma noi troviamo che sia meglio dire Re della Palude, e anche le cicogne lo chiamavano così. Si sa molto poco sulla sua politica, ma forse è meglio così. Vicino alla palude, attaccato al fiordo di Liim, vi era la casa fatta di travi del vichingo con la cantina di pietra, una torre e tre piani; su in cima al tetto la cicogna aveva costruito il suo nido, dove mamma cicogna covava le uova ed era sicura che sarebbero riuscite bene.

Una sera papà cicogna rimase fuori fino a tardi e quando tornò a casa aveva un'aria scapigliata e affrettata. «Ti devo raccontare qualcosa di terribile!» egli disse a mamma cicogna. «Non farlo!» ella disse, «ricordati che sto covando, mi potrebbe fare del male e allora le uova ne risentono!» «Devi saperlo!» egli disse. «È arrivata qui la figlia del nostro padrone di casa in Egitto. Ella ha osato viaggiare fin qui! E ora è sparita!» «Ella che è della stirpe delle fate! Ma racconta! Sai che non sopporto di aspettare in questo periodo perché sto covando!» «Ebbene guarda, mamma! Ella ha creduto alla stessa cosa che disse il medico e che tu mi raccontasti; ha creduto che la ninfea bianca potesse aiutare suo padre malato ed è volata vestendo la spoglia di piume insieme alle altre due principesse vestite di piume che ogni anno dovevano venire qui al Nord per fare il bagno e ringiovanire! E’ venuta ed è sparita!» «La fai così lunga!» disse mamma cicogna, «le uova potrebbero prendere un raffreddore! non sopporto di stare sulle spine!» «Sono stato attento!» disse papà cicogna, «e questa sera, mentre camminavo tra i giunchi laddove la melma mi regge, arrivarono tre cigni, vi era qualcosa nell'andatura che mi disse: stai attento, non è un vero cigno, sono soltanto spoglie di cigno! Tu la conosci quella sensazione, mamma! Sai come me, qual è la cosa giusta!» «Certo!» ella disse, «ma raccontami della principessa! non voglio sentire più niente delle spoglie di cigno!» «Sai che qui in mezzo alla palude c'è una specie di lago,» disse papa cicogna, «ne vedi un pezzetto se ti alzi; lì accanto ai giunchi e alla melma verde, vi era un grande ceppo di ontano; i tre cigni si sedettero su di esso battendo le ali e guardandosi attorno. Uno di loro gettò via le spoglie di cigno e riconobbi in lei la principessa della nostra casa in Egitto: eccola seduta là senza nessun altro manto se non i suoi lunghi capelli neri. Ella pregò, sentii, gli altri due di aver cura della spoglia di cigno quando si sarebbe tuffata giù nell'acqua per cogliere il fiore che pensava di vedere. Loro fecero segno di sì con la testa, si sollevarono alzando il leggero vestito di piume. ‘Chissà cosa vogliono fare’, pensai, ed ella chiese loro, credo, la stessa cosa ed ebbe una risposta, una prova chiara: si sollevarono nell'aria con la sua spoglia di piume. "Ebbene tuffati!" gridarono, "non volerai mai più sotto la spoglia di un cigno, non vedrai mai più il paese d'Egitto! Mettiti seduta nella Palude Selvatica!'', e poi strapparono la sua spoglia di piume in cento pezzi facendo volare le piume dappertutto come se nevicasse, e le due principesse infami se ne volarono via!» «È orrendo!» disse mamma cicogna, «non lo posso sentire! Dimmi allora, cosa successe poi?» «La principessa si lamentò e pianse! Le lacrime correvano giù sul ceppo di ontano e così questo si mosse poiché era il Re della Palude in persona, colui che abita nella palude. Io vidi come il ceppo si rigirò e poi il ceppo non ci fu più, spuntarono lunghi rami coperti di fango, come braccia; allora la povera bambina si spaventò e corse via verso la melma malsicura, ma lì non regge me, ancor meno lei, ella sprofondò immediatamente e con lei sprofondò anche il ceppo, era lui a tirare. Vennero fuori grandi bolle nere e poi non vi furono più tracce. Ora ella è sepolta nella Palude Selvatica, non tornerà mai più col fiore nel paese d'Egitto. Non avresti potuto sopportarne la vista, mamma!» «Non dovresti nemmeno raccontare cose così in questo periodo! Lo sai che le uova potrebbero risentirne! La principessa si salverà probabilmente! Troverà facilmente aiuto! Fossi stata io o te oppure uno dei nostri, sarebbe stata la fine!» «Voglio però guardare tutti i giorni!» disse papà cicogna e così fece.

Ora passò molto tempo. Un giorno allora egli vide che giù in basso dal fondale venne fuori un gambo verde e quando ebbe raggiunto lo specchio dell'acqua crebbe una foglia, che si fece sempre più larga; vicino a essa venne un bocciolo e quando una mattina la cicogna lo sorvolò il bocciolo del fiore si aprì sotto i forti raggi del sole e al centro di esso vi era un esserino delizioso, una piccola bambina, come se ella fosse uscita dal bagno. Assomigliava così tanto alla principessa d'Egitto che la cicogna in un primo tempo pensò che fosse lei che si era fatta piccola, ma quando poi vi rifletté, trovò più ragionevole che fosse la bambina di lei e del Re della Palude: ecco perché stava in una ninfea. "Ma non può rimanere lì!" pensò la cicogna, "Nel mio nido siamo già così tanti, ma qualcosa mi verrà in mente. La moglie del vichingo non ha figli, ricordo che desiderava avere un piccolo, tant’è che mi danno l'incarico di portare i piccoli: per una volta voglio ora farlo sul serio! Volo dalla moglie del vichingo con la bambina; ne saranno contenti!" E la cicogna prese la piccola bambina, e volò alla casa fatta di travi; fece col becco un buco nel vetro fatto con la pelle di vescica di maiale, depose la bambina vicino al petto della moglie del vichingo, e se ne volò poi a casa da mamma cicogna per raccontare, e anche i piccoli ascoltarono, poiché erano abbastanza grandi per farlo. «Ebbene vedi, la principessa non è morta: ha mandato la piccola quassù affinché fosse sistemata!» «L'ho detto fin dall'inizio!» disse mamma cicogna, «Ma ora devi pensare un pò ai tuoi cari. Si avvicina l'ora del viaggio; ogni tanto incomincio a sentire il solletico sotto le ali! Il cuculo e l'usignolo sono già partiti e sento dire le quaglie che avremo ben presto un buon vento in poppa. I nostri piccini faranno bella figura alle manovre, se li conosco bene!»

Ebbene, come fu felice la moglie del vichingo quando la mattina si svegliò trovando vicino al suo petto la deliziosa piccola bambina; ella la baciò e l'accarezzò, ma questa pianse terribilmente, dimenandosi con le braccia e le gambe: non sembrava per niente contenta. A forza di piangere finì con l'addormentarsi e stando lì era deliziosissima da vedere. La moglie del vichingo fu tanto felice, tanto leggera, tanto florida, che ebbe la sensazione che ora sarebbe venuto suo marito con tutti i suoi uomini altrettanto all'improvviso quanto la piccola e allora lei e tutta la casa avrebbero avuto da fare per preparare tutto. Furono appese le lunghe tappezzerie colorate che lei e le ragazze avevano tessuto con le immagini dei loro idoli, Odino, Thor e Freia come venivano chiamati. I servi dovettero pulire i vecchi scudi che servivano come decorazione, furono messi cuscini sulle panche e legna secca sul focolare in mezzo alla sala, in modo da poter accendere immediatamente il fuoco. La moglie del vichingo diede una mano anche lei sicché la sera tardi era molto stanca e dormì bene.

Ora quando sul mattino ella si svegliò, si spaventò profondamente, poiché la bambina era del tutto sparita; ella saltò dal letto, prese una stecca di pino e si guardò attorno e c'era, là dove ella allungò i suoi piedi nel letto, non la piccola bambina, ma un grande, orrendo batrace; ella ne fu profondamente disgustata, prese una grande asta con l’intento di uccidere la rana ma questa la guardò con occhi così strani e tristi che non riuscì a colpirla. Ancora una volta ella si guardò attorno, la rana fece un gracidio fine e pietoso, ella ne trasalì e saltò dal letto per correre allo sportellino, che aprì con un colpo secco; in quell'istante il sole apparì, gettando i suoi raggi all'interno direttamente sul letto e sul grande batrace e fu d'un colpo come se la bocca larga del mostro si contraesse per diventare piccola e rossa, le membra si stirarono per prendere una forma piacevole: era la sua propria piccola bambina deliziosa che stava lì e non una orrenda rana. «Ma che cos'è!» ella disse, «ho fatto un brutto sogno? Ma questa che sta sdraiata qui non è altro che la mia deliziosa bambina degli elfi!» ed ella la baciò e la tenne stretta al cuore, ma questa tirò e morse tutto intorno a sé come un gattino selvatico. Il capo vichingo non venne quel giorno, né quello seguente; sebbene fosse per strada, il vento era contrario, esso soffiava verso Sud per aiutare le cicogne. Il vantaggio per gli uni è lo svantaggio per gli altri.

Nel giro di un paio di giorni e di notti la moglie del vichingo riuscì a capire come stavano le cose con la sua piccola bambina, su di lei aleggiava infatti un terribile incantesimo. Di giorno ella era deliziosa come un elfo del cielo, ma di notte aveva una natura cattiva e selvatica, era invece un orrendo batrace, silenzioso e piangente, con gli occhi tristi. In lei vi erano due nature che si alternavano, all'esterno, come all'interno; questo perché la piccola bambina che la cicogna aveva portato aveva di giorno l'aspetto esteriore della sua vera madre e in quel momento la personalità di suo padre. Al contrario, durante la notte, la parentela con lui diventava visibile nelle fattezze del corpo, però all'interno brillavano allora l'animo e il cuore della madre. Chi mai avrebbe potuto sciogliere questa forza della magia nera? La moglie del vichingo provò angoscia e tristezza per questo, eppure il suo cuore si sentì legato a quella povera creatura, della cui condizione ella non pensava di osare raccontare a suo marito quando egli ben presto sarebbe tornato a casa, poiché egli probabilmente, come era di consuetudine, avrebbe posto la povera bambina sulla pubblica via e l'avrebbe lasciata a chi se la voleva prendere. La remissiva moglie del vichingo non aveva il cuore di farlo, così decise che suo marito avrebbe visto la bambina soltanto durante il giorno.

Una mattina le ali delle cicogne frusciarono sopra il tetto; si erano riposate la notte lì sopra più di cento coppie di cicogne dopo le grandi manovre, e ora si alzarono per volare verso Sud. «Tutti gli uomini pronti!» si sentì, «compresi mogli e figli!» «Mi sento così leggero!» dissero le piccole cicogne, «sento tutto un formicolio fin giù nelle gambe come se fossi pieno di rane vive! Com'è bello dover andare all'estero!» «Rimanete in gruppo!» dissero mamma e papà, «e non chiacchierate troppo, toglie il respiro!» E se ne volarono via. Nello stesso istante il corno vichingo risuonò sulla brughiera, il vichingo era arrivato con tutti i suoi uomini; tornavano a casa con un ricco bottino dalla costa gallica dove il popolo, come in Cornovaglia, cantava nel suo spavento: «Liberaci dai selvaggi Normanni!». Oh, come vi fu allegria nella fortezza dei vichinghi vicino alla Palude Selvatica! Venne portata nella sala la vasca con l'idromele, fu acceso il fuoco e si macellarono cavalli; c'era davvero da cuocere in grande. Il sacrificatore cosparse col caldo sangue dei cavalli i servi per consacrarli; il fuoco crepitava, il fumo passava sotto il soffitto, la fuliggine gocciava giù dalla trave, ma tutti erano abituati a questo. Ospiti furono invitati, i quali ricevettero bei regali, si erano dimenticate insidie e perfidie; si bevve molto e si buttarono in faccia le osse rosicchiate, era segno di buonumore. Lo scaldo (una specie di suonatore ambulante, ma allo stesso tempo uomo di guerra) era stato con loro e fece loro una piccola canzone in cui ascoltarono tutte le loro imprese di guerra e tutte le stranezze. A ogni strofa tornava lo stesso ritornello:

“La fortuna muore, i parenti muoiono, ognuno muore allo stesso modo, ma un bel nome non muore mai!”

e battevano allora tutti sugli scudi e martellavano il piano della tavola con un coltello o con un osso in modo da farsi sentire. La moglie del vichingo stava seduta sulla panca trasversale nella grande sala dei conviti. Portava una veste di seta, bracciali d'oro e grandi perle di ambra; era vestita in grande pompa e lo scaldo parlò anche di lei nella sua canzone, parlò del suo tesoro d'oro che ella aveva dato a suo marito benestante e quest'ultimo fu molto felice di questa deliziosa bambina. Egli l'aveva soltanto vista di giorno in tutto il suo splendore, ma apprezzò il suo lato selvatico: ella poteva diventare, egli disse, una guerriera terribile che batté il suo gigante! Ella non avrebbe battuto ciglio quando una mano esperta, per scherzo, avesse tagliato il suo sopracciglio con la spada affilata. La vasca di idromele fu vuotata, una nuova fu portata su, si bevve moltissimo, era gente che sopportava il bicchiere pieno. Una volta vi fu il detto: “Il bestiame sa quando deve tornare dal pascolo, ma l'uomo imprudente non conosce mai la misura del suo stomaco”. Sì, questo si sapeva, ma si sa una cosa e se ne fa un'altra! si sapeva pure che “La persona cara diventa noiosa quando siede troppo tempo in casa di altri”. Però si rimase lo stesso lì, carne e idromele sono una cosa buona! Vi era allegria, e la notte i servi dormirono nelle calde ceneri, mettendo le dita nella grassa fuliggine leccandole. Erano bei tempi! Ancora una volta quell'anno il vichingo partì per una spedizione, sebbene incominciassero le tempeste autunnali; egli andò con i suoi uomini fino alla costa della Cornovaglia, vi era semplicemente da “attraversare l'acqua”, egli disse, e sua moglie rimase a casa con la piccola bambina ed era certo che la madre adottiva preferiva quasi il povero batrace con gli occhi devoti e i profondi sospiri che non la bella creatura che tirava e mordeva tutt'attorno a sé.

La nebbia autunnale pungente e bagnata, chiamata «Senza Parola» nei vecchi indovinelli popolari, che rode le foghe, era sospesa sopra il bosco e la brughiera; l’«Uccello senza piume», come viene chiamata la neve, volava tutta fitta, e l'inverno era in arrivo. I passeri occuparono il nido delle cicogne e ragionavano a modo loro sui signori assenti; proprio loro, la coppia di cicogne con tutti i loro piccoli, dov'erano adesso? Le cicogne erano ora nella terra d'Egitto dove il sole caldo brillava come da noi durante un bel giorno d'estate, i tamarindi e le acacie fiorivano dappertutto, la luna di Maometto brillava tutta lucida dalle cupole dei templi; sulle torri esili stavano parecchie coppie di cicogne a riposarsi dopo il lungo viaggio; interi grandi gruppi avevano un nido accanto all'altro sulle grandi colonne e sugli archi in rovina di templi e in posti dimenticati; la palma da dattero sollevava la sua tettoia molto in alto come se volesse fare da visiera. Le piramidi grigio-bianche erano come silhouette nell'aria limpida verso il deserto dove lo struzzo faceva vedere di saper utilizzare le sue gambe e il leone stava con grandi occhi intelligenti a guardare la sfinge di marmo mezza sepolta nella sabbia. Le acque del Nilo si erano ritirate, tutto il letto del fiume formicolava di rane e questo, bisogna dirlo, era per la nostra famiglia di cicogne lo spettacolo più bello in questo paese. I piccoli credevano che fosse tutto un abbaglio degli occhi, tanto trovavano il tutto meraviglioso. «Qui è tutto così, e stiamo sempre così nel nostro paese caldo!» disse mamma cicogna e i piccoli sentivano un formicolare negli stomaci. «Vedremo ancora di più?» dissero, «dobbiamo penetrare ancora molto nel paese?» «Non c'è niente di speciale da vedere!» disse mamma cicogna, «sul bordo fertile c'è soltanto la foresta dove gli alberi crescono unendosi e sono aggrovigliati fra di loro dalle piante rampicanti spinose, soltanto gli elefanti con le loro gambe pesanti possono farsi strada tra loro; i serpenti sono troppo grandi per noi e le lucertole troppo allegre. Se volete andare dalla parte del deserto, vi viene la sabbia negli occhi, che le cose vadano bene o che le cose vadano male vi ritroverete in un vortice di sabbia; no, il miglior posto per stare è questo! Qui vi sono le rane e le cavallette. Qui rimango io e voi con me!»

Ed essi rimasero; i vecchi stavano nel loro nido sull'esile minareto, riposandosi eppure tutti indaffarati a lisciarsi le piume e a grattare col becco sulle calze rosse; poi alzarono il collo, salutando con solennità e sollevarono la testa con la fronte alta e le piume fini e lisce e i loro occhi marroni brillavano d'intelligenza. Le piccole cicogne femmine giravano solennemente tra i giunchi succulenti, guardando con la coda dell'occhio le altre piccole cicogne, facevano conoscenza e inghiottivano a ogni tre passi una rana, oppure giravano ciondolando con un piccolo serpente, faceva bella figura, pensavano, ed era buono da mangiare. I piccoli maschi litigavano, dandosi colpi con le ali, colpi col becco, sì, anche fino a ferirsi e poi si fidanzava uno e poi si fidanzava un altro, i piccoli maschi e le piccole femmine cicogne, era infatti per questo che esistevano; e costruivano il nido e poi si litigavano di nuovo poiché nei paesi caldi sono tutti tanto irascibili, ma era divertente e soprattutto una grande gioia per i vecchi: tutto si addice ai propri figli! Tutti i giorni vi era il sole, tutti i giorni abbondanza di cibo, si poteva pensare unicamente al diletto. Ma dentro al ricco castello dal padrone di casa egiziano, come lo chiamavano, questo non era per niente di casa. Il ricco e potente signore giaceva sulla panca per riposare, rigido in tutte le sue membra, steso come una mummia, in mezzo alla grande sala con le pareti variopinte; era come se egli giacesse in un tulipano. I parenti e i servitori stavano intorno a lui; morto non era, ma non si poteva nemmeno dire, a essere esatti, che vivesse. Il fiore liberatore della palude dei paesi del Nord, quello che andava cercato e colto dalla persona che più lo amava, non sarebbe mai stato portato.

La sua giovane e bella figlia, che sotto la spoglia del cigno volò sopra i mari e sopra le terre, su verso Nord, non sarebbe mai tornata. «Ella era morta e sepolta!» avevano annunziato le due damigelle cicogne che erano tornate a casa; si erano inventate tutta una storia su di questo, e la raccontarono. «Menzogne, tutte invenzioni!» egli disse. «Mi verrebbe la voglia di perforarle il petto con il naso!». «E poi lo romperesti!» disse mamma cicogna, «saresti bello da vedere! Pensa prima a te stesso e poi alla tua famiglia, tutto il resto rimane fuori!» «Mi voglio però mettere sul bordo della grande cupola domani, quando tutti gli eruditi e i saggi si riuniscono per parlare del malato; forse allora si potrebbero avvicinare un pò di più alla verità!» E gli eruditi e i saggi si riunirono e parlarono molto di tante cose che non potevano servire alla cicogna, e nemmeno il malato ne poté cavare niente, né la figlia nella Palude Selvatica; però possiamo ascoltarlo lo stesso un pò, ci sono tante cose che si è obbligati ad ascoltare. Ma ora è giusto ascoltare e sapere anche gli antefatti, così seguiamo meglio la storia, almeno altrettanto bene quanto papà cicogna. «Dall'amore nasce la vita! Dall'amore più eccelso nasce la vita più eccelsa. Soltanto attraverso l'amore egli può trovare salvezza nella vita!» si era detto ed era estremamente saggio e ben detto, assicurarono gli eruditi. «E’ un bel pensiero!» disse immediatamente papà cicogna.

«Non lo capisco bene!» disse mamma cicogna, «e non è colpa mia, ma colpa del pensiero, ma poi in fondo fa lo stesso, ho altro a cui pensare!» E ora i saggi avevano parlato dell'amore tra questo e quello, delle differenze che c'erano, dell'amore come veniva provato dai fidanzati e di quello tra genitori e figli, di quello tra la luce e le piante, di come i raggi del sole baciavano il fango facendo venire fuori il germoglio. Fu presentato in modo tanto ampio ed erudito che per papà cicogna fu impossibile seguire, per non parlare poi di ripeterlo; egli divenne tutto pensieroso per questo, chiuse gli occhi a metà e si tenne su una sola gamba per una giornata intera dopo di ciò; per lui la scienza era tanto pesante da reggere. Però papà cicogna capì una cosa, aveva sentito gente inferiore e gente molto distinta che parlò direttamente col cuore e disse che era una grande disgrazia per migliaia e pure per il paese che quell'uomo stesse male senza poter guarire; sarebbe stata la gioia e la benedizione se egli avesse ritrovato la sua salute. «Ma dove cresce il fiore della sua salute?» Chiedevano tutti, a scritti eruditi, alle stelle che luccicavano, a tutti i tempi e a tutte le stagioni; l'avevano chiesto per tutte le vie indirette esistenti, e alla fine gli eruditi e i saggi avevano ricavato questo, come detto: «Dall'amore nasce la vita, la vita per il padre», e con questo dissero più di quello che essi stessi fossero in grado di capire; ripeterono e scrissero come ricetta medica: «Dall'amore nasce la vita», ma come mettere insieme tutta quella cosa secondo la ricetta, ebbene lì si fermarono. Alla fine furono d'accordo che l'aiuto doveva venire dalla principessa, colei che con tutta la sua anima e tutto il suo cuore amava questo padre. Si finì anche col trovare come farlo, oramai sono passati anni da allora, di notte, quando la luna nuova che si era accesa fu di nuovo andata giù, ella sarebbe andata dalla sfinge di marmo ai limiti del deserto, avrebbe gettato via la sabbia dalla porta del piedistallo e lì avrebbe attraversato il lungo corridoio che conduceva al centro di una delle grandi piramidi dove uno dei potenti re dell'antichità giaceva in un involucro da mummia circondato da fasto e magnificenza; qui ella avrebbe appoggiato la sua testa contro il morto e allora le sarebbe stato rivelato dove trovare la vita e la salvezza per suo padre.

Ella aveva fatto tutto questo e dal sogno aveva saputo di dover portare a casa dalla palude profonda su nelle terre danesi (il luogo era stato indicato dettagliatamente) il fior di loto che nelle profondità delle acque avrebbe toccato il suo petto, ed egli si sarebbe salvato.Ed ecco perché ella era volata sotto la spoglia di cigno dal paese d'Egitto su fino alla palude selvatica. Ebbene, tutto questo papà cicogna e mamma cicogna lo sapevano e ora noi lo sappiamo con più esattezza di quanto lo sapessimo prima. Sappiamo che il Re della Palude l'attrasse a sé, sappiamo che per tutti a casa sua ella era morta e sepolta. Soltanto il più saggio di tutti loro diceva ancora come mamma cicogna: “ella si salverà sicuramente!” e decisero di aspettare che ciò avvenisse, poiché non sapevano fare niente di meglio. «Credo che ruberò le spoglie di cigno delle due principesse infami!» disse papà cicogna, «così almeno non andranno alla Palude Selvatica a farci del male; queste spoglie di cigno le nasconderò lassù fino al momento in cui serviranno!» «Le nascondi lassù, dove?» chiese mamma cicogna. «Nel nostro nido sulla Palude Selvatica!» egli disse. «Io e i nostri figli più piccoli potremmo aiutarci a vicenda per portarcele e se diventa troppo complicato per noi ci sono tanti posti per strada per nasconderle fino alla prossima migrazione. Una spoglia di cigno dovrebbe bastare per lei, ma due è meglio, è bene avere molti vestiti da viaggio in un paese nordico!» «Non ti ringrazieranno certo per questo!» disse mamma cicogna, «ma sei tu padrone dì scegliere! Io non ho niente da dire tranne nel periodo della covatura!»

Nella fortezza dei vichinghi vicino alla Palude Selvatica, dove le cicogne andavano nel loro volo verso la primavera, la piccola bambina aveva avuto un nome: Helga l'avevano chiamata; ma questo nome era troppo soave per un animo come quello della deliziosissima creatura; mese dopo mese esso si fece sempre più palese e col passar degli anni. Mentre le cicogne facevano tutti gli anni lo stesso viaggio (in autunno verso il Nilo, in primavera verso la Palude Selvatica), la piccola bambina divenne una ragazza grande e prima che se ne rendessero conto fu una deliziosa fanciulla nel suo sedicesimo anno di età; dalla buccia deliziosa, ma dal nocciolo duro e acerbo, più selvatica della maggior parte della gente in questi tempi duri e bui. Era per lei un piacere spruzzare con le sue mani bianche il sangue fumante del cavallo immolato per il sacrificio; nella sua ferocia ella morse selvaggiamente, fino a spezzarlo in due, il collo del gallo nero, che il sacrificatore doveva uccidere, e diceva in tutta serietà al suo padre adottivo: «Se dovesse venire il tuo nemico e attaccasse la corda intorno all'estremità sporgente della trave del tetto, sollevandolo sopra la tua testa mentre dormi, non ti sveglierei anche se potessi! non lo sentirei, tanto il sangue ronza ancora nell'orecchio sul quale tu anni fa mi desti uno schiaffo, tu! Mi ricordo!». Ma il vichingo non credette a quelle parole: egli era, come gli altri, incantato dalla sua bellezza; non sapeva nemmeno di come cambiavano l'anima e la pelle nella piccola Helga. Ella stava senza sella come radicata al cavallo, che correva a tutta velocità, e non saltava giù anche se esso si batteva a morsi con gli altri cavalli cattivi. Con tutti i suoi vestiti si buttava spesso giù dal pendio nelle forti correnti del fiordo e veniva incontro al vichingo a nuoto quando la sua barca andava verso terra. Ella si tagliava il ricciolo più grande dei suoi lunghi capelli per farne una treccia e servirsene come corda per il suo arco: «Chi vuole vada e chi non vuole mandi!» ella disse.

La moglie del vichingo era secondo i tempi e le abitudini abbastanza forte di volontà e d'animo, ma paragonata alla figlia assomigliava a una donna tenera e piena di angoscia; ella sapeva però anche che era l'incantesimo a pesare sulla terribile bambina. Era come se a Helga, per puro cattivo divertimento, un pò troppo spesso venisse in mente, quando la mamma stava sul balcone oppure usciva nel cortile, di mettersi sul bordo del pozzo, gesticolando con le braccia e le gambe per poi lasciarsi cadere pesantemente giù nel buco stretto e profondo dove ella, dalla natura di rana, riappariva sollevandosi di nuovo, risalendo a quattro zampe, come se fosse un gatto, e veniva fradicia di acqua nella grande sala sicché le foglie verdi sparse per terra si rigiravano nella corrente bagnata.

Però c'era un legame che vincolava la piccola Helga: era l'imbrunire della sera; allora ella si faceva silenziosa e come pensierosa, lasciandosi chiamare e condurre. Allora una specie di sensazione interna la attraeva verso la mamma e quando il sole tramontava con la conseguente trasformazione esterna e interna, stava lì tranquilla, triste, raggranchiata nella forma del batrace, con il corpo molto più grande di quello di quest'animale, ma proprio per questo tanto più orrido. Ella aveva l'aria di un nano pietoso con la testa dì rana e una membrana tra le dita. Vi era qualcosa di così triste in quegli occhi con i quali guardava, non aveva la voce, soltanto un gracchiare cavo, come un bambino che piange nel sogno; allora la moglie del vichingo se la poteva prendere in grembo, ella dimenticava la forma orrenda, guardando soltanto gli occhi tristi dicendo più di una volta: «Potrei quasi desiderare che tu rimanessi esclusivamente la mia muta bambina rana; sei ancora più orrenda da vedere quando la bellezza è girata in fuori!». Ed ella scrisse le rune contro la magia nera e contro la malattia, buttandole sulla miserella, ma non si ebbero miglioramenti. «Non si sarebbe mai creduto che ella era stata tanto piccola da stare in una ninfea!» disse papà cicogna. «Ora è una vera persona umana e assomiglia alla sua mamma egiziana da giovane; lei non l'abbiamo più rivista da allora! Ella non si salvò come sia te che e il più saggio degli eruditi pensavate. Anno dopo anno ho sorvolato la Palude Selvatica in tutti i sensi, ma ella non diede mai un segno di vita! Sì, questo te lo posso dire, in quegli anni in cui sono venuto quassù qualche, giorno prima di te, per riparare il nido, mettere a posto una cosa o un'altra, ho sorvolato una notte intera, come se fossi una civetta o un pipistrello, senza tregua la distesa dell'acqua, ma non è servito a niente! Non sono infatti nemmeno servite le due spoglie di cigno che i piccoli e io portammo quassù dal paese del Nilo; fu abbastanza complicato, le portammo in tre viaggi. Ora sono molti anni che stanno sul fondo del nido e se un giorno dovesse andare a fuoco, se dovesse succedere che la casa fatta di travi andasse a fuoco, allora spariranno!» «E il nostro bel nido sparirà!» disse mamma cicogna, «ci pensi di meno che non a quelle vesti di piuma e alla tua principessa della palude! Un giorno dovresti andar giù a trovarla e rimanere giù nel fango! Sei un cattivo padre per la tua famiglia, l'ho detto fin dalla prima volta che covai le uova. Speriamo che la pazza ragazzaccia vichinga non tiri una freccia nell'ala a noi o ai nostri figli! Infatti ella non sa quello che fa. Noi siamo, bisogna dirlo, di casa qui da un po’ più tempo di lei, ella ci dovrebbe pensare; noi non dimentichiamo mai i nostri doveri, paghiamo i nostri tributi annui, una piuma, un uovo e un piccolo, come è giusto che sia. Credi che quando lei è fuori a me va di scenderci come nei vecchi tempi e come faccio in Egitto dove sono mezza compagna loro senza oltrepassare i limiti, guardo nelle vasche e nelle pentole? No, sto quassù a prendermela con lei - ragazzaccia! - e me la prendo anche con te! Avresti dovuto lasciarla nella ninfea, così non sarebbe stata qui!» «Sei molto più degna di rispetto che non il tuo discorso!» disse papà cicogna, «io ti conosco meglio di quanto tu stessa non ti conosca!»

E poi egli fece un salto, due colpi pesanti con le ali, stese le gambe indietro e se ne volò via, planando senza muovere le ali. Si era allontanato da un pezzo quando diede un battito forte; il sole brillava sulle piume bianche, il collo e la testa erano tesi in avanti. Era tutto velocità e movimento. «Rimane però il più bello di tutti quanti!» disse mamma cicogna, «ma non glielo dico.»

Il vichingo tornò presto nell'autunno di quell'anno con tutto il suo bottino e i suoi prigionieri; tra questi vi era un giovane sacerdote cristiano, uno di quegli uomini che perseguitavano gli idoli dei paesi nordici. Negli ultimi tempi si era spesso parlato nella sala e nella camera delle donne della nuova confessione che si espandeva dappertutto nei paesi più a Sud, che era perfino arrivata anche su fino alla città di Hedeby vicino al fiordo di Slien grazie a sant' Anscario; perfino la piccola Helga aveva sentito parlare della fede nel Cristo bianco che per amore degli uomini aveva dato se stesso per salvarli. Per lei, come si suol dire, era entrato da un orecchio e uscito dall'altro; della parola Amore, lei sembrava avere soltanto una percezione quando si rannicchiava sotto la misera forma di rana nella sua stanza chiusa; ma la moglie del vichingo aveva ascoltato bene e si era sentita meravigliosamente commossa da quelle leggende e da quelle saghe che giravano sul figlio di un unico vero Dio. Gli uomini tornati dalla spedizione avevano raccontato di quei templi magnifici tagliati in pietre costose, costruiti per colui il cui messaggio era l'amore; due vasi dorati pesanti, scolpiti con arte e tutti in oro puro erano stati portati a casa. V era in ciascuno di essi un profumo aromatico particolare, erano gli incensieri che i sacerdoti cristiani facevano oscillare davanti all'altare dove non vi scorreva mai sangue, ma dove il vino e il pane consacrati venivano trasformati nel sangue di colui che aveva dato se stesso per le generazioni ancora a venire. Il giovane sacerdote cristiano catturato era stato messo nella profonda cantina in pietra della casa fatta di travi, con le mani e i piedi legati da fili di rafia; era bello; «vederlo sembrava il dio Baldurl» disse la moglie del vichingo ed ella rimase commossa dalle sue tribolazioni. Ma la giovane Helga desiderò che si facesse passare una corda attraverso le sue ginocchia e che fosse legato alla coda dei buoi selvatici. «Poi scioglierei i cani; Uh! Via attraverso le paludi e gli stagni, verso la brughiera! Sarebbe divertente vedere, ancora più divertente sarebbe poterlo seguire nel viaggio!» Il vichingo però non volle che egli morisse di tale morte, ma in quanto negatore e persecutore degli eccelsi dei, volle che fosse immolato subito l'indomani sulla pietra del sacrificio nel boschetto. Era la prima volta che una persona umana vi veniva immolata.

La giovane Helga chiese di poter cospargere gli idoli e il popolo con il suo sangue. Ella affilò il suo coltello lucido e quando uno dei grandi cani mordaci, di cui ce n'erano tanti nella casa, le corse sopra i piedi, ella gli infilò il coltello nel fianco: «E’ per provarlo!» ella disse, e la moglie del vichingo guardò afflitta la ragazza selvatica e cattiva; e quando venne la notte e la figura della bellezza della figlia cambiò nel corpo e nell'anima, ella le parlò con le calde parole del dolore che provenivano da un'anima afflitta. Il brutto batrace dal corpo di orco le stette davanti e fissò i tristi occhi marroni su di lei, e ascoltando sembrava capire col pensiero umano. «Mai, nemmeno a mio marito, ho detto quello che patisco doppiamente con te!» disse la moglie del vichingo, «vi è più desolazione nel mio cuore per causa tua di quanto non credessi io stessa! Grande è l'amore di una madre, ma mai l'amore è passato per il tuo animo! Il tuo cuore è come una zolla di fango fredda! Ma da dove sei venuta in casa mia!» La figura pietosa tremolò allora in modo singolare, fu come se quelle parole toccassero un filo invisibile tra il corpo e l'anima, le vennero delle grosse lacrime agli occhi. «Un giorno verranno i tempi duri per te!» disse la moglie del vichingo, «saranno orribili anche per me! Sarebbe stato meglio se tu da bambina fossi stata depositata sulla pubblica via e il gelo della notte ti avesse cullata fino a portarti alla morte!» E la moglie del vichingo pianse a calde lacrime e se ne andò corrucciata e afflitta dietro alla tenda di pelle che stava appesa sopra la trave e che divideva la stanza. Il batrace stava tutto solo accovacciato nell'angolo; non c'erano rumori, ma a brevi intervalli salì dentro di lei un sospiro mezzo soffocato; fu come se nel dolore nascesse una vita nel più profondo del cuore. Ella fece un passo in avanti, ascoltò, fece ancora un passo e prese ora con le mani goffe la pesante stanga che era stata messa sulla porta; piano piano ella riuscì a toglierla, in silenzio tirò via la stecca che era stata messa sul saliscendi, afferrò la lampada accesa che stava nella cameretta davanti, e fu come se una forte volontà le desse la forza di tirare fuori la stecca di ferro dalla ribalta chiusa, per scendere giù dal prigioniero alla chetichella. Egli dormiva; ella lo toccò con la sua mano fredda e umida e quando egli si svegliò e vide la figura orrenda, rabbrividì come davanti a una visione malvagia. Ella tirò fuori il suo coltello, tagliò il suo legaccio e gli fece segno di seguirla. Egli fece il nome di alcuni santi, fece il segno della croce e siccome la figura rimaneva immutata, egli pronunciò le parole della Bibbia: «Beato l'uomo che ha cura del debole; nel giorno della sventura il Signore lo libera! Chi sei tu? Da dove questo aspetto esterno dell'animale, eppure pieno delle opere della misericordia?». La figura del batrace gli fece un cenno e lo condusse dietro alle tende che li nascondevano, per un corridoio deserto, fuori nella stalla; lì indicò col dito un cavallo, ed egli saltò su di esso, ma anche ella vi si mise davanti tenendo la criniera dell'animale. Il prigioniero la capì e a un trotto rapido presero una strada che egli non avrebbe mai trovata e che portava alla distesa della brughiera. Egli dimenticò la sua figura orrenda, sentì che la grazia e la misericordia del Signore agivano attraverso il mostro; egli disse delle preghiere devote e cantò degli inni sacri. Ella allora tremolò: era la forza della preghiera e del canto che agiva, o era il brivido per il freddo della mattina che stava incominciando? Che cosa era di preciso quello che ella sentì? Si sollevò molto in aria volendo fermare il cavallo per saltare giù; ma il sacerdote cristiano la tenne ferma con tutta la sua forza, cantando un salmo, come se questo fosse capace di sciogliere l'incantesimo che la teneva in quella orrenda forma di rana e il cavallo avanzò ancora più selvaggio, il cielo si fece rosso, il primo raggio di sole passò attraverso la nuvola e con la limpida fonte di luce arrivò la trasformazione: ella divenne la giovane bellezza con l'anima demoniaca e malvagia. Egli ebbe una giovane ragazza bellissima tra le sue braccia e ne fu spaventato, saltò giù da cavallo, fermandolo, pensando di andare incontro a un nuovo incantesimo devastante; ma anche la giovane Helga fu giù per terra con lo stesso salto, il suo vestito corto da bambina le arrivava soltanto fino alle ginocchia; tirò fuori dalla sua cintura il coltello affilato e si precipitò sulla persona sorpresa.