Cavallius e Stephens: La ragazza che sapeva filare l'oro dall'argilla e dalla paglia (Svezia).

(testo revisionato, esaminato, e tradotto da me; per favore, vedasi note a pié di pagina.)

Titteliture e la ragazza

(Immagine illustrativa: by Anne Anderson. Via Wikimedia Commons [p.d.] )

«Svenska folksagor och äfventyr»

libro animato

C'era una volta una vecchia signora che aveva un'unica figlia, che non solo era buona e gentile, ma era anche estremamente bella; tuttavia, era così indolente che non alzava mai un dito, e tutto questo destava grande preoccupazione e dispiacere a sua madre, che cercava in tutti i modi di correggere questo deplorevole difetto, ma inutilmente. La vecchia non seppe fare di meglio che metterla a filare sul tetto della capanna, così tutto il mondo sarebbe stato testimone della sua pigrizia, ma il suo piano si rivelò del tutto inefficace, poiché la ragazza perseverò nel suo dolce far niente. Un giorno passò di lì il figlio del re mentre si recava a caccia, il quale, nel vedere la bella filatrice sul tetto, decise di fermarsi a domandare come mai la fanciulla si trovasse lassù; la vecchia rispose: "Vedete, Altezza, vuole stare seduta lì per dimostrare a tutti la sua intelligenza: è così in gamba che riesce a filare l'oro dall'argilla e dalla paglia." A quelle parole, il figlio del re rimase a bocca aperta dallo stupore, poiché non immaginava che la donna alludesse ironicamente alla pigrizia della figlia. Così, disse: "Se è vero come dite che la fanciulla in questione è in grado di filare l'oro dall'argilla e della paglia, non dovrà più restare sul tetto, ma dovrà venire con me al palazzo reale dove diventerà mia moglie." Detto questo, la ragazza scese dal tetto e scortò il principe alla dimora reale, e lì, seduta in una stanzetta, ricevette un secchio d'argilla e un fascio di paglia per verificare che davvero fosse capce di filare l'oro come la madre aveva dichiarato. La poveretta si ritrovò da sola e sconsolata, ben sapendo che non era in grado di filare la canapa, figuriamoci poi l'oro; così, rimase seduta immobile nella stanzetta, con il capo sul grembo, piangendo amaramente. In quel mentre si aprì la porta, ed entrò un omino vecchio, brutto e deforme; la salutò amichevolmente e le chiese che cosa l'affliggeva. "Ho un valido motivo per essere triste" rispose la fanciulla, "il figlio del re mi ha ordinato di filare l'oro dall'argilla e dalla paglia, e se non ci riuscirò entro domattina, mi farà giustiziare." Allora l'omino disse: "Non piangere, bella fanciulla, ti aiuterò io. Ecco, tieni questo paio di guanti: indossali, e potrai filare l'oro, a condizione che entro domani sera, quando tornerò, tu abbia indovinato il mio nome, altrimenti verrai via con me e mi sposerai." Disperata com'era, la fanciulla non esitò ad accettare le condizioni dell'omino, e quello se ne andò. La fanciulla si sedette a filare, e prima dell'alba aveva già filato tutta la paglia e tutta l'argilla, trasformandole nell'oro più scintillante che si fosse mai visto. Tutto il palazzo esplose di gioia, alla notizia che il principe aveva trovato una sposa così in gamba e allo stesso tempo così bella. Ma la povera fanciulla non faceva altro che piangere, piangeva e si disperava ogni minuto di più, al pensiero di quel nano spaventoso che di lì a poco sarebbe tornato a prenderla. Quando fu ormai notte, il figlio del re rientrò dalla caccia, e andò a fare due chiacchiere con la sua sposa. Vedendola triste e sconsolata, cercò in ogni modo di tirarle su il morale, e le disse che se si fosse sforzata di sorridere, le avrebbe raccontato un curioso aneddoto che gli era capitato; la ragazza accettò di ascoltarlo, ed egli disse: "Dunque, mentre oggi vagavo nella foresta, mi è capitato un fatto assai curioso: a un tratto vidi un vecchio omino piccino piccino che ballava intorno a un cespuglio di ginepri cantando una canzone singolare." La fanciulla, intuendo che si trattasse dello stesso nano, domandò in tono indagatore: "e come faceva quella canzone?" Il principe rispose: "Diceva così:"

«Oggi il malto macinerò,
domani le nozze mie celebrerò.
Della fanciulla non ho da temere,
perché il mio nome non può sapere.
Il mio nome è Titteli Ture,
Io mi chiamo Titteli Ture.»

La fanciulla, raggiante, pregò il suo futuro sposo di ripeterle ancora la canzoncina, ed egli la ripeté finché ella si impresse bene nella mente il nome del nano. Poi la serata con il suo sposo continuò piacevolmente, e il principe non smise più di lodare la grazia e l'intelligenza della sua promessa sposa, ma rimase stupito di quel repentino cambiamento d'umore, ignorandone la vera causa. Rimasta sola nella sua stanza, a notte fonda la porta si aprì e il brutto nano riapparve. Allora la fanciulla anticipò le sue mosse ed esclamò: "Titteli Ture, Titteli Ture! Rieccoti i guanti." Nel sentir proncunciare il suo nome, il nano andò su tutte le furie e saltò in aria, e nell'andar via, si portò dietro tutto il tetto della casa. La bella fanciulla rise e fu raggiante di gioia, poi, si coricò a letto e dormì beatamente fino al mattino. Il giorno dopo furono celebrate le nozze con il giovane principe, e da quel momento non sentì mai più parlare di Titteli Ture.

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Questa fiaba è stata da me esaminata e tradotta in italiano. La fonte della mia traduzione è l'edizione in lingua inglese curata dal professor Ashliman e reperibile a questo link. Ashliman annota che il testo sopra citato compare anche nella raccolta «Yule-Tide Stories: A Collection of Scandinavian and North German Popular Tales and Traditions, from the Swedish, Danish, and German (London: Henry G. Bohn, 1853)», a cura di Benjamin Thorpe.

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(Documento totalmente revisionato e creato ex-novo il 9 novembre 2011.)